Attualità - 24 marzo 2016, 09:01

L’affascinante storia dell’incantevole borgo di Pornassio nel racconto del nostro lettore Andrea Gandolfo

Le più antiche testimonianze relative alla frequentazione umana del comprensorio di Pornassio risalgono all’epoca protostorica, quando la zona era presumibilmente abitata da tribù di cacciatori e pastori, poi amalgamatesi con le tribù preromane montane dei Liguri Ingauni.

L’affascinante storia dell’incantevole borgo di Pornassio nel racconto del nostro lettore Andrea Gandolfo

Continuando la sua storia dei comuni della provincia di Imperia, il nostro lettore Andrea Gandolfo ci ha inviato un suo contributo sull’affascinante storia dell’incantevole borgo di Pornassio, lungo la strada che conduce al col di Nava e quindi da sempre al centro di traffici commerciali e transiti di persone.

Le più antiche testimonianze relative alla frequentazione umana del comprensorio di Pornassio risalgono all’epoca protostorica, quando la zona era presumibilmente abitata da tribù di cacciatori e pastori, poi amalgamatesi con le tribù preromane montane dei Liguri Ingauni. A documentare ulteriormente la particolare antichità degli insediamenti umani nella zona pornassina vi sono i resti di una tomba ad incinerazione risalenti con ogni probabilità al VII secolo a.C., comprendenti una ciotola, una catenella in ferro con fibula in bronzo, attualmente conservati nel Museo archeologico di Genova, rinvenuti nel 1914 presso il vivaio forestale di Piano d’Isola situato presso la frazione Ponti. In tale località è stata anche scoperta, in un castagneto sotto la strada, la cosiddetta Pietra delle Croci, un masso tabulare in arenaria di forma quadrilatera, dalle dimensioni di 5 metri per 4,60, che risulta ricoperto da una trentina di profondi segni cruciformi curvilinei e con le estremità arrotondate, che potrebbero essere stati impressi anch’essi in un periodo imprecisato dell’epoca protostorica. Durante l’età romana il territorio dell’odierna Pornassio venne probabilmente colonizzato da una ricca famiglia patrizia che concesse agli abitanti della zona la facoltà di coltivare in condizione di subaffitto piccole parcelle o porzioni di terreno. Dalla fine del IV secolo i coloni si sarebbero quindi legati in modo indissolubile alla terra che avevano preso in subaffitto con la possibilità di trasmettere ai propri discendenti il possesso dei loro terreni, mentre al conduttore delle tenute era riconosciuto il diritto di riscuotere un compenso in prodotti della terra da parte dei dipendenti, che erano di fatto obbligati a coltivare i poderi loro attribuiti dai rispettivi affittuari.

Dopo la caduta dell’Impero romano, la zona pornassina fu interessata dalle invasioni barbariche, mentre la popolazione dell’alta Valle Arroscia si andava lentamente convertendo alla religione cristiana nell’ambito della formazione della circoscrizione ecclesiastica della diocesi di Albenga, la cui opera evangelizzatrice risultò strettamente legata all’amministrazione di ampi possedimenti fondiari, noti sotto la denominazione di patrimonia, che erano stati donati da patrizi romani alle istituzioni ecclesiastiche, le quali ne avevano affidato la coltivazione a coloni, nativi del luogo e a schiavi. Il territorio di Pornassio passò quindi sotto la dominazione dei Bizantini, che lo inclusero nel corso del VII secolo nella Provincia Maritima Italorum, che comprendeva la fascia costiera ligure e il relativo entroterra tra Luni e Ventimiglia, includendo anche la zona dell’alta Valle Arroscia e dell’alto Tanaro. Nel 643 la Liguria occidentale venne conquistata dai Longobardi guidati da re Rotari, che distrusse numerose città rivierasche riducendone in schiavitù gli abitanti. Nella seconda metà dell’VIII secolo il territorio della Liguria di Ponente passò sotto il dominio dei Franchi, che istituirono il Comitato di Albenga, nel quale era compresa anche la zona di Pornassio e dell’alta valle Arroscia. Nel corso del IX e X secolo il comprensorio arrosciano fu interessato dalle violente incursioni dei Saraceni, che dalla fascia costiera penetrarono probabilmente anche nella zona dell’entroterra saccheggiando e devastando numerosi centri abitati, tra i quali forse anche l’odierna Pornassio. Nella seconda metà del X secolo era stata intanto istituita dal re d’Italia Berengario II la Marca Arduinica, nella cui giurisdizione fu compresa anche la zona dell’alta valle Arroscia, incluso il borgo di Pornassio. Successivamente il territorio pornassino passò sotto la giurisdizione del marchese Bonifacio del Vasto appartenente al casato aleramico, il quale, in virtù del suo matrimonio con la figlia della contessa Adelaide di Susa, aveva esteso i suoi domini ai possedimenti arduinici situati a ponente del Tanaro, e in particolare quelli ubicati nel comitato di Albenga, tra i quali anche Pornassio e gli altri centri dell’alta Valle Arroscia. Dopo la morte di Bonifacio, che avvenne poco dopo il 1131, il figlio Anselmo VII, marchese di Clavesana, nelle vesti di rappresentante del casato derivato da quelli arduinico e aleramico, entrò in possesso del territorio di Pornassio, sul quale continuavano tuttavia a rivendicare dei diritti a vario titolo diversi signori della nobiltà feudale locale.

A partire dall’inizio del XIII secolo la zona di Pornassio era intanto passata sotto il dominio dei Conti di Ventimiglia, che eressero un castello nella frazione Villa, ma già nel 1204 Genova aveva ingaggiato una guerra contro gli abitanti dell’alta valle Arroscia, tra cui anche quelli di Pornassio, che alla fine giurarono fedeltà al milanese Guiffredotto Grassello, che rivestiva allora la carica di podestà di Genova. Il 10 maggio 1207 le comunità di Pornassio e Ottano raggiunsero quindi un compromesso con quella di Cosio in merito ai territori contesi in località Alpi di Döwa, che vennero allora equamente divisi tra gli abitanti di Pornassio e Ottano e quelli di Cosio, Mendatica e Montegrosso. Con successivo atto stipulato il 31 maggio 1254, Pornassio, Cosio e Garessio passarono sotto la giurisdizione dei feudatari locali Guglielmo e Robaldo, con riserva da parte dei conti di Ventimiglia di una piccola caratura. Effettuata la suddivisione dei possedimenti, Garessio venne affidata a Guglielmo, mentre Pornassio e Cosio furono assegnate a Robaldo, che avrebbe ricevuto l’investitura ufficiale dei suoi nuovi domini nel 1263. Nel 1270 le truppe del provenzale Roberto di Laveno occuparono Pornassio, ma il paese venne prontamente sgomberato grazie all’intervento del capitano del popolo e del Comune di Genova Oberto Doria. Il possedimento tornò così a Robaldo di Garessio, che però, nel 1274, lo cedette alla Repubblica di Genova. Nove anni dopo i successori del conte di Ventimiglia Enrichetto, Enrico e Pietro, vendettero i loro diritti sui paesi di Pornassio e Cosio a Oberto Spinola. Verso la fine del Duecento si erano intanto verificati dei profondi contrasti tra il marchese di Ceva Nano e Oddone II e Francesco IV marchesi di Clavesana, che miravano tutti e tre a impadronirsi di Pornassio o a pervenire almeno ad un’alleanza che sancisse la situazione di fatto. Dopo alcuni anni di forte tensione che rischiò di sfociare in un aperto conflitto, nel 1310 la vertenza si compose alla fine amichevolmente con la stipulazione di un accordo tra Francesco di Clavesana e i signori di Pornassio Giacobino e Giovannino. Nel 1329 rientrarono però in scena i conti di Ventimiglia, che rivendicavano interessi sulla zona, tanto che proprio in quell’anno il conte intemelio Francesco riuscì ad ottenere dall’imperatore Ludovico IV l’investitura dei feudi di Pornassio, Aurigo, Lavina e Cosio.

