Il Comune di Sanremo dovrà fare una gara per l’affidamento del Festival di Sanremo, almeno dall’edizione 2026. Lo ha deciso il Tar di Genova, che ha dichiarato illegittimo l’affidamento ‘diretto’ alla Rai, da parte del Comune matuziano per gli anni 2024 e 2025. Il tribunale genovese ha comunque concesso che l’edizione del prossimo anno si svolga come previsto ma, dall’anno 2026 (tra l’altro la convenzione scade proprio a febbraio prossimo), palazzo Bellevue dovrà pubblicare una gara pubblica, che dovrà essere aperta agli operatori del settore.
Il Tar ha accolto il ricorso, partito dal presidente dei discografici italiani Sergio Cerruti che, tra l’altro, nei mesi scorsi ha anche evidenziato di voler togliere il Festival a Sanremo. Cerruti ha presentato l’istanza al tribunale genovese, attraverso l’etichetta discografiche ‘Je’.
Il Tar ha annullato la delibera della Giunta di Sanremo del novembre 2023, che aveva approvato la bozza di convenzione con la Rai e con la quale il Comune ha comunicato alla JE che la manifestazione di interesse dalla stessa presentata il 7 marzo 2023 era improcedibile. Ha anche accolto, con alcuni limiti, l’annullamento della delibera della Giunta che aveva anche approvato la bozza di convenzione con Rai Pubblicità. Il Tar ha però rigettato la domanda di risarcimento del danno, chiesta dalla JE.
Il Sindaco Alessandro Mager è subito intervenuto sulla vicenda: "E' una sentenza inaspettata, articolata e complessa - ha detto - ed ora, insieme ai dirigenti del Comune e ai nostri consulenti legali, l'approfondiremo con scrupolosa attenzione nei prossimi giorni, anche al fine di pianificare le migliori strategie per il futuro".
Nell’ambito del procedimento la Rai ha sostenuto di essere l’unico soggetto a trovarsi nel possesso legittimo del format, ossia dello schema della manifestazione per: brani inediti in lingua italiana; location definita (il Comune di Sanremo); cadenza annuale; struttura specifica: cinque serate consecutive nel corso di una settimana, nel periodo compreso tra fine gennaio e inizio marzo, con l’ultima serata di sabato dedicata alla decretazione del vincitore; due giurie, una popolare e una di esperti; cantanti - concorrenti divisi in due categorie (“campioni” e “nuove proposte”); un conduttore principale, coincidente con il direttore artistico, il quale è affiancato da più co-conduttori; sequenza ben definita nella presentazione dei concorrenti: nome della canzone, nome dei compositori della parte musicale, nome degli autori del testo, nome del direttore d’orchestra designato dalla casa discografica e nome dell’artista interprete; conferimento di un premio principale alla canzone più votata dalle giurie, consegnato dal conduttore e dal Sindaco nella giornata conclusiva di sabato, e di altri premi accessori (miglior testo in gara, miglior composizione musicale, miglior arrangiamento, migliore interpretazione e premio all’artista più votato durante la serata speciale); scenografia, che prevede un’iconica scala che conduce artisti, conduttori ed ospiti al palco, nei pressi del quale è collocata l’imponente orchestra, dotata di almeno cinquanta elementi e comprensiva delle seguenti sezioni: ritmica, tastiere, fiati, archi e coro. La RAI, che sostiