Prosegue, con una drammatica vicenda della seconda guerra mondiale, la nostra rubrica settimanale curata da Mario Ottolenghi Andreoletti
Quella dei bombardamenti alleati sulla città di Imperia durante la Seconda guerra mondiale è una storia drammatica, che cancellò centinaia di vite umane e intere porzioni della città. Una vicenda della quale si può ancora cercare testimonianza “viva” nella memoria degli imperiesi più anziani.
Le bombe cominciarono a cadere fin dallo scoppio della guerra. Il 12 giugno del 1940, solo due giorni dopo l’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, iniziarono le “danze”, ma fu nel biennio '43/'44 che si verificarono gli eventi più drammatici.
Fulcro economico, logistico e politico del Ponente ligure, Imperia divenne ben presto un bersaglio strategico per le forze alleate tanto che le “fortezze volanti” oscurarono il cielo della città per innumerevoli volte poi seminando il loro carico di distruzione e morte.
Se gli eventi più noti restano quello del dicembre del 1943 e del successivo febbraio '44, il bombardamento del 3 maggio 1944, che vide eroici protagonisti il Gavi e lo Zamprogno, avrebbe, senza questi ultimi, potuto davvero essere ricordato come quello più devastante per Imperia.
La distruzione del centro onegliese, le bombe su Borgo San Moro sui ponti dell’Impero, sulle fabbriche le case e il vecchio carcere, con l’alto tributo di vite umane pagato (quasi duecento morti) in rapporto alla popolazione del tempo, erano un fresco e tremendo ricordo nelle menti degli imperiesi quando alle ore 14.30 del 3 maggio 1944, le due e mezza del pomeriggio, le bombe tornarono a colpire la città.
L’obiettivo del raid era probabilmente il treno tedesco che stazionava nello scalo di Oneglia. Un sinistro convoglio carico di armi, bombe, munizioni, con il quale i nazifascisti si muovevano lungo la linea litoranea pronti a seminare ovunque morte e terrore.
La situazione, nella stazione di Oneglia, parve subito drammatica perché se il treno carico di esplosivi fosse stato colpito sarebbe stata una catastrofe. A complicare ulteriormente il quadro la presenza di un altro convoglio di ignari passeggeri in arrivo da Ventimiglia.
Gli addetti ai lavori dello scalo dovettero prendere una decisione immediata, senza alcuna esitazione. O scappare e mettersi in salvo, oppure tentare di evitare una carneficina. La seconda ipotesi, fu subito chiaro, poneva a fortissimo rischio la loro stessa vita.
Ma il ferroviere Vittorio Gavi di Artallo e il capostazione Ermenegildo Zamprogno non esitarono a fare la più difficile delle scelte. Rimasero al loro posto e cercarono, febbrilmente, azionando congegni e manovrando dalla cabina, di mettere in sicurezza in galleria e allontanare dalla stazione i due convogli. L’operazione miracolosamente riuscì, l’area fu devastata dalle bombe ma i convogli restarono indenni e così la vita di tante persone fu salva.
Tranne quella di quattro soldati tedeschi e del Gavi che, incurante del pericolo, rimase fermo nella cabina di manovra, al suo posto di lavoro, mentre in tre riprese successive gli aerei continuavano a sganciare bombe. L’ardimentoso ferroviere riuscì a portare a termine l’operazione di scambio evitando una tragedia. Finché un ordigno centrò direttamente la cabina di manovra spazzandone via la vita. Del suo corpo, dissero i testimoni del fatto, nulla fu poi ritrovato se non una scarpa con all’interno il suo piede.
A Vittorio Gavi venne concessa con decreto del Ministero dell'interno il 2 ottobre 1947 la medaglia d’argento al valor civile con la seguente motivazione: "Durante una violenta azione di bombardamento aereo, non abbandonava il suo posto nella cabina degli apparati centrali della stazione ferroviaria e, nonostante il grave pericolo cui si esponeva, consentiva con le necessarie manovre, lo spostamento in una vicina galleria di un convoglio carico di munizioni. Subito dopo, colpito in pieno da una bomba, perdeva la vita, vittima del dovere compiuto fino al supremo sacrificio".
A Ermenegildo Zamprogno la sorte risparmiò invece la vita anche se il suo coraggio, quello di un capostazione che non aveva abbandonato i suoi uomini, restandone al comando, fu analogamente premiato con la medaglia d’argento, sempre con il predetto decreto, la cui motivazione così recita: “Durante una violenta azione di bombardamento aereo dirigeva le operazioni di sgombero di due treni, di cui uno dei quali carico di munizioni, curava il ricovero in una galleria. Evitava, così, maggiori danni alla città e numerose vittime dando prova di alto sentimento del dovere e di ardimento”.
La memoria di Vittorio Gavi è oggi ricordata, oltre che da una via cittadina, da un’insegna commemorativa posta nei giardini antistanti l’ingresso della vecchia stazione di Oneglia.
Invece, a testimonianza dell’azione benemerita di Ermenegildo Zamprogno, fino a poco tempo fa, una targa accoglieva i passanti all’ingresso dell’omonima galleria pedonale, il “sottopasso” che collegava via Berio a via Garessio, oggi cancellato dalla nuovissima pista ciclopedonale.
Questa è una storia di valore, di coraggio, di “senso del dovere”. Tanti imperiesi devono la loro vita a Vittorio Gavi e ad Ermenegildo Zamprogno; la città ne conservi la memoria ed il ricordo.