Tale investitura non fece altro che acuire ulteriormente le tensioni e a provocare l’intromissione dei marchesi Del Carretto, che reclamavano il possesso del feudo pornassino. In seguito alle vibrate proteste di Giovanni Scarella dei signori di Pornassio per le indebite intromissioni dei marchesi Del Carretto, il doge di Genova Antoniotto Adorno pose fine alla questione pronunciando nel 1385 un lodo che pose Pornassio sotto il dominio della Serenissima affidando contestualmente il feudo pornassino agli Scarella di Garessio, i quali, a loro volta, nel 1460, cedettero una parte del territorio di Pornassio ai Lascaris di Tenda. Oltre un secolo dopo il duca di Savoia Emanuele Filiberto, che aveva acquistato nel 1575 da Renata d’Urfè, figlia del Gran Bastardo di Savoia, il feudo del Maro, avanzò dei diritti di interessenza anche su Pornassio, che - come si è detto - era stato in parte venduto nel 1460 da Giorgio Scarella al conte di Tenda e del Maro Onorato Lascaris. Rimasto così il feudo pornassino a Genova, i Savoia continuarono a rivendicarne con forza il possesso, considerata soprattutto la particolare posizione strategica del paese situato sulla strada che collegava i domini sabaudi in Piemonte a quelli della costa ligure con Oneglia e la sua valle, mentre la Repubblica non aveva nessuna intenzione di abbandonare un così importante posto di controllo ubicato proprio ai confini con i possedimenti sabaudi.

Nel corso della successiva guerra del 1625 tra la Repubblica di Genova e il Ducato dei Savoia, le autorità genovesi ordinarono verso la metà di aprile del ’25 al capitano della Pieve Tomaso Rovereto di molestare lungo i confini le truppe sabaude. Dopo aver saccheggiato Lavina, Cenova e Montegrosso, paesi appartenenti alla giurisdizione di Oneglia, e bruciato molte cascine ai confini di Ormea, le forze genovesi subirono la pronta reazione delle truppe piemontesi al comando del marchese Tomaso Costance, che sfruttava tutte le occasioni possibili per molestare i Genovesi nei loro posti di guardia al fine di poterli poi prendere di sorpresa. Il 26 aprile fece quindi assaltare in forze il ponte di Nava, mentre, con il grosso delle truppe, senza quasi incontrare nessuna resistenza, se ne veniva sotto Nava, da dove le forze genovesi, al comando dell’alfiere Rusticone, furono costrette a ritirarsi. La mattina successiva i Piemontesi, accortisi che le trincee di Nava erano rimaste praticamente senza difensori, se ne impadronirono e senza più alcuna difficoltà scesero a Pornassio e occuparono l’indifeso castello del paese. Qui rimasero per tutto il giorno 28, passando quindi il giorno dopo attraverso la montagna di Parodo a Rezzo, con l’intenzione forse di puntare su Oneglia, ma, saputo che tale città era già caduta in mani genovesi, dopo aver rinforzato il castello del Maro, tornarono il 30 aprile a Pornassio. Dopo una piccola scaramuccia avvenuta lo stesso giorno in località Piano d’Isola che non ebbe esito per il sopraggiungere della notte, Costa Pellegrino, inviato dalle autorità genovesi con 600 uomini per rinforzare la Pieve, mandò nuovamente contro i Piemontesi un corpo di circa 800 soldati, che, nonostante l’ordine contrario dei loro comandanti, si scontrarono con i nemici costringendoli a ripiegare verso Nava. Recuperato in tal modo il possesso del castello di Pornassio, i soldati genovesi penetrarono nel maniero pornassino e, poiché si era diffusa la notizia che i marchesi locali avevano aiutato le truppe sabaude, lo saccheggiarono e, sorpreso uno di tali marchesi, Ottavio Scarella, lo uccisero. Intanto i Piemontesi, non essendo più inseguiti, si trincerarono sul Monte Ariolo, dove attesero l’arrivo del principe Vittorio Amedeo, il quale, a capo di 7000 soldati, non tardò a raggiungerli. Nonostante i continui atti di omaggio alla Repubblica, i marchesi Scarella, sospettati di aver avuto intese con i Savoia, e in particolare di aver favorito l’occupazione di Pornassio da parte delle truppe piemontesi, si sentirono in dovere di chiarire la loro posizione di fronte alle autorità genovesi con una lettera inviata al Senato della Repubblica al termine del conflitto. In tale missiva, inoltrata da Pornassio il 12 agosto 1625, i marchesi Gio Bartolomeo e Luciano Scarella si scagionarono dalle suddette accuse ribadendo ancora una volta la loro assoluta e sincera fedeltà alla Serenissima, alla quale chiedevano nello stesso tempo un adeguato risarcimento dei danni subiti a causa dell’occupazione piemontese. Dovette comunque ancora passare più di un secolo per il definitivo passaggio di Pornassio sotto il dominio sabaudo, che venne sancito dal Trattato di Vienna del 1735, quando la zona pornassina, territorio di grande importanza strategica in quanto passaggio obbligato tra i domini di Casa Savoia di Ormea e del Tanaro e quelli delle valli d’Oneglia e del Maro, entrò a far parte del Ducato sabaudo rimanendovi fino all’epoca dell’invasione del territorio dell’alta Valle Arroscia da parte delle truppe rivoluzionarie francesi.

