Anarchia, spie, commissari del popolo, carestia, crisi economica e dittatura in Russia appaiono nel conclusivo racconto della doppia vita di Bartolomeo, sanremese.
"Un ultimo capitolo della vicenda terrena di Bartolomeo, sanremese, resta ancora da raccontare. Si tratta di una storia, quella di Bartolomeo, che, come diceva mio nonno Lorenzo, faceva rima con la storia maggiore, pur presentando elementi che la avvicinavano al romanzo. Non rimane ovviamente molto da dire di più sulla vita di un uomo che in gran parte è stato un enigma anche per chi occasionalmente ha avuto modo di frequentarlo. Tuttavia, frugando nella memoria delle testimonianze verbali affidatemi dal nonno, emerge ancora qualche residuo aspetto degno di essere portato alla luce; aspetto della vita di un uomo che apparve e poi scomparve nel nulla e la cui vita va oltre i limiti stessi della sua durata fisica, una autentica personificazione della luce dell'ombra. Ed è proprio qui il caso di parlare di un conclusivo frammento di storia visto da Sanremo o meglio da un suo figlio speciale. Il momento a cui si riferisce tale ultimo capitolo si colloca nella fase culminante della Rivoluzione russa e sconfina nei successivi e non meno drammatici giorni del 1933, quando il potere sovietico affrontò una terribile carestia" - racconta Casalino Pierluigi.
"A quale titolo Bartolomeo fosse nuovamente in Russia nel 1933 lascio immaginare a chi legge. È importante però rifare cenno al ruolo di Bartolomeo che abbiamo illustrato in precedenza per collocare soprattutto il sanremese in quel tumultuoso e caotico periodo in cui, dopo la morte del generale bianco Kornilov, nel 1917, i bolscevichi presero definitivamente il sopravvento. La Russia pullulava di spie e di commissari del popolo e tutta questa gente si confondeva nella galassia degli schieramenti interni e delle interferenze esterne. Quella fu la stagione d'oro di Bartolomeo, come aveva intuito mio nonno; una stagione che ebbe la sua appendice nell'esperienza di Vladivostok, per diretta testimonianza di mio nonno. Egli agiva sicuramente in coordinamento con gli altri agenti alleati ma non rinunciava a muoversi autonomamente alle spalle dei commissari del popolo e degli esponenti delle fazioni in gioco per prevedere le dinamiche della svolta politica in atto da parte del nuovo regime e degli opposti sforzi di chi era contrario alla deriva comunista. Un lavoro sottile, al fine di riferire puntualmente alle autorità diplomatiche italiane in loco. Prima della fine della prima guerra mondiale, la preoccupazione dell'Intesa era l'uscita della Russia dal conflitto, Da non dimenticare che Bartolomeo ad un certo punto, in pieno 1918, riuscì a inserirsi nel passo delle armate tedesche che passavano di vittoria in vittoria sul fronte orientale. Il Reich, sosteneva Bartolomeo, avrebbe potuto celebrare il suo trionfo se ad occidente non fossero arrivati gli americani" - dice Casalino Pierluigi.
"La pace separata di Brest-Litovsk sanciva, infatti, per gli Imperi Centrali la sconfitta epocale del rivale russo, ma Bartolomeo prevedeva pericoli maggiori dalla nascita del regime bolscevico che sbandierava il trattato di pace come pace giusta e democratica, ma, sotto sotto, promuoveva un neozarismo mascherato da rivoluzione. Un neozarismo sul quale puntò invero anche il governo provvisorio che si installò dopo la caduta della monarchia. La Russia, riallacciandosi a Voltaire, disse una volta Bartolomeo a mio nonno, fa parte dell' Europa, ma difficilmente avrà la testa per entrarvi: solo un cambiamento epocale avrebbe potuto stravolgere un sistema tanto cristallizzato. La mentalità russa è per natura dispotica, amava ripetere: un giorno probabilmente tutto cambierà, perché nulla è eterno, ma il demone russo saprà sempre travestirsi e risorgere concludeva, allargando le braccia Bartolomeo" - dichiara Casalino Pierluigi.
"L'esperimento democratico a metà di Kerenskj, poi fallito prevalentemente a causa dei bolscevichi, ma non solo, fu osservato da vicino da Bartolomeo, che scrisse su di esso alcuni appunti in inglese che poi bruciò per evitare che cadessero in mani inopportune. Ne parlò con il nonno a Vladivostok, quando la sorte della Russia era segnata. Tuttavia quello che più interessa ora è ricordare che nel 1933 Bartolomeo era di nuovo in Russia: di lì segnalò le spaventose difficoltà alimentari del Paese dei Soviet ormai sotto il pugno di ferro di Stalin. Quando nel 1934 mio nonno incontrò casualmente Bartolomeo a Sanremo, il sanremese confessò di essere rimasto assai turbato dalla situazione agricola russa, senza dilungarsi in troppi particolari, ma facendo riflessioni che valevano più di un'analisi o di un commento. Senza tradire la sua funzione, e soltanto per fiducia personale in mio nonno, Bartolomeo parlava di qualcosa di apocalittico che riguardava almeno 50 milioni di persone, mentre il resto della gente versava in condizioni di crescente penuria e disagio esistenziale. Le notizie che filtravano dalla Ambasciata tedesca a Mosca, particolarmente informata, e che rimbalzavano nelle altre rappresentanze straniere, compresa quella italiana, erano veramente tragiche. Dopo una prima ripresa delle esportazioni di grano, a cavallo del 1920, con positiva ricaduta sul benessere popolare, il decennio seguente aveva visto un crollo della produzione a causa di riforme disastrose accompagnate da un intensificato sistema poliziesco. Assai gravi i casi dell'Ucraina e del Caucaso del Nord, che, a detta di Bartolomeo, erano la cifra dell'oppressione di Mosca sulle altre repubbliche sovietiche e non solo il frutto di politiche sbagliate. Personale della legazione italiana, sempre secondo Bartolomeo, si stava rendendo conto di quanto serio fosse il momento: da parte sua, il sanremese, tramite una sua fonte privilegiata (citava un tale Krillin, forse un commissario del popolo), aveva informazioni su atrocità commesse ai danni dei contadini, ai quali inizialmente era stata promessa la terra e che ai quali non piaceva coltivare ciò che non apparteneva loro" - fa sapere Casalino Pierluigi.
"Il fallimento delle scelte economiche, diceva Bartolomeo, non era, in linea di principio, imputabile a Lenin, che non era favorevole a puntare tutto sull'industria pesante. Dopo la Nep, Bartolomeo aveva intravisto un possibile miglioramento dovuto alla flessibilità introdotta da Lenin, ma con Stalin si registrò un'inversione di tendenza. Lenin, sottolineava Bartolomeo, improvvisa le nazionalizzazioni, ma non le riteneva urgenti, mentre per Stalin la questione era connessa con la necessità di assicurarsi un potere illimiato. Gli stessi organi del Partito lo ammettevano e speravano in una futura educazione comunista che superasse il problema. Altro campanello d'allarme fu dato dalla repressione dell'insurrezione di Kronstadt, nel 1921, che Bartolomeo giudico' l'inizio vero e proprio della dittatura comunista, paragonando simbolicamente quell'evento al suicidio del poeta Majakovskij, vittima dell'illusione futurista del regime. Mio nonno era curioso, amava i libri di storia e faceva tesoro delle scarne confidenze di Bartolomeo. Un'altra volta sempre Bartolomeo predisse al nonno che il nuovo Papa sarebbe stato Monsignor Pacelli, personalità assai flessibile diplomaticamente, e a proposito ricordava che il prelato era riuscito persino a mettere in crisi Cicerin, ex burocrate zarista, divenuto il commissario del popolo bolscevico alla guida degli Affari Esteri della neonata Russia sovietica. Alla fine del 1933, dopo un anno, il sanremese era tornato in Italia, e aveva intrapreso altre missioni, alcune proprio in Riviera. Nel 1934 aveva salutato il nonno e bevuto frettolosamente un caffè insieme a lui dalle parti della vecchia stazione ferroviaria di Sanremo: in quella circostanza aveva confidato che in città si erano rifugiati, prima di raggiungere la Francia, militari russi della guardia bianca di Kornilov e che qualcuno di essi era stato già avvicinato dalle spie sovietiche con poco successo. Mio nonno non voleva essere indiscreto e taceva in attesa che qualche spiraglio si aprisse nella trincea dell'atteggiamento riservato di Bartolomeo. Guardie bianche partecipavano alle riunioni religiose dei fedeli ortodossi, che temevano talvolta di essere seguiti dal potere comunista. Quel certo Boris, russo a tutto tondo che aveva albergato in un locale della Pigna fino al 1921, era emigrato a Nizza e non si escludeva che avesse avuto relazioni sia con i russi bianchi in esilio che con i nuovi servizi sovietici. Esponenti fedeli a Kerenskj passarono da Sanremo, ma non raccolsero grande consenso. Un maremoto di immigrati russi abbandonava nel frattempo la Russia dal 1917 e tale fenomeno si accentuò negli anni Trenta del XX secolo. Bartolomeo ne era stato un regista discreto e, a quanto aveva capito il nonno, era riuscito a far passare in Occidente un ebreo russo che aveva collaborato con lui nel 1918" - narra Casalino Pierluigi.
"Le cronache di questi giorni sono piene di qualcosa di simile con la guerra in Ucraina, ma non sappiamo se esista un altro Bartolomeo o forse ci sarà e si chiamerà Bartolomeo o sarà la sua ombra che magari si aggira ancora tra i meandri di un mondo dalle mille crisi. Del resto quando c'è di mezzo Sanremo tutto può succedere. Questa è però un'altra storia. Gli ultimi scampoli di memorie riguardanti il sanremese, come le precedenti notizie conservate dal nonno, e già portate a conoscenza, mettono peraltro la parola fine su un argomento che spiace di non poter più sviluppare per la mancanza di altre fonti, ma che confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, che Sanremo è un crocevia privilegiato della Storia. Bartolomeo, infatti, non fu solo un personaggio da guerra fredda, ma il simbolo di un'epoca che mai tramonterà. Egli rappresentò quell'orecchio del re che nella Storia ha incarnato il realismo politico fin nella sua completa profondità, interpretando la morale ambivalente del mondo moderno, senza esserne coinvolto. Peccato davvero che Ian Fleming e Graham Greene non lo abbiano conosciuto" - conclude Casalino Pierluigi.