Alcuni temi di grande attualità come il danno alla salute, il diritto alla riservatezza, la lesione dell'immagine, saranno trattati nei loro risvolti giurisprudenziali nell'incontro in programma mercoledì alle 15, nell'Aula Magna del Polo universitario imperiese, in via Nizza.
Sarà infatti presentato il libro ‘Lèggere il danno. Grammatica di un concetto plurale’ (ed. Pacini, Pisa) del professor Cipriano Cossu, docente di lungo corso del Polo universitario imperiese.
Del libro di Cipriano Cossu (docente di lungo corso di Diritto Civile II, e cioè la materia dedicata alla responsabilità civile, presso di Polo Universitario di Imperia), intitolato «Lèggere il danno» (Pacini Giuridica editore, Pisa, 2022), è rivelatore il sottotitolo (‘Grammatica di un concetto plurale’). E in effetti è proprio così, e questo volume (che è, e sarà, nel prossimo futuro, il manuale adottato a Imperia – ma non solo, è facile immaginare – nel corso di Diritto Civile II), testimonia assai bene, da un lato, l’estrema varietà della materia; dall’altro, la necessità per lo studente e lo studioso del diritto di adottare, di fronte al problema della responsabilità civile, quello sguardo largo, quel campo largo, che solo consente di svolgere le necessarie connessioni tra responsabilità per fatto illecito (ecco il versante del diritto) e esigenze sociali (ecco il versante del contesto sociale su cui la regola giuridica va a incidere).
Questa sensibilità e ampiezza di sguardo non può stupire, del resto, tenuto conto del fatto che Cipriano Cossu fa parte di quel gruppo di giuristi genovesi formatisi sotto la guida, soprattutto, di Mario Bessone, e poi anche di Guido Alpa – entrambi dotati di sensibili antenne rivolte all’ascolto della società, anche grazie alla benefica influenza degli anni genovesi di Stefano Rodotà.
Il libro di Cipriano Cossu si compone di ventritré capitoli: sono capitoli densi, ma piacevoli da leggere (lo stile dell’autore è piano, connotato anche, qua e là, da una certa ironia che ha anche un intrinseco effetto riposante). Si va dal classico tema delle funzioni della responsabilità civile (a che cosa serve la responsabilità civile? Soltanto a riparare il danno che è stato cagionato, o anche a evitare che, in futuro, un qualche danno possa prodursi. E poi: deve, la responsabilità civile, sanzionare, anche agli occhi della società – ad esempio aumentando la misura oggettiva dell’ammontare del danno effettivamente subìto –, quella condotta, che non solo ha provocato il danno, ma che l’ha provocato con modalità così profondamente avverse al senso di solidarietà sociale?), alla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose (tema, questo, oggi piuttosto delicato, in ragione del fatto che secondo alcuni esperti del settore molte attività riconducibili all’ambito della cosiddetta intelligenza artificiale dovrebbero essere considerate, come tali, attività pericolose).
La figura della responsabilità civile è un po’ come un albero con molti rami. Tutti i rami hanno un tronco comune (e questo tronco è dato dalla nozione di fatto illecito, e in particolare di ‘danno ingiusto’, che il codice civile italiano richiama all’art. 2043), ma poi ogni ramo ha una sua specificità (e anche una sua vita), in ragione del fatto che, appunto, la nozione di danno ingiusto, dal 1942 (anno in cui il codice civile entra in vigore) a oggi, si è senza dubbio estesa, adeguandosi, soprattutto grazie alla giurisprudenza, alle istanze di giustizia provenienti dalla società. Una estensione che, spesso, non è stata però pacifica, come appunto il volume di Cossu bene attesta; se, infatti, da un lato, non c’è dubbio che la giurisprudenza abbia molto lavorato nel senso di un ampliamento dell’area del danno ingiusto, dall’altro lato è anche vero che la dottrina (o almeno una parte di essa) ha assunto posizioni diversificate (basta ad esempio richiamare la discussione, non ancora chiusa, intorno alla figura del danno esistenziale, a cui è dedicato il cap. V), per una serie molto ampia di ragioni, e che, in sintesi, possono essere sintetizzate come segue: la via verso il ‘risarciamo il più possibile’, porta con sé, tra le altre, la conseguenza di un aumento dei premi assicurativi. Non solo, un’altra conseguenza è quella di favorire l’azione in giudizio, confidando, appunto, che la giurisprudenza accolga questa domanda risarcitoria, ma con l’effetto, a catena, di incentivare altri soggetti, che affermano di aver subito un qualche danno, ad andare in giudizio, aumentando così enormemente il numero delle cause, con ricadute, ovvie, anche sui tempi della giustizia. Aspetti di cui siamo tutti sufficientemente consapevoli.
Altri temi spinosi, sui quali si sofferma Cossu, sono quello della quantificazione del danno alla persona e quello del danno derivante dalla lesione del diritto alla riservatezza.
Due brevi osservazioni su entrambi i fronti.
Sul fronte della quantificazione, è evidente quale sia il grande problema, nel momento in cui il danno abbia carattere non patrimoniale (pensiamo, tipicamente, al danno alla salute): come può il giudice assegnare un valore monetario a una lesione che non colpisce un aspetto economico, e quindi monetizzabile? La risposta è che la liquidazione seguirà la via equitativa; ma equità non può voler dire soggettivismo liquidatorio (ogni giudice, ogni tribunale, assegna a quella lesione quel determinato valore che ritenga soggettivamente equo). Proprio per uniformare i giudizi, e quindi per evitare l’arbitrio della decisione, infatti, è nato quello che si chiama ‘sistema tabellare’ e che però, al momento, non ha ancora assunto la veste legislativa, con la conseguenza che, in Italia, non c’è un unico sistema tabellare (cioè non esiste una tabella fissata dal legislatore): infatti, accanto alle ‘tabelle milanesi’, che sono quelle più diffuse in Italia, vi sono anche le tabelle romane e le tabelle veneziane, e la Corte di Cassazione (nella sua veste di giudice con il compito di assicurare non solo la corretta interpretazione della legge, ma anche l’uniformità di questa interpretazione) è spesso chiamata a dirimere contrasti rispetto al criterio seguito dal giudice per arrivare alla quantificazione del danno non patrimoniale, cioè del danno alla persona.
Con riguardo, poi, al danno da lesione della riservatezza, è evidente quanto sia delicata e attuale questa figura, tenuto conto dei cosiddetti attacchi alla riservatezza che possono essere realizzati attraverso gli strumenti telematici.
Su tutti questi aspetti (e l’elencazione potrebbe continuare a lungo: dalla lesione al diritto all’onore della persona, alla responsabilità del danno prodotto dal proprio ‘animale da affezione’, come usa dirsi) il volume di Cipriano Cossu dà al lettore, in primo luogo, una informazione completa e dettaglia (molto attenta, com’è naturale, all’opera della giurisprudenza, che, lavorando sulle norme contenute nel codice civile, ha saputo, in questi decenni, adattare le regole della responsabilità alle esigenze della società); inoltre, e questo è un ulteriore pregio del volume, il libro ricostruisce un quadro molto lineare e ordinato, all’interno di una materia e di problemi che, invece, e spesso, lineari e ordinati non sono affatto.