Dopo gli anni della Repubblica Ligure, proclamata nel 1797, il comprensorio arrosciano venne annesso con il resto della Liguria all’Impero napoleonico nel 1805 e Pornassio entrò a far parte del circondario di Porto Maurizio sotto la giurisdizione del Dipartimento di Montenotte. Durante l’età napoleonica il fatto più significativo fu sicuramente la decisione del governo imperiale di avviare la progettazione della nuova strada per il Piemonte, resa esecutiva con il decreto emanato il 3 luglio 1805, che avrebbe dato avviato ai lavori di costruzione dell’arteria collegante Oneglia con Ormea attraverso il valico del Colle di Nava, una via di comunicazione destinata a rivestire un’enorme importanza per il collegamento stradale tra la Liguria occidentale e il Basso Piemonte, soprattutto sotto il profilo degli scambi commerciali tra le città rivierasche e i principali centri abitati piemontesi, mentre il territorio di Pornassio, situato proprio nel punto di congiunzione tra Piemonte e Liguria nella zona di Nava, avrebbe rappresentato  un centro nodale dei traffici di persone e merci tra le due regioni limitrofe. Dopo la caduta del regime napoleonico, Pornassio rientrò a far parte dei domini del Regno di Sardegna nel 1815 sotto la giurisdizione della Divisione di Nizza, e, dopo la cessione di quest’ultima alla Francia nel marzo 1860, il paese fu aggregato alla nuova provincia di Porto Maurizio. Uscito praticamente indenne dal terremoto del 23 febbraio 1887, che causò soltanto lievissimi danni ad alcuni edifici senza provocare né vittime né feriti, il borgo pagò con alcuni caduti la sua partecipazione alla prima guerra mondiale. Dopo gli anni del regime fascista, il territorio pornassino fu teatro di aspri scontri tra le formazioni partigiane e le truppe nazifasciste, mentre le autorità della Repubblica sociale italiana avevano installato in paese un distaccamento della 33ª legione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale «Generale Gandolfo» agli ordini del colonnello Gianni De Bernardi. Tra le principali azioni partigiane nella zona pornassina si segnalano l’imboscata tesa ai Tedeschi il 10 agosto 1944 da una squadra della «Volantina» guidata dal caposquadra «Cora», che inflisse tre morti e quattro feriti al nemico; l’attacco ad un plotone di SS tedesche da parte di una squadra della I Brigata «S. Belgrano» il 20 agosto ’44 nella zona del Castello e della Villa, seguito il giorno dopo da una feroce rappresaglia da parte dei nazisti che in frazione Villa uccisero i civili Eugenio Giaccheri, Maria Nano Ramò e Luigia Ramò; l’assalto ad un contingente di Tedeschi, sorpresi nei pressi di Ottano il 22 agosto del ’44 da una squadra facente parte del distaccamento «G. Garbagnati» al comando di Franco Bianchi (Stalin), che ferì in modo grave due Tedeschi; e l’attacco ad una postazione tedesca attuato lo stesso giorno a Ponti di Nava dal comandante Silvio Bonfante (Cion) e da una squadra partigiana al comando di Massimo Gismondi (Mancen). Un altro tragico episodio fu quello che vide la morte accidentale del garibaldino austriaco Franz Mottl (Carlo), ucciso a Pornassio il 13 novembre 1944 in seguito allo scoppio di una bomba a mano greca custodita nello zaino del viceresponsabile del Servizio informazioni militari Rinaldo Delbecchi, mentre il partigiano straniero rientrava dal Piemonte, dove si era ritirato con la I Brigata dopo i fatti di Upega. Il 24 agosto ’44 i Tedeschi, che avevano rinforzato i loro presidi a Case di Nava, Ormea e Pieve di Teco, si recarono a Pornassio dove incendiarono numerose abitazioni e uccisero vari ostaggi, tenendo la popolazione locale in viva apprensione, che sarebbe continuata fino alla definitiva cacciata dei nazisti dal territorio pornassino nelle giornate della Liberazione alla fine di aprile del 1945.

