Il 23 febbraio 'Ufficio Centrale di Meteorologia di Roma, alle 8 antimeridiane, iniziò a registrare le prime segnalazioni di un fortissimo terremoto provenienti dagli Osservatori dell'Italia settentrionale. Le notizie, che arrivavano da Milano, Parma, Genova, Forlì, Alessandria e poi dalle altre città, fecero subito intuire l'estrema gravità del fenomeno sismico, che, partito dalla Ligura occidentale aveva investito anche il Piemonte e e, al di là dei confini nazionali, e meridionale.
Al centro di quest'area molto vasta, che si estendeva complessivamente per un raggio di circa, venne quindi determinata con relativa precisione la zona epicentrale del sisma, individuata nel Mar Ligure, molto probabilmente al largo di Porto Maurizio. Il giorno precedente e nella notte tra il 22 e il 23 febbraio erano state peraltro già avvertite in Liguria delle leggere scosse, sentite soprattutto a Diano Marina, Sanremo e Oneglia. Nelle primissime ore della mattina del 23 febbraio il tempo era stranamente calmo e sereno ed alcuni marinai asserirono in seguito di aver notato, al sorgere del sole, la comparsa di tante fiammelle di colore blu lungo l'orizzonte.
Nei minuti che precedettero la prima violenta scossa tutte le testimonianze sono concordi nell'affermare che in Riviera regnava una calma straordinaria, mentre molti abitanti di varie città, tra cui Savona, Alassio, Diano Marina, Cervo e Bordighera, giurarono di aver visto perfino delle luci bluastre e rosse simili a fiamme, oltre a bagliori e lampi provenienti dal mare. Alle ore 6,21 antimeridiane si verificò la prima grande scossa tellurica, quando le città e i paesi erano ancora avvolti dalle tenebre notturne e la maggioranza della popolazione dormiva tranquillamente nei letti delle proprie abitazioni.
Dieci minuti dopo, verso le 6,30 circa, si ebbe un'altra scossa, meno forte della prima, ma sufficientemente violenta e lunga per causare altre rovine; alle 8,51 infine la terra tremò per la terza volta con una scossa sussoltoria e ondulatoria più breve ma più intensa della seconda, che peggiorò ulteriormente la situazione con altri crolli e nuove vittime. La scossa più disastrosa si rivelò tuttavia la prima, che, preceduta da un rombo fortissimo con rumore di tuono, causò il sommovimento del suolo con un'intensità crescente, e, dopo una breve interruzione, si fece risentire con ancora maggiore violenza in senso sussultorio con tre fasi di rinforzo, divenendo infine ondulatoria e vorticosa prima di esaurirsi completamente. Sulla zona epicentrale del sisma non si hanno invece informazioni sicure in quanto le strumentazioni dell'Osservatorio di Porto Maurizio andarono talmente danneggiate da uscire quasi immediatamente dopo il terremoto fuori squadra.
Soltanto l'Osservatorio di Moncalieri potè rilevare con grande precisione l'andamento del fenomeno tellurico, che si sviluppò, nelle sue linee essenziali, secondo le modalità già descritte. Durante il terremoto, il mare di tutta la fascia costiera ligure si ritirò dalla spiaggia per circa un metro, ritornando subito dopo al livello normale. Il mareografo di Genova risultò inoltre perturbato e registrò un maremoto. A conferma del fatto che l'epicentro del sisma fosse ubicato ad una grande profondità nel Mar Ligure, sulle spiagge delle località costiere vennero rinvenuti molti cadaveri e pesci di alto mare tipici della fauna marina di profondità.
Il terremoto colpì tuttavia in maniera differente le città e i paesi compresi nella zona di massima intensità poiché il movimento sismico agisce con modalità diverse a seconda del tipo di terreni che incontra e di vari altri fattori collaterali. Il grado di intensità del sisma oscillò comunque tra l'8° e il 10° grado della scala Mercalli. Nelle città dove si verificarono lesioni generali agli edifici, caduta di fumaioli e qualche ferito si registrò l'8° grado, nelle località, come Savona, Ceriale, Alassio e Porto Maurizio, in cui si ebbero crolli di case ed alcune vittime umane, si raggiunse invece il 9° grado, mentre dove il sisma provocò crolli generalizzati e numerose vittime, come a Noli, Diano Marina, Oneglia e Bussana, si stabilì un grado pari al 10°.
