Tra poco meno di tre settimane la mostra “Sanremo e l’Europa” concluderà il suo ciclo di aperture e di manifestazioni collegate che hanno caratterizzato l’estate sanremese 2018 che hanno visto aprirsi le porte dell’ex carcere di Sante Tecla a migliaia di ospiti e cittadini.
Sabato, alle 21.15 il Professor Saverio Napolitano terrà una conversazione dal titolo “Stranieri in riviera tra otto e novecento. Modernizzazione, interazione integrazione, worl history”. Introdurrà Loretta Marchi.
La conversazione affronta il tema ben noto della presenza straniera in Riviera tra Otto e Novecento non tanto considerandola espressione di moda di quel viaggio praticato all’epoca da ceti aristocratici e alto-borghesi né come fenomeno meramente turistico, quanto cogliendone le incidenze e le implicazioni sul piano delle interrelazioni socio-culturali tra ospiti e società ponentina.
La disamina del cinquantennio 1872-1922 è effettuata utilizzando tre categorie storico-sociologiche: quelle della modernizzazione, dell’interazione integrazione socio-culturale, del rapporto con la storia mondiale.
Il contenuto della relazione sintetizza tre studi svolti nel periodo 2010-2015 e compresi nei volumi miscellanei “Stranieri nel Ponente ligure. Percorsi e testimonianze tra Ottocento e Novecento”; “Palme di Liguria. Economia, paesaggio e significato simbolico nell’estrema Riviera di Ponente (secoli XII-XX)”; “Il viaggio in Riviera. Presenze straniere nel Ponente ligure dal XVI al XX secolo” e “La conferenza della pace di Sanremo del 1920”.
Saverio Napolitano è storico e studioso raffinato e colto, molto noto per gli studi dedicati al Ponente ligure sempre affrontati con lucidità e attenzione interdisciplinare. E’ direttore del bollettino Villaregia e per anni è stato dirigente scolastico.
Lunedì alle 21.15 i fratelli Vacchino hanno deciso di fare un’ eccezione e di proiettare la seconda visione di un film una delle sale dell’Ariston, un cinema fra i più famosi in assoluto, solito proiettare prime visioni di fascia alta.
Infatti, “Ma l’amor mio non muore” fu lanciato, 115 anni fa, in prima mondiale nel Giardino d’inverno del Casinò Municipale, assiepato da un pubblico strabocchevole.
Tra la folla di spettatori interessati alla pellicola molti erano i cittadini sanremesi ansiosi di rivedersi, perché avevano partecipato come comparse durante le riprese in diverse parti della città.
Il regista Mario Caserini e la grande diva pro tempore Lyda Borelli, avevano infatti scelto ambienti di Sanremo e di Ospedaletti peruna produzione che divenne uno dei maggior successi dell’epoca: la cui fama sopravvive, ancora ai tempi nostri, presso i cultori della settima arte di tutta Europa.
Certamente il revival della sala Roof 1 dell’Ariston non susciterà le emozioni della sua prima e lontana uscita sanremese: ritmi e confezione, effetti scenici e sonori ai quali ci ha abituato il cinema attuale, vanno dimenticati e sostituiti con un diverso tipo di attenzione.
L’occasione offerta da Carla e Walter Vacchino, nell’ambito delle manifestazioni collaterali alla Mostra Sanremo e l’Europa ci ripropone un reperto, con oltre un secolo d’età, nel buio di una sala e immersi nella comodità di una poltrona.
Il critico cinematografico di Repubblica Renato Venturelli introdurrà la pellicola, situandola nel contesto in cui si realizzò, ponendo particolare attenzione, come emerge dai suoi scritti, sulla “liguricità” del film: a partire da Lyda Borelli il cui luogo di nascita oscilla tra la Spezia e Rivarolo Ligure, mentre più certa è la paternità della sceneggiatura degli autori genovesi Monteleone e Bonetti.
La vicenda non si svolge a Sanremo ma nel Ducato di Wallenstein, dove talvolta le pareti del castello perdono la fissità marmorea per un alito di vento durante le riprese, le pecche del trucco sono evidenti, la recitazione è ancora esagerata nei gesti e nelle espressioni, spietatamente rivelate dalla crudele prossimità dell’obiettivo.
“Ma l’amor mio non muore” continua a rimanere famoso nel tempo perché rispecchia il costume mondano ottocentesco, ricalca moduli tipici del romanzo d’appendice, riflette il gusto letterario di quegli anni nelle esagerazioni, a volte plateali, dei sentimenti.
Il giudizio della critica è unanime nel ritenerlo privo di rilievo artistico sostenendo che il suo prevalente, ma perenne interesse sia quello di aver anticipato alcuni dei vizi cronici ancora riscontabili in molte produzioni nazionali. Si arriva persino a definirlo “film di attrice più che di regista” per la presenza di Lyda Borelli, affermata star del teatro che, proprio con questo film, si impose al grande pubblico, inaugurando il periodo delle dive fatali da tendaggio.
La vicenda riguarda Stahr, un losco avventuriero che, sotto le spoglie di turista, corteggia Elsa, la figlia del colonnello Holbein: in realtà l’uomo è una spia che sottrae preziosi piani militari, al padre provocandone il suicidio. Elsa viene esiliata all'estero, dove assume il nome d’arte di Diana Cadoleur, si esibisce come pianista e cantante in un centro della riviera, quindi sul palcoscenico come attrice.
Conosce Massimiliano, giovane aristocratico convalescente da una grave malattia, figlio in incognito del granduca di Wallenstein. Elsa lo ignora e fra i due si scatena una forte passione. Mentre la coppia si trova vacanza a Locarno rispunta Stahr, il quale assilla Elsa, che lo respinge sdegnata.
Per vendicarsi, tornato a Wallenstein, il bieco individuo sparge la voce che Massimiliano sia caduto succube della figlia del traditore Holbein.
Il granduca fa rimpatriare il figlio ed Elsa ne scopre la vera identità abbandonandolo disperata. Massimiliano non vuole rinunziare all’amata, la cerca e la ritrova nel teatro mentre recita La signora dalle camelie.
Nella scena finale, Elsa-lyda Borelli si è realmente avvelenata e spira tra le braccia dell’amante mormorando con un filo di voce: “Ma l’amor mio non muore”: Lunedì 27 alle ore 21,15 nella sala Roof 1, Carla e Walter Vacchino invitano la cittadinanza ad esser presente”.