Attualità - 13 dicembre 2024, 14:00

Cold case svedese, omicidio Dankha, l’avvocato della famiglia: “Sargonia deve avere valore e dignità” (Foto)

Nel suo intervento, il legale ha invitato la Corte a concentrarsi sulla vittima e sulla sua storia

Dopo la richiesta di ergastolo avanzata dai Pubblici Ministeri Paola Marrali e Matteo Gobbi per Salvatore Aldobrandi, accusato dell’omicidio volontario aggravato e della soppressione del cadavere di Sargonia Dankha, ha preso la parola l’avvocato Francesco Rubino, difensore della parte civile ossia il fratello e la madre della giovane vittima, oggi presenti in aula.

Nell’intervento, dinanzi la Corte d’Assise di Imperia presieduta d Carlo Alberto Indellicati, il legale Rubino ha invitato i giudici a concentrarsi sulla vittima e sulla sua storia: "Non provate a distogliere lo sguardo da chi era Sargonia," ha dichiarato. Ha poi sottolineato il comportamento manipolatorio di Aldobrandi, evidenziando come l’uomo mentisse continuamente, al punto da adottare un nuovo nome, Samuel, che in ebraico significa 'Io sono Dio'. "Questo è il giorno della verità processuale," ha aggiunto l’avvocato, spiegando come le menzogne dell’imputato rappresentino macchie che oscurano ogni tentativo di giustificazione.

Il difensore delle parti civili ha ricostruito il clima di controllo e violenza che Sargonia subiva: "Le sue amiche ci raccontano che Aldobrandi la controllava. Sargonia diceva di sentirsi perseguitata, trattata come un oggetto. Da questo controllo nascevano violenze, sia verbali che fisiche, viste da amici e altre persone." Per il legale, l’atteggiamento dell’imputato era volto a incutere timore e a far sentire la giovane come una sua proprietà.

Ha poi citato i servizi sociali svedesi, che avevano descritto Aldobrandi come una persona incapace di controllare i propri impulsi. Questo, secondo Rubino, rafforza l’ipotesi dell’omicidio come unico scenario credibile. "Sargonia non aveva motivo di allontanarsi. Aveva trovato l’amore, una nuova casa, un fidanzato, e aveva iniziato gli studi per diventare poliziotta. Aveva lasciato tutti i suoi vestiti, le valigie e persino il caricatore del telefono ancora attaccato alla presa. Come poteva essersi allontanata volontariamente?".

L’avvocato Rubino ha chiesto alla Corte  d’Assise di non dimenticare il contesto in cui la vicenda si è svolta e di considerare la realtà oggettiva dei fatti. "Sargonia cercava di reagire alla violenza, ma è stata sopraffatta," ha affermato, sottolineando come ogni "elemento raccolto durante il dibattimento conduca a una sola conclusione: l’imputato è colpevole".

L’intervento del difensore Rubino ha concluso una giornata intensa di dibattito in aula, ricordando che il processo rappresenta non solo un tentativo di giustizia per Sargonia, ma anche un atto di memoria per "la giovane donna, i suoi sogni e la sua vita spezzata. Lo cerca la sua famiglia, da 29 anni. Mi sono chiesto perché in questi anni, i parenti di Sargonia hanno scelto di vivere un processo lungo, travagliato. Mi sono chiesto perché rischiare di riaprire una ferita che il tempo stava cicatrizzando. Poi ho capito: non è per vendetta, non è stato fatto per soldi. Perché questo è l’unico strumento per far sì che la vita di Sargonia continui ad avere un valore, una dignità".