Il tema non è più rimandabile, è necessario che l’Italia affronti al più presto il nodo dell’innovazione per non mancare gli obiettivi di crescita e di sviluppo su cui da tempo si discute in ogni salotto buono. Soprattutto per dare al sistema industriale nazionale le risposte che merita.
I dati sono chiari e semplici: Stati, Regioni, imprese e Pubblica Amministrazione che negli ultimi 5 anni hanno investito in modo solido in ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica al servizio di ogni settore industriale e diffusione del digitale, vedono oggi aumentare efficienza ed occupazione e hanno recuperato molta di quella Sovranità economica oggi indispensabile a livello internazionale.
Poco importa se in questo percorso, all’Agenda Digitale delle varie nazioni, si sono aggiunte anche risorse finanziate ad hoc, previste dei Programmi di Accelerazione dell’Innovazione di Commissione europea. Anzi, questa ipotesi sottintende sapere a priori dove sono i contributi e quali risorse sono a disposizione oltre confine. Chapeau. O meglio, normale sia così.
Sarà anche per questo che l’economia di Malta cresce del 5,5% all’anno, mentre la nostra solo dello 0,2-0,4%.
Ma l’Italia, in cui 6 imprenditori su 10 dichiarano inutile internet per sviluppare business, non sembra realizzare che il tempo è scaduto. Il 60% della forza lavoro attiva oggi non possiede le competenze minime per confrontarsi con i colleghi europei di nazioni più giovani, magari piccole dal punto di vista territoriale, ma capaci di studiare il futuro nelle Università.
Una situazione da Giudizio Universale di Michelangelo in cui però non tutto sembra perduto per la voglia dei lavoratori di tendere la mano alle nuove tecnologie come Intelligenza Artificiale, stampa 3D, robotica e manifattura digitale. Solo che all’Adamo che allunga il braccio verso Dio circondato da angeli, nell’affresco della nostra quotidianità si sostituisce un’iconografia tecnologica che ha come protagonisti competenze, formazione e futuro.
Ci manca però la capacità di focalizzare con nitidezza i personaggi dell’affresco, di cogliere la giusta luce da cui osservare le sfaccettature e di leggere i contrasti che rendono l’opera davvero grande. Tradotto, manca la percezione di come le opportunità offerte dall’innovazione e dall’utilizzo del digitale nelle imprese pubbliche e private italiane possa fare la differenza. Così come la sensibilità di capire che avremmo dovuto creare già da molti anni corsi di laurea in marketing innovation, digital transformation e business technology.
Il sospetto di chi ci osserva dall’esterno è che nella stanza dei bottoni italiana manchi la voglia di fare rete per valorizzare giovani con competenze di mercato più europee. Allora bisogna recuperare il terreno perduto, ma attenzione perché farlo in una settimana sarebbe peggio di rimandarlo al 2020.
Morale: il rischio è rallentare ancora lo sviluppo dell’intero Paese per non modificare gli assetti istituzionali e i modelli che funzionavano nel secolo scorso, ma in cui non esistevano Facebook, il cemento magia smog, le auto elettriche a guida autonoma oppure il cartello stradale capace di produrre 100 litri di acqua potabile al giorno semplicemente filtrando l’umidità dell’aria in aree desertiche.
È una riflessione operativa che in un Paese in recessione tecnica - perifrasi per dire assenza di crescita e di visione di lungo periodo - coinvolge tutti e ad ogni livello. Davvero tutti.