Sanità - 14 agosto 2016, 07:25

La Sindrome del Burnout: cos'è e come affrontarla. Da questa settimana un ospite fisso

Per “sindrome del burnout” si intende quello stato di esaurimento psicofisico accompagnato da un calo significativo di motivazione e di impegno nell’ambito del proprio ruolo professionale

La Sindrome del Burnout: cos'è e come affrontarla. Da questa settimana un ospite fisso

Cari Lettori, cari amici, da questo mese avremo un ospite fisso: la Dottoressa Irene Barbruni, nota psicologa matuziana. Ogni mese ci accompagnerà con un articolo, una riflessione sulle patologie che affliggono la nostra mente. Ne capiamo l’importanza con il concetto di salute: benessere psico, fisico e sociale.

Invito i nostri lettori a porre domande o richieste di argomenti specifici come sempre al mio indirizzo: salute@sanremonews.it. Anonimato e privacy sono garantiti. 

LA SINDROME DEL BURNOUT: per “sindrome del burnout” si intende quello stato di esaurimento psicofisico accompagnato da un calo significativo di motivazione e di impegno nell’ambito del proprio ruolo professionale. E’ una patologia che si incontra in modo particolare in quelle professioni che si occupano di aiuto verso gli altri (come medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, educatori). 

Come si manifesta, quali sono i sintomi? In conseguenza di una situazione di stress prolungata si può verificare un esaurimento psicofisico, deterioramento relazionale, inefficacia professionale e disillusione. Tutto ciò si traduce nella perdita di interesse per la propria professione e di conseguenza anche lo sfilacciamento del senso di responsabilità del proprio ruolo. La persona vive sensazioni di tensione ed ansia accompagnate dal cambiamento nell’atteggiamento verso le varie operazioni che vanno a costituire l’insieme del proprio lavoro. La sindrome è nello specifico l’effetto di un processo reattivo-difensivo verso il proprio ruolo professionale, che viene vissuto come deludente, frustrante e pesante. In altre parole, l’operatore sperimenta un tale stato di stress e tensione che lo porta a disimpegnarsi nel proprio lavoro; ciò può comportare una crisi sul piano della propria identità soggettiva e sociale. 

Quali sono i fattori che determinano questa sindrome? Per semplificare possiamo distinguere le cause in due tipologie: quelle relative al momento storico-sociale in cui viviamo e quelle di carattere soggettivo. Il burnout è stato descritto recentemente: i primi studi del fenomeno risalgono a metà degli anni settanta. Negli ultimi anni c’è stato un progressivo aumento dell’interesse verso questo fenomeno in quanto si è osservata una maggiore incidenza del problema. In modo particolare nella società contemporanea l’idealità, che accompagna ogni professione, specialmente quelle di aiuto al prossimo, e l’etica che ne consegue, sono state risucchiate dalla dimensione economica ed efficientista. In altri termini, il lavoro è sempre più percepito come una prestazione economica, piuttosto che un’attività sociale. In realtà qualunque lavoro è un atto sociale, in quanto nella società gli individui vivono in un’interazione di sussidiarietà, di interdipendenza. Naturalmente vi sono poi le caratteristiche della personalità individuale che rendono un soggetto più a rischio. In generale le problematiche esistenziali personali come una separazione coniugale, difficoltà relazionali e familiari, rendono il soggetto più vulnerabile all’instaurarsi della sintomatologia. 

Quali sono le categorie lavorative più a rischio? Sono quelle legate ai servizi sociosanitari ed educativi, dove il coinvolgimento emotivo è più forte, e dove il proprio lavoro non è sempre accompagnato da risultati verificabili entro un determinato tempo. La mancanza del risultato del proprio operato sviluppa il sentimento della propria inutilità. Per esempio, un insegnante di ragazzini che non studiano e non ottengono risultati positivi percepirà vano il suo operare ed infine lo valuterà inutile; in questo caso, il soggetto,  per difesa tenderà ad assume atteggiamenti di eccessivo distacco fino ad arrivare al cinismo. Quando si fa più forte la dissociazione tra fatica (energia impiegata) e percezione del significato del proprio operato, il soggetto si smarrisce in un senso di vuoto. L’uomo non può stare senza un significato, se lo percepisce può sopportare anche enormi difficoltà. Non é quindi il burn-out una sindrome psicofisica, ma un segnale della crisi tra prassi (l’agire) ed il significato di quell’agire. Per sottolineare questo concetto prendo spunto dal raffronto tra chi svolge un ruolo di assistenza come volontario e chi come lavoratore. Tra i volontari il burnout è statisticamente inferiore; ciò può essere spiegato dal fatto che in questi l’idealità è più alta, ma minore responsabilità; mentre per chi svolge un’attività d’aiuto come professione l’idealità tende a scendere col tempo, ma permane la forte responsabilità. Questo vuol dire proprio che a fronte di altre variabili (quali orario, stipendio, ecc.) il livello di idealità svolge un ruolo significativo. 