Nel secondo dopoguerra si è andata gradualmente riducendo l’incidenza economica dell’allevamento di bestiame, tanto che il Comune si è indotto ad affittare i ricchi pascoli pornassini (situati in parte sul territorio di altri comuni) a pastori piemontesi, mentre le attività agricole sono limitate ormai alla viticoltura e all’olivicoltura, anche se quest’ultima ha subito danni irreparabili a causa delle gelate dell’inverno 1984-85, quando sono andate perdute oltre il 70% delle piante di ulivo. La viticoltura rimane quindi l’unico settore agricolo in grado di garantire un reddito sufficiente agli addetti con una buona produzione di Ormeasco, un vino da tavola caratteristico della zona della Liguria confinante con la provincia di Cuneo e precisamente col circondario di Ormea, da cui prende il nome; tale vino, oltreché in Valle Arroscia, è coltivato anche nelle valli Argentina e Impero. Pare ne sia stata iniziata la produzione in alta valle Arroscia nel 1303 su iniziativa di uno dei marchesi di Clavesana, podestà di Pornassio. Altro vino tipico del paese è il Cerasuolo, più comunemente detto «Sciac-trà», nome che deriva dal dialetto ligure e che in senso letterale significa «schiaccia e tira», al quale si affianca il Passito, un vino locale quasi sconosciuto a causa della produzione estremamente esigua, dovuta a una lavorazione particolare e difficoltosa. Il territorio pornassino è anche sede dello stabilimento dove viene imbottigliata l’acqua oligominerale delle fonti Santa Vittoria, che sgorgano a 1200 metri di quota dai monti circostanti l’abitato. Un altro importante aspetto dell’economia del paese è costituito dal turismo, incentivato negli ultimi decenni dalla costruzione di numerose villette nella zona di Nava, mentre nel territorio comunale sono ubicati alberghi e pensioni, oltre a vari ristoranti dove è possibile gustare i piatti tipici locali come la torta verde, a base di bietole e riso, i ravioli, la polenta col cinghiale, servita soprattutto durante la stagione invernale, e la torta di cavoli, un piatto caratteristico della classica «cucina povera», basato su ingredienti genuini della zona e particolarmente gustoso, e infine il brussu, un prodotto tipico dei paesi di montagna come Pornassio, che consiste in un formaggio molto forte che si ottiene facendo inacidire il latte, dal quale si separa il siero, mentre la «pasta» rimanente viene lasciata fermentare condita con olio e sale fino a quando, a fermentazione finita, il formaggio è pronto per il consumo.

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