A Sanremo, in particolare, la prima scossa fu avvertita alle 6,29 del mattino del 23 febbraio; questa scossa, che si rivelò violentissima e di natura ondulatoria, sussultoria e vorticosa, si prolungò per 40 secondi aumentando gradatamente di intensità. Alle 6,33 si verificò un'altra fortissima scossa in senso ondulatorio, che durò 12 secondi, a cui seguì alle 8,57 una terza intensissima scossa sussultoria protrattasi per 3 o 4 secondi. Dopo queste tre prime scosse, indubbiamente le più violente e disastrose, ne furono avvertite anche delle altre nello stesso giorno e nei giorni successivi.
Il terremoto causò diversi ingenti danni agli edifici cittadini: due campanili rovinarono in parte, molte colonne e pilastrini di terrazze si spezzarono, la piccola cupola della Madonna della Costa, sovrastante la cupola più grande, si ruppe a metà, e alcune case della città vecchia, presso la chiesa di San Costanzo, crollarono completamente; risultarono inoltre gravemente danneggiati i caseggiati di mura e di vecchia costruzione, dei quali un centinaio sarebbero poi stati dichiarati inabitabili, mentre molti calcinacci, cornicioni, tramezzi, fumaioli, tetti e volti di parecchi edifici erano caduti a terra durante il periodo di massima intensità del sisma.
Oltre ai danni materiali, valutati due milioni di lire, la città dovette anche subire quelli economici in quanto le forti scosse resero praticamente deserti gli alberghi e le ville cittadine. Migliaia di turisti si attendarono nei pressi della stazione ferroviaria in attesa dei treni, sui quali partirono con il triste ricordo dello scampato pericolo. A Sanremo comunque non si registrò alcuna vittima del terremoto; l'area delle case cadute venne poi utilizzata per dare maggiore aria e luce alle zone più buie e anguste della città, tra le quali in particolare la parte superiore della Pigna, dove furono abbattuti anche edifici di grande importanza storica, mentre, per fortuna, le ottime condizioni climatiche avrebbero in seguito facilitato il ritorno a Sanremo dei numerosi turisti italiani e stranieri che erano soliti svernare nella città matuziana.
A Coldirodi il terremoto provocò il crollo di alcuni muri di case causando il ferimento di una decina di persone, una delle quali morì pochi giorni dopo il sisma. Ma il paese più colpito del comprensorio sanremese risultò quello di Bussana, dove crollarono quasi tutte le case ubicate nel quartiere denominato «Rocche» nella zona alta del paese, mentre il crollo dei muri degli edifici situati lungo l'unica strada, che dalla piazza della chiesa conduceva alla parte alta, causò l'intrappolamento di tutte le persone che vi si trovavano al momento del terremoto, di cui ne perirono circa cinquanta. Anche a Bussana, come a Baiardo dove si registrarono ben 220 vittime, crollò la volta della chiesa dove molti fedeli assistevano alle funzioni religiose del Mercoledì delle Ceneri. Per fortuna la volta resistette alla prima scossa ondulatoria e il popolo poté ripararsi, su consiglio del parroco don Francesco Lombardi, negli altari laterali protetti da robuste arcate. Cinque minuti dopo però una seconda scossa, di natura sussultoria, provocò il crollo della volta della chiesa che si schiantò al suolo travolgendo le cinque persone rimaste.
Di queste, due ragazze, riparatesi sotto delle robuste panche, riuscirono a salvarsi, mentre le altre tre rimasero vittime dello spaventoso crollo. Anche nella parte bassa del paese, il quartiere «Fascette», il sisma lesionò molte case, ma lì la gente riuscì a fuggire per gli spazi più ampi tanto che si ebbe soltanto una vittima, e precisamente una donna rimasta uccisa sotto le macerie. Gravissime conseguenze causò anche la terza scossa, registrata verso le 9, che uccise ancora diverse persone ritornate in paese per tentare il salvataggio dei parenti rimasti sepolti sotto le macerie delle «Rocche» e per cercarvi indumenti e viveri. Poco dopo arrivarono i soldati che disposero delle sentinelle intorno all'abitato e impedirono a chiunque di entrare nel paese, lasciando così morire diverse persone che, imprigionate tra le macerie, attendevano ancora i soccorsi; soltanto due donne e una bambina furono salvate quasi di nascosto due giorni dopo il terremoto.
La popolazione visse poi per diversi mesi sotto tende militari e per i successivi sei anni in baracche di legno edificate in una zona pianeggiante a sud-est del paese, in una situazione di enorme disagio fisico e morale. Fin dai primi giorni sorse inoltre il problema se fosse stato più conveniente riparare i danni e ricostruire le case distrutte oppure abbandonare definitivamente la vecchia sede dell'abitato e costruire un nuovo paese. Dopo lunghe discussioni prevalse la seconda soluzione e i Bussanesi abbandonarono le vecchie case per trasferirsi in un nuovo paese edificato in un'area ben delimitata sul Capo Marine, a due chilometri verso il mare, secondo il piano regolatore predisposto dall'ingegnere genovese Salvatore Bruno.