Quali possono essere le conseguenze più gravi? Dal punto di vista individuale, se la problematica non viene individuata ed affrontata, possiamo assistere a problemi di salute anche importanti, con varie conseguenze. Dal punto di vista dell’azienda e delle risorse economiche, questa sindrome porta ad aumenta del fenomeno dell’assenteismo e del turnover. 

Come si può prevenire? Dagli studi condotti negli ultimi anni sappiamo che il sostegno sociale e soprattutto il recupero dell’idealità della professione svolta, hanno un forte valore protettivo rispetto alla sindrome. Ma a questi aspetti devono essere aggiunti elementi organizzativi del lavoro quali un certo grado di coinvolgimento nelle decisioni e di autonomia. Infatti spesso la sindrome è riscontrata dopo circa 3-4 anni di lavoro in soggetti giovani che vivono la frustrazione di non vedere realizzate nel concreto le proprie aspettative. Quindi, se è presente più coinvolgimento ed autonomia è chiaro che la persona mette in atto le proprie risorse e affronta la situazione lavorativa non in modo passivo ma attivo. Come spiegato prima, è fondamentale che il proprio ruolo lavorativo sia inserito in una visione etica del proprio operato. 

Cosa è consigliabile fare qualora ci si riconosca nei sintomi? Bisogna tener presente che il livello del burnout rimane tendenzialmente stabile nel tempo, in quanto la sindrome è una risposta ad uno stress cronico e non acuto. Questo rende la sintomatologia a volte difficile da considerare con il giusto peso. Sicuramente qualora un operatore percepisca un forte aumento dei sintomi descritti sopra, che perdurano nel tempo, è bene ricerchi aiuto per valutare la propria condizione psicologica nell’esercizio del proprio lavoro, senza aspettare che la sintomatologia trovi come luogo di espressione il corpo e quindi emergano problematiche fisiche. 

Come possiamo invece riconoscere i segnali della sindrome su un collega o una persona che è vicino a noi? Sicuramente se osserviamo in un operatore, che ha precedentemente dimostrato un certo entusiasmo nel proprio lavoro, la presenza significativa di cinismo e un conseguente abbassamento del proprio impegno nel lavoro, è probabile che ciò sia il segnale di una problematiche di questo tipo. Certamente vanno anche valutate le possibili problematiche della vita personale, in quanto il logoramento delle relazioni interpersonali deve essere un sintomo e non una causa della sindrome del burnout. Bisogna cioè stabilire se la difficoltà ha origine per la mansione svolta o se deriva dalla propria vita personale, l’intervento sarà di conseguenza.

Se impariamo a conoscerci, attraverso un dialogo interiore, saremo più in grado di intervenire alla soluzione dei problemi. Quindi dovremmo, certo occuparci del mondo che ci circonda, ma non trascurare il mondo che è dentro di noi. 

                                                                                  Irene Barbruni 

Disclaimer:
Tutti gli articoli redatti dal sottoscritto, si avvalgono dei maggiori siti e documenti  basati sulle evidenze, ove necessario verrà menzionata la fonte della notizia:  essi NON sostituiscono la catena sanitaria di controllo e diagnosi di tutte le figure preposte , come ad esempio i medici . Solo un medico può effettuare la diagnosi ed approntare un piano di cura.
Immagini, loghi o contenuti sono proprietari di chi li ha creati, chi viene ritratto nella foto ha dato il suo consenso implicito alla pubblicazione.
Le persone intervistate, parlano a titolo personale, per cui assumono la completa responsabilità dell’enunciato, e dei contenuti.

Il sottoscritto e Sanremonews in questo caso non ne rispondono
Compito dell’infermiere è la somministrazione della cura, il controllo dei sintomi e la cultura della educazione sanitaria.

Roberto Pioppo

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A NOVEMBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.
SU