LA VERA STORIA DI OSCAR RAFONE - 11 settembre 2016, 07:10

La vera storia di Oscar Rafone: Io posso salvarti (cap.29)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line'

La vera storia di Oscar Rafone: Io posso salvarti (cap.29)

Arrivai al laghetto verso le quattro. Zak era già lì. Seduto su uno scoglio all'ombra, giocava con la psp.

Capii subito che voleva litigare dal fatto che cominciò ad accusarmi che ero arrivato tardi.

— Non abbiamo fissato un'ora precisa, — gli dissi.

— Il pomeriggio comincia prima, subito dopo mangiato, — disse acido.

— Scusa, ma io non ho neanche mangiato. In questi giorni vivo senza orari e non mi so regolare senza orologio.

— E il cell? L'ora ce l'avevi sul cell.

Insomma, cercava il pelo nell'uovo. Gli spiegai che la batteria del cell era morta, ma attaccò con un'altra storia. Disse che arrivare fino al laghetto era stato un casino e che aveva bestemmiato tutti i morti. Anche i miei.

Feci finta di non aver sentito, ma sapevo che aveva cercato di provocare la rissa con quella chiara allusione a mia madre. Avevo già troppi problemi e non volevo anche mettermi a litigare con un mio amico fino ad arrivare a picchiarci. Era già successo diverse volte da quando ci conoscevamo. Qualche volta le prendeva lui e a volte me le dava, ma per la maggior parte finiva pari e patta.

Mi sedetti accanto a lui e stetti un po' in silenzio, mentre continuava a usare forsennatamente i pollici in un picchiaduro sulla psp.

Fu lui a riprendere la conversazione dopo un forte vaffa di soddisfazione urlato all'avversario che aveva sconfitto giocando.

— Ti stanno cercando,— disse.

— Chi, mio padre?

— Cacchio ne so se ti cerca tuo padre. Quello è pazzo, magari non sa nemmeno quello che hai fatto.

Lui non usava la parola cacchio, ma un'altra che fa rima con pazzo, però io non voglio scrivere parolacce e allora diciamo che neanche lui le usava.

Comunque non capivo. Che mio padre non sentisse la mia mancanza, ero quasi sicuro. Chi mi stava cercando allora? I genitori di Martini per farsi risarcire la moto? Poco probabile, visto che la richiesta era stata già rivolta a mio padre, il quale proprio per questo aveva tentato di accopparmi! La scuola, per le assenze non giustificate? Ridicolo.

— Sono giorni che non vedo nessuno, Zak. Chi mi sta cercando?

— Tutti. La scuola, i carabinieri... Un paio di genitori delle terze dicono che se ti beccano ti menano a sangue prima di consegnarti ai carabinieri.

Se voleva spaventarmi ci era riuscito. Un brivido mi corse lungo la schiena. Non stava scherzando. Non sarebbe venuto fin lassù solo per farmi uno scherzo così stupido.

— Non ci credo, — azzardai per costringerlo a essere più convincente.

— Non ci credi? E che cosa ti aspettavi, che ti scrivessero un bigliettino di auguri? "Caro Oscar, ti siamo veramente grati per aver rubato i quindicimila euro della gita e ti auguriamo una fantastica vacanza".

Bum! Ebbi un tuffo al cuore. La cosa era proprio seria.

— Ma io non ho rubato niente! — provai a dire.

— Ti ha visto la segretaria della scuola. Venerdì, il giorno che sei venuto con la mazza da baseball.

— Ma quel giorno mi hanno visto anche la Toscano e la Cozza. E hanno visto che me ne andavo via.

— La segretaria dice che ti ha visto anche dopo, nel pomeriggio, quando la scuola era stata chiusa per il fine settimana ed era aperta solo la segreteria.

— Ma io avevo appena spaccato di botte la moto di Martini! Secondo te ero proprio scemo a girare ancora intorno alla scuola?

— Cacchio ne so io se sei scemo davvero o ci fai. Fatto sta che la segretaria ha raccontato a tutti che aveva lasciato il cassetto aperto ed era andata in bagno. Dice che non si è fatta il problema di chiuderlo a chiave quel cassetto perché tanto erano usciti tutti e la scuola era tranquilla. Lo ha chiuso a chiave solo dopo essere tornata dal bagno, prima di andarsene via ma a quel punto non ha fatto caso che ormai i soldi non c'erano più.

— Ma è pazzesco! Come fanno a dire che sono stato io a prenderli?

— Lei dice che tu sapevi che i soldi della gita avrebbero dovuto essere raccolti entro venerdì. Sapevi che cinquanta ragazzi avrebbero versato trecento euro a testa...

— Ma questo lo sapevano tutti gli alunni di terza. Lo sapevo anche io solo perché ho degli amici in terza b e in terza c che si erano vantati con me di andare in gita nonostante le note sul registro.

— Comunque lei dice che aveva chiuso i soldi nel cassetto ed è andata in bagno; tu sei salito dalla finestra, hai preso i soldi, hai richiuso il cassetto e sei saltato dalla finestra. Lei è tornata in ufficio, ha chiuso il cassetto — stavolta a chiave — ma senza controllare se i soldi erano ancora lì ed è andata a casa. Il cassetto è rimasto chiuso fino a martedì mattina, quando la Toscano ha chiesto alla segretaria i soldi per andare a prenotare la gita in agenzia. E lì si sono accorti che il cassetto era vuoto. Adesso, mettici che sei sparito dalla circolazione, mettici che ti servivano i soldi per pagare la moto di Martini senza farti scuoiare vivo da tuo padre... Tra l'altro è stato proprio lui a dichiarare ai carabinieri che eri scappato di casa e a sostenere che quasi sicuramente lo avevi fatto per non farti beccare coi soldi. E comunque, ti ripeto, la segretaria ti ha visto intorno alla scuola proprio venerdì pomeriggio. Insomma, sei fregato.

— Ma non è vero niente. Io dopo che mi sono sfogato sulla moto di Martini mi sono allontanato dalla scuola e da allora non ci sono più tornato.

— Ah, sì, e dov'eri? C'era qualcuno con te che potrebbe testimoniarlo?

— No, ero solo. Non avevo voglia di vedere nessuno, me ne sono andato in giro per strade solitarie; sono risalito in paese di sera, sul tardi.

— E pensi davvero che ti credano? Ma Oscar! Lo sai meglio di me che gli sfigati come noi sono i primi su cui cadono i sospetti in casi del genere. Devo essere sincero? Lo abbiamo pensato tutti che eri stato tu. Ancora prima che la segretaria ricostruisse il fatto con i carabinieri, io sono stato il primo a capirlo. Ti conosco meglio di chiunque altro. E sai cosa ti dico? Hai fatto bene! Se lo meritano in pieno, la scuola, i prof, i nostri compagni... mi stanno sul cacchio tutti, nessuno escluso. Io l'avrei fatto sicuramente senza alcun problema, se solo mi si fosse presentata l'occasione. E adesso sarei già da qualche parte a spendermeli.

Avrei voluto fargli due conti e dimostrargli che con quella cifra, anche se a noi poteva sembrare alta, non si va molto lontano, ma pensai che fosse inutile.

Sembrò che mi leggesse nel pensiero, perché disse: — Sì, lo so che non ci campi una vita, ma a me sarebbero bastati per andarmene in Germania da mia sorella e una volta là mi sarei trovato un lavoro e buonanotte al cacchio, qua in questo posto di emme non ci tornavo più.

Poi fece una cosa strana, mi venne vicino vicino e mi abbracciò. Lo lasciai fare, ero abbastanza abituato a queste sue stranezze. Era un ragazzo con un'emotività molto spiccata, almeno questo era ciò che mi diceva sempre la Toscano per calmarmi dopo che ci avevano sorpresi a picchiarci per i corridoi o nei bagni della scuola. Mentre mi stringeva mi parlò nell'orecchio.

— Oscar, ti prego, fai a metà con me. Quei soldi mi servono, non ce la faccio più a restare qui. Ti prego, Oscar. Io posso salvarti, posso testimoniare che quel pomeriggio eravamo insieme da un'altra parte, lontano dalla scuola. Ti prego, Oscar, ti trovo uno scontrino o un biglietto del cinema, o qualche cacchio di prova per tirarti fuori da questa emme.

Mi irrigidii e lo allontanai da me. Lo fissai negli occhi e dissi scandendo bene le parole: — Non ho rubato niente.

Come se non avessi parlato, lui continuò:

— Se non vuoi darmi la metà, posso capirti, devi anche pagare la moto di Martini e quella costa parecchio, ma cinquemila me li puoi dare. Oscar, — insistette — solo cinquemila euro e testimonio tutto quello che vuoi.

 

Enzo Iorio

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