Alla notizia del grave terremoto, il governo e le altre autorità centrali adottarono diversi provvedimenti. Per prima cosa fu disposto un intervento dell'esercito per effettuare la ricerca dei sopravvissuti e la rimozione dei cadaveri e delle rovine. A dirigere queste operazioni fu inviato, il 24 febbraio, il generale De Sonnaz, che stabilì il suo quartier generale a Diano Marina. L'opera prestata dai militari fu molto apprezzata per la tempestività degli interventi e l'esemplare abnegazone dei soldati impegnati nelle operazioni di soccorso. Il 25 febbraio giunse in Liguria per ispezionare i luoghi del disastro il ministro dei Lavori pubblici Francesco Genala, che, negli otto giorni della sua permanenza, visitò tutti i centri colpiti dal sisma constatando lui stesso la lentezza e l'inefficenza dei soccorsi in certe zone. Il 27 febbraio il ministro visitò Sanremo, Ceriana e Baiardo, dove si commosse nel vedere tante rovine e tanti lutti. Intanto il sopraggiungere delle notizie sul terremoto aveva mobilitato l'assistenza pubblica e privata in tutta Italia
Tra i primi a manifestare la propria solidarietà alle popolazioni colpite vi fu il re d'Italia Umberto I, che il 26 febbraio fece pervenire ai prefetti di Genova e Porto Maurizio un telegramma di cordoglio, accompagnato dalla rilevante offerta di 150.000 lire. Anche papa Leone XIII volle contribuire personalmente alle elargizioni per i terremoti inviando la somma di 20.000 lire. Nelle maggiori città italiane sorsero comitati di soccorso che si impegnarono attivamente nell'invio di aiuti e nella promozione di sottoscrizioni in denaro. A Sanremo il sindaco Asquasciati già il 23 febbraio aveva istituito un Comitato Circondariale di soccorso ai danneggiati dal terremoto, che in pochi mesi raccolse numerosissime offerte di privati cittadini, tra i quali si distinsero in particolare i turisti tedeschi e inglesi, che contribuirono in modo sostanziale alle sottoscrizioni. A Roma il sindaco Torlonia prese l'inziativa di trasformare il Comitato Nazionale per l'epidemia colerica di Napoli, costituito l'anno precedente, in Comitato Nazionale di Soccorso pei danneggiati del terremoto in Liguria, che si incaricò di raccogliere le sottoscrizioni delle maggiori personalità italiane, fra le quali quelle particolarmente consistenti della Casa reale e dei deputati del Regno, inviando nello stesso tempo un appello a tutti i comuni d'Italia affinché contribuissero alla raccolta dei fondi.
Nacquero allora comitati di soccorso in diverse città tra cui Milano, Bologna, Ancona, Napoli, ai quali si affiancarono banche, municipi e associazioni, in particolare quelle di Mutuo Soccorso. A Torino il Comitato di soccorso mandò alle popolazioni liguri colpite dal terremoto 2.200 coperte, 4 vagoni di paglia e foglie compresse, 500 pagliericci, riso, pasta, gallette, una tonnellata di pane e numerosi medicinali. Per coordinare e ricevere tutti gli aiuti inviati nella Provincia di Porto Maurizio, il prefetto Edoardo Bermondi costituì un Comitato Provinciale di Soccorso pei danneggiati, presieduto dallo stesso prefetto e composto dai sindaci delle maggiori località costiere. Al Comitato fu affidato il compito di ripartire a seconda delle richieste e delle oggettive necessità dei Comuni tutte le somme in denaro provenienti da istituzioni pubbliche e da privati cittadini.
Successivamente lo Stato dovette però prendere atto che l'estensione e la gravità dei danni subiti dalla Riviera ligure rendevano inderogabile un suo intervento a livello finanziario per fornire i capitali necessari alla ricostruzione dei paesi maggiormente colpiti dal sisma. Il 31 maggio 1887 venne quindi emanata la legge n. 4511 per i danneggiati del terremoto, che fissava a 1.800.000 lire la somma da erogare come sussidio a favore delle popolazioni delle province di Genova e Porto Maurizio colpite dal terremoto, e a 200.000 lire quella diretta ai danneggiati della provincia di Cuneo. La legge definiva inoltre l'entità dello stanziamento pubblico destinato a province e comuni, fino alla concorrenza di 10.000.000 di lire, per lo sgombero delle macerie, i lavori di ristrutturazione delle strade e degli edifici pubblici, e prevedeva infine la possibilità per i singoli proprietari danneggiati di poter usufruire di anticipazioni in conto ipotecario senza interessi e di speciali mutui fondiari, per i quali si fissava un apposito fondo di 20.000.000 di lire.
In particolare, i cittadini che avevano subito i danni maggiori potevano chiedere un prestito in denaro, da restituire entro 25 anni, ad una delle tre banche autorizzate, cioè , il Banco di Napoli e di Risparmio di Milano, ad un tasso di interesse del 3,5%, di cui il carico del richiedente e lo carico dello Stato, che si addossava anche il totale pagamento delle rate dei primi cinque anni. Analoghi mutui furono concessi dalla Cassa Statale Depositi e Prestiti ai Comuni maggiormente colpiti per la ricostruzione dei principali edifici pubblici. La legge, oltre ad alcuni modesti sgravi fiscali concessi ai terremotati, prevedeva infine lo stanziamento di speciali sussidi alle vedove e agli orfani delle vittime del sisma, nel caso questi fossero stati riconosciuti particolarmente bisognosi di aiuto ed assistenza.
Per applicare le norme previste dalla legge venne allora istituita una Commissione Reale pei danneggiati del terremoto, che, presieduta dal presidente della Camera Biancheri, ebbe il compito di sovrintendere alla stima dei danni e alla distribuzione dei sussidi e dei mutui, nonché di proporre al governo tutto ciò che ritenesse opportuno per predisporre gli interventi più adatti in favore delle popolazioni colpite dal sisma. raccolse tutti i dati provenienti dalle varie località secondo una stima di massima dei danni redatta dai servizi del Genio e compilò un elenco dei 236 comuni che erano ammessi ad usufruire dei contributi previsti dalla legge pro terremotati, di cui provincia di Genova, provincia di Porto Maurizio e provincia di Cuneo.
Per poter accedere ai contributi statali era inoltre previsto che i danneggiati presentassero, entro il 31 luglio, regolare domanda alla Giunta municipale di competenza, contenente la descrizione dettagliata del danno subito secondo una casistica che contemplava sette categorie di danni: dalla morte o il ferimento del capo famiglia, alla perdita del lavoro e di beni mobili ed immobili. Le domande dovevano poi seguire un iter burocratico particolarmente lungo e complesso in quanto, dopo un primo esame della Giunta, che doveva esprimere un giudizio sulla reale necessità del richiedente, esse passavano alla Commissione mandamentale provinciale che definiva l'ammontare del danno, in base alla cui entità si sarebbe concesso il sussidio. Gli elenchi così compilati, accompagnati da un'ulteriore relazione scritta dal prefetto, erano quindi trasmessi a Roma alla Commissione Reale pei danneggiati che analizzava dettagliatamente tutta la documentazione e predisponeva il riparto dei sussidi, ordinando, a seconda dei casi, ulteriori indagini. La pratica seguiva poi il percorso inverso tornando alla competente Giunta Comunale. La legge a favore dei terremotati deluse tuttavia le aspettative della popolazione colpita dal sisma, soprattutto a causa delle complesse procedure contenute nel Regolamento di esecuzione emanato il 30 giugno 1887, che di fatto rappresentarono un impedimento al rapido espletamento delle pratiche previste dalla stessa legge.
Per Porto Maurizio, in particolare, il Genio valutò l'ammontare totale dei danni a 13.728.012 lire, una somma però che, a causa delle intense piogge avvenute nel mese di marzo, crebbe in seguito in modo consistente. Per il Comune di Bussana, che era sicuramente il paese che aveva subito maggiormente le drammatiche conseguenze del sisma, i danni accertati dal Genio ammontavano invece a 520.557 lire. Della somma valutata dal Genio ne riconobbe però la legittimità soltanto per 7.387.216 lire, mentre delle oltre quattordicimila persone che avevano presentato domanda di sussidio, la stessa Commissione ne prese in considerazione solo 8.683, scartandone poi ancora 1.842.
In totale i sussidi distribuiti ai danneggiati ammontarono a 1.400.000 lire; trattamento molto modesto fu anche riservato alle vedove e agli orfani per causa del terremoto: alle vedove fu infatti elargita la somma di 600 lire a ciascuna delle «più bisognose» e di 500 lire alle più povere, ma in pratica, nelle province di Porto Maurizio e di Genova, assegnò il sussidio di 50 lire alla prima categoria e di 25 alla seconda. Modesta fu anche la somma destinata agli orfani di entrambi i genitori, ammontante a 800 lire, dalla quale furono tuttavia esclusi in molti per poter contenere i beneficiati nel numero di 70. Gli orfani del solo padre, in tutto 122, ricevettero invece soltanto 400 o 500 lire. Molti di questi orfani furono poi ospitati in orfanotrofi o istituti religiosi grazie all'interessamento di benefattori e opere pie.