Ieri in Consiglio dei Ministri è stato ufficialmente sancito lo stop al cibo sintetico in Italia, e con lui il conseguente divieto alla produzione di cibi Frankenstein nel Belpaese. Previste multe tra 10mila e 60mila euro per i trasgressori. Cifra che, nel caso in cui il fatturato di questi ultimi risulti superiore a 60mila euro, può anche arrivare a coprire il 10% dei loro ricavi annui.
L’Italia, insomma, intende dichiarare guerra al cibo sintetico. E vuole farlo vietando agli operatori del settore agroalimentare e a quelli del settore dei mangimi di “impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, nonché vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare oppure distribuire per il consumo alimentare alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati”, esattamente come previsto dal disegno di legge sugli alimenti sintetici approvato dal Consiglio dei ministri del 28 marzo.
“Lo schema di disegno di legge messo in campo dal Governo contro il cibo sintetico – commenta la Coldiretti – risponde alle richieste di mezzo milione di italiani che, nel corso dei mesi, si sono fatti parte attiva in questa importante battaglia, firmando la petizione promossa dalla nostra Confederazione su tutto il territorio nazionale per salvare il Made in Italy a tavola dall'attacco delle multinazionali. Petizione che, tra gli altri, è stata sottoscritta anche dalla Premier Giorgia Meloni e dal Ministro dell'Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida. Ringraziamo il Governo per aver accolto il nostro appello a fermare una pericolosa deriva che mette a rischio il futuro della cultura alimentare nazionale, delle campagne e dei pascoli e dell'intera filiera del cibo Made in Italy, nonché la stessa democrazia economica”.
“Lo stop al cibo sintetico deciso dal Governo – spiegano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale – salva 580 miliardi di euro di valore della filiera agroalimentare nazionale, che, in un momento storico come quello attuale, in cui il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia, rappresenta una vittoria importantissima. Come Liguria siamo orgogliosi di aver contribuito in modo concreto al raggiungimento delle 500mila firme raccolte complessivamente a livello nazionale, oltre che dell’importante risposta ottenuta dalla maggioranza dei comuni liguri, che hanno sposato la nostra causa disponendo delibere ad hoc contro i cibi in provetta”.
Il cibo sintetico mette a rischio anche i 5450 i tesori Made in Italy – di cui ben 300 liguri – già purtroppo vessati dall’esplosione dei costi di produzione legata alla guerra in Ucraina. Ricca e curiosa, la lista delle specialità nazionali vede infatti la nostra Liguria fiera e orgogliosa, ad esempio, della sua marmellata e dello sciroppo di rose, legate alla coltivazione tradizionale del fiore, ma non solo. “Alla base del successo del Made in Italy – spiegano ancora Boeri e Rivarossa – c’è un’agricoltura che è diventata la più green d’Europa. Dietro ogni prodotto c’è una storia, una cultura ed una tradizione che è rimasta viva nel tempo ed esprime al meglio la realtà di ogni territorio. Si pensi che solo in Liguria possiamo vantare 8 vini Doc e 4 Igt”. Un patrimonio di eccellenze che si fa vessillo della Liguria e dell’Italia nel mondo, e che spinge a tavola circa 1/3 della spesa turistica alla scoperta dei nostri territori, dei luoghi magici di un Paese che si dimostra essere l’unico al mondo a poter contare sui primati nella qualità, nella sostenibilità ambientale e nella sicurezza della propria produzione agroalimentare. Un patrimonio che, insomma, anche per questo, va difeso a spada tratta.
Prima la pandemia e successivamente la guerra hanno dimostrato che “per quanto riguarda l’agroalimentare la globalizzazione ha fallito – concludono il Presidente ligure e il Delegato Confederale – dunque servono rimedi immediati e un rilancio degli strumenti europei e nazionali, attraverso i quali assicurare la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza dall’estero e garantire un giusto prezzo degli alimenti per produttori e consumatori. Raddoppiare da 5 a 10 miliardi le risorse destinate all’agroalimentare nel PNRR, spostando fondi da altri comparti per evitare di perdere i finanziamenti dell’Europa, è in questo scenario un’esigenza oltremodo evidente, che auspichiamo possa concretizzarsi presto”.