Da qualche giorno tiene banco sui media sportivi (e non solo) di tutto il mondo il caso Vinicius Júnior, calciatore del Real Madrid vittima di un violento attacco a sfondo razzista durante la partita sul campo del Valencia.
Un episodio che ha riportato l’attenzione sugli intrecci tra calcio e crepe sociali ben lontane dall’essere rimarginate, fatti che hanno ben presto sorvolato l’oceano per arrivare in Brasile dove il tema è fortemente sentito.
E proprio dal Brasile arriva sulle nostre pagine l’analisi dell’episodio firmata da Claude Petrognani, antropologo ed ex calciatore bandiera dell’Argentina Arma, che da anni ha scelto Porto Alegre come casa. Nel suo nuovo Paese si è distinto per le ricerche sugli intrecci tra calcio e religione, studi che lo hanno portato anche sugli schermi dell’emittente televisiva nazionale ‘Globo’.
“L’ennesimo attacco razzista nei confronti del giocatore brasiliano Vinicius Júnior, del Real Madrid, durante la partita del campionato spagnolo della Liga, a Valencia, trascende l’ambito contestuale - spiega Petrognani - è un atto che riguarda il sociale, il culturale, il politico, l’istituzionale e che assume proporzioni transnazionali. Le inchieste etnografiche svolte nell’ambito dell’antropologia del futebol riflettono ed ampliano i casi “Vinicius Júnior”. Per ciò che concerne il Brasile, ho mostrato che l’invisibilità, la delegittimazione, la mancanza di rispetto e tolleranza per la cultura negra, meticcia, sincretica, afro-religiosa nel calcio brasiliano è direttamente proporzionale a quella nella società nel suo insieme. Uno studio da me elaborato mostra che il calcio brasiliano è tendenzialmente accogliente per chi manifesta la propria cultura e religiosità cristiana, evangelica e cattolica, mentre si mostra ostile ed imbottito di preconcetto per chi si dichiara appartenente alle religioni di matrice afro-brasiliane”.
“I dati a riguardo sono inconfutabili - prosegue - dei 100 atleti delle giovanili dello Sport Club Internacional di Porto Alegre consultati, 56 si sono dichiarati cattolici, 34 evangelici, 8 hanno affermato di non avere una religione, 1 ha dichiarato di essere un adepto dell’Umbanda, religione di matrice afro-brasiliana, 1 ha dichiarato di appartenere allo spiritismo Kardecista. I dati riflettono l’andamento statistico nazionale: secondo l’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica, il 60 % dei brasiliani si dichiara cattolico, il 22% evangelico, l’8% senza religione, il 5% altre religioni, e lo 0,31% si dichiara adepto alle religioni di matrice afro-brasiliane. Questa invisibilità afro-brasiliana, eclatante in termini numerici, non corrisponde, tuttavia, alla realtà empirica, sociale, culturale, religiosa del paese. Simbolicamente, rispecchia una tendenza socio-politica dominante che ricusa rispettabilità e statuto di “persona”: negra, meticcia, sincretica, afro-religiosa; è il riflesso di un processo di negazione storica di legittimazione e di riconoscimento della cultura negra che si ripercuote, oggi, sulla propria libertà di espressione. Malgrado e nonostante, dunque, la presenza capillare e massiccia dei luoghi di culto, terreiros, e delle offerte ritualistiche, oferendas, arricchire il paesaggio urbano, la presenza dei monumenti, negli spazi pubblici, raffiguranti le divinità del pantheon afro-brasiliano, Orixás, la moltitudine di fedeli riversarsi, annualemente, sulle rive dei fiumi per celebrare la festa di Oxum, malgrado e nonostante la cultura afro-brasiliana sia celebrata nella letteratura, le opere di Jorge Amado, nelle musica, nei versi di Caetano Veloso e Gilberto Gil, malgrado e nonostante il Candomblé e l’Umbanda, il Carnevale, la Capoeira e il Samba, malgrado e nonostante Pelé e le altre divinità del futebol brasiliano provengano e discendano dal mondo afro-brasiliano, continua a persiste, in parte della società brasiliana, una delegittimazione della cultura afro-brasiliana: etnica, sociale e religiosa”.
“Il caso “Vinicius Júnior” è, pertanto, antropologicamente denso di significato - conclude Petrognani - è la punta di un iceberg, incrinato, che riflette, simbolicamente, i limiti del multiculturalismo planetario”.