Attualità - 15 luglio 2023, 13:01

Imperia "Oltre ai 100", Gian Domenico Doria "Domenicaccio": il Principe che fece di Oneglia una capitale

Seconda puntata della rubrica settimanale di Mario Ottolenghi Andreoletti

Imperia "Oltre ai 100", Gian Domenico Doria "Domenicaccio": il Principe che fece di Oneglia una capitale

Di Gian Domenico Doria, figlio di Stefano e Bianca, non vi è certezza sulla data di nascita: un giorno, a Genova, intorno alla metà del 1400. Si conoscono però anno e luogo della sua morte: Oneglia, piazza Doria, 1505: ucciso per mano di uno sconosciuto. 

Se il finale lascia intuire quanto fosse giustificato il soprannome, Domenicaccio, con cui il nostro è passato alla storia, va subito precisato come le vicende umane di Gian Domenico Doria incisero profondamente anche sul destino della città di Oneglia.

Il personaggio rivestì un ruolo significativo nel suo tempo. Basti pensare, ex plurimis, che fu comandante delle truppe genovesi in soccorso di Pietrasanta assalita dai fiorentini o all’incarico di “capinaneus custodie palatii” ovverosia capitano delle guardie pontificie che il Doria ebbe sotto Papa Innocenzo VIII.

Ma Domenicaccio tutti questi onori non bastavano perché voleva diventare Principe e aveva all'uopo adocchiato la Signoria di Oneglia, in mano, da secoli, ad un ramo familiare dei Doria, per realizzare il suo sogno. Vista l’intenzione dei parenti onegliesi di disfarsi della signoria, il nostro la acquistò il primo dell’anno 1488, grazie al benestare del Duca di Milano, Ludovico il Moro, all’epoca anche Signore di Genova. E gli abitanti della Signoria doriana, che comprendeva le valli di Oneglia, estendendosi dalla ripa Unelie sino alle alture di Cesio e Testico, gli prestarono giuramento in San Giovanni il 5 di gennaio (quelli della valle inferiore) e l’otto di gennaio (i residenti della valle superiore).

Domenicaccio però non si accontentava di esser Signore, voleva di più, voleva per se un principato, uno stato vero e proprio.  Dette così avvio alla costruzione di un castello quadrato con torri, fossati e artiglierie portate da Roma.

Ciò scatenò la reazione di Genova e Milano che temendo il rafforzarsi di un dominio autonomo e potenzialmente ostile, morto Papa Innocenzo VIII, assestarono il colpo. Ludovico il Moro, dopo vari ripensamenti, non ebbe più dubbi ed ordinò di abbattere la Rocca di Oneglia. L’esecutore fu Giovanni Adorno, governatore di Genova, che il 18 di agosto del 1492 dopo un serrato bombardamento costringeva gli onegliesi alla resa senza condizioni. Il castello venne smantellato, i beni del Doria confiscati, suo figlio Franceschetto fatto prigioniero. Curiosa coincidenza, in quei giorni un altro ligure partiva da Palos per un viaggio destinato a cambiare la storia del mondo 

Ma, tornando a noi, va detto che Domenicaccio non si arrese. La sua carriera pontificia proseguiva anche sotto il nuovo papa, Alessandro VI sotto il quale era ulteriormente salito di grado divenendo “peditum Sacre Romane Ecclesie generalis capitaneus”, un ruolo ancor più prestigioso e più remunerativo di quello che ricopriva in precedenza. E fu così che grazie ai buoni uffici della Curia romana e del fratello del Moro, Cardinal Ascanio Sforza, il Duca di Milano cambiò nuovamente idea e nel 1498 restituì Oneglia al Doria.

Domenicaccio realizzò così il suo sogno. La rocca, quella possente fortificazione di cui residuano tracce nel sottosuolo di Oneglia, venne costruita e la Signoria eretta a Principato. 

Ma se questo "regno" era destinato ad avere una vita quasi centenaria rendendo di fatto Oneglia capitale di un vero e proprio stato, la vicenda terrena del Doria ebbe presto fine.

Sette anni dopo, nella zona dove oggi sorge il mercato coperto, veniva assassinato da mano ignota. Quella di un sicario armato dai cittadini vessati da esosi tributi o dai Doria della valle superiore che mal sopportavano il suo dominio?

La storia non ce lo dice e del fatto parve non interessarsi troppo un altro illustre Doria figlio di Oneglia, quell’Andrea che stava per fare del cinquecento “il secolo d’oro dei Genovesi” E senza forse un po' anche degli onegliesi.

Ma questa è un’altra storia.

 

 

Mario Ottolenghi Andreoletti

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