Occorre oggi approfondire in maniera più tecnica la disciplina dei licenziamenti, indagando in particolar modo sulle tutele che la legge riconosce ai lavoratori nei casi di licenziamento illegittimo.
Infatti, come risulta del tutto evidente ‒ spesso anche sulla base dell’esperienza ‒ è possibile che il datore di lavoro intimi un licenziamento nei confronti di uno o più lavoratori al di fuori dello stretto canale di legittimità disciplinato dalle norme di legge. Pertanto, in assenza dei presupposti sostanziali (come le ragioni della giusta causa o del giustificato motivo) e delle caratteristiche formali (ad esempio la forma scritta o l’obbligo di motivazione) prescritte dall’ordinamento, l’atto del licenziamento può essere viziato.
Questo comporta l’attivazione di tutta una serie di tutele volte, in qualche modo, a correggere l’evidente posizione di squilibrio contrattuale che incombe sulla figura del lavoratore.
Prima di esporre, nel corso dei successivi appuntamenti, i vari regimi di invalidità del licenziamento, e le contestuali reazioni proposte di volta in volta dall’ordinamento, occorre fare chiarezza su alcuni punti centrali.
Innanzi tutto, nel nostro paese la disciplina che regola la materia del licenziamento è ‒ per così dire ‒ molto stratificata. Infatti, in assenza di un testo definitivamente organico, le varie nozioni sono da ricercare in decenni di evoluzioni normative: dalla base offerta dal Codice Civile, alla Legge n. 604/1966, all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, alla l. 108/1990, alla Riforma Fornero (l. 92/2012) fino all’ultimo D.lgs. 23/2015.
Come aggrovigliarsi in questo delicato terreno è impresa assai ardua, ma si cercherà di fare un po’ di chiarezza, un passo alla volta.
Al di là del contenuto specifico delle varie tutele, una prima distinzione da fare è proprio sulle caratteristiche dei lavoratori, semplificando al massimo, tra vecchi e nuovi.
Per lavoratori “vecchi” intendiamo quei soggetti che abbiano iniziato un rapporto di lavoro subordinato in data anteriore al 7 marzo 2015. Questi individui infatti godranno, per tutta la durata del contratto, dell’applicazione integrale di una disciplina precedente, oggi in gran parte non più in vigore per i nuovi assunti. Essenzialmente, essi saranno soggetti alle forti tutele riconosciute dal celeberrimo art 18 dello Statuto dei lavoratori che, (per ora) senza andare troppo in profondità, favorisce una maggiore stabilità del posto di lavoro in caso di licenziamenti illegittimi, soprattutto attraverso un maggiore campo di applicazione della cd. Reintegrazione (vale a dire: il giudice, dichiarando che Tizio è stato licenziato in modo illegittimo, ordina il suo reinserimento immediato sul posto di lavoro).
Invece, i lavoratori “nuovi”, e cioè quelli assunti dopo il 7 marzo 2015, sempre con contratti di lavoro subordinato, si vedranno applicata la innovativa disciplina del c.d. contratto a tutele crescenti. Questa nuova formula, contrariamente a ciò che potrebbe lasciare intendere, non incide sulla natura del contratto, che rimane espressione di un tradizionale rapporto di lavoro subordinato con le solite regole. Piuttosto, le modifiche si scorgono proprio sul punto della tutela del lavoratore nel caso di licenziamenti illegittimi. Infatti, il Legislatore con l’introduzione del Jobs Act (D.lgs. 23/2015) ha stabilito una forte riduzione delle ipotesi di reintegrazione sul posto di lavoro, scambiandole con il riconoscimento di una indennità monetaria dall’ammontare variabile in misura crescente rispetto all’anzianità aziendale posseduta dal lavoratore (di qui il nome tutele crescenti). Tutto ciò significa che per questi individui troverà in larga parte applicazione il D.lgs. n. 23/2015, invece dell’art. 18, e le ipotesi di reintegrazione, pur non scomparendo, resteranno limitate ad un numero marginale di casi estremi.
Inoltre, non è sempre detto che aver stipulato un contratto di lavoro prima del 7 marzo 2015 impedisca l’applicazione del regime delle tutele crescenti.
Ad esempio, la nuova disciplina ora in parola interesserà anche i contratti di apprendistato o a tempo determinato che siano stati trasformati in contratto a tempo indeterminato dopo la medesima data indicata.
Inoltre ‒ e questo da molti è stato considerato un punto molto controverso della riforma ‒ saranno soggetti al nuovo regime anche coloro i quali siano stati assunti in data antecedente al 7 marzo 2015 nell’ambito di un’impresa che a seguito di nuove assunzioni (post 7 marzo) incrementi il proprio organico al di là delle 15 unità.
Ne deriva che, eccezion fatta per quest’ultima “preoccupante” ipotesi, sarebbe assai facile riscontrare all’interno di una stessa impresa dei lavoratori, magari con caratteristiche professionali analoghe, ai quali si dovranno applicare differenti discipline in ordine alla tutela dai licenziamenti illegittimi, e questo per il sol fatto di essere stati assunti prima o dopo la data di entrata in vigore del D.lgs. n. 23/2015!