Eventi - 19 marzo 2021, 08:30

Nuovo appuntamento on line con la “Lectio Divina” predicata dal vescovo Antonio Suetta, dalla cappella dell’episcopio di Sanremo

Continua la lettura meditata e pregata del decalogo, con attenzione questa volta al quinto comandamento, nell'ordine tradizionale della presentazione catechistica, il sesto nella formulazione biblica dell’Esodo: non uccidere.

Nuovo appuntamento on line con la “Lectio Divina” predicata dal vescovo Antonio Suetta, dalla cappella dell’episcopio di Sanremo

Continua la lettura meditata e pregata del decalogo, con attenzione questa volta al quinto comandamento, nell'ordine tradizionale della presentazione catechistica, il sesto nella formulazione biblica dell’Esodo: non uccidere.

«La prima sottolineatura che intendo condividere all'inizio del cammino santo della Quaresima - ha esordito il vescovo - è la buona notizia che Dio non vuole mai la morte del peccatore, ma che egli si converta e dica. In questa rivelazione, già presente nell'Antico Testamento e poi manifestata in pienezza in Gesù, è presentato il cuore di Dio che è amore e misericordia. È in questa prospettiva che intendiamo subito leggere il “Non uccidere” del decalogo. In realtà in ebraico il comandamento è reso al futuro, come i due comandamenti che lo seguiranno: “Non ucciderai”. In maniera sintetica e senza dare spiegazioni: questa legge non ha bisogno di ricordare nella sua enunciazione la storia della salvezza israelitica, fondamento del patto tra Dio e il popolo. Essa è già scritta nel nostro cuore: non è necessario spiegare perché queste relazioni in cui siamo inseriti non so- no nella nostra disponibilità e verso le quali dobbiamo tutto il rispetto possibile».

La lettura naturale e positiva del comandamento viene così spiegata da monsignor Suetta: 

«È un comandamento scritto nel nostro cuore, che la nostra coscienza sa riconoscere come dono di Dio e che la nostra intelligenza sa individuare come modo di aderire alla verità di Dio stesso, trovandone una ragionevolezza nel momento del proprio assenso. Oggi facciamo fatica a intendere subito questa realtà, perché consideriamo la legge in funzione del fine, a volte spicciolo, che si vuole tutelare. La riflessione del decalogo è invece una sana antropologia sulla libertà dell’uomo, intesa proprio come adesione ad un bene supremo». La meditazione del vescovo riesamina alla lettera la formulazione biblica del comandamento, specificandone la traduzione migliore dove “non uccidere” indica “non assassinare”, in quanto è condannata proprio l’intenzione perversa e voluta dell’uomo di infrangere quella chiara regola morale scritta nel suo cuore. «Ma anche l’omicidio involontario, l’incidente, non viene accantonato. Nella storia delle legislazioni e anche in alcuni passi biblici troviamo infatti la legge del taglione, dove un vendicatore del sangue deve ripristinare, quasi senza processo, l’equilibrio che la morte ha prodotto. Il bisogno umano della vendetta che sembra essere la maniera adeguata di riequilibrare la giustizia».

Da qui, il passaggio alla contemplazione del mistero pasquale, del sacrificio di Cristo e del versamento del suo sangue sono immediati e indicano come tutto venga completato nella verità della rivelazione cristiana: «Il segno di Caino ci ripropone il disegno di Dio nei confronti del peccatore. Così, Abramo, fermato nell'atto di uccidere Isacco, ci ricorda ciò che tra qualche settimana canteremo nella veglia pasquale, ovvero che per riscattare lo schiavo viene offerto il Figlio. Dio non vuole che nessun padre sacrifichi la propria prole e per far ottenere a tutti la vita sa- rà invece l’Unigenito fatto uomo a donare se stesso».

Cristo stesso, conclude il vescovo, ha poi specificato il comandamento nel vangelo di Matteo, superandone la sola lettura di fisicità: «Anche quando escludiamo qualcuno, quando non lo riconosciamo come fratello, ma come avversario, noi veniamo meno al modo naturale in cui dovremmo vivere quella relazione. Ed è un pensiero mortifero anche il placare la nostra rabbia davanti ad un torto subito. Dire: “non porto rancore” - seppur ci vede impegnati a non compiere alcuna azione negativa contro chi ci ha ferito - non è ancora il giusto, perché vuol dire comunque ignorare l’altro e non realizzare con lui la relazione di legame fraterno desiderata dal Padre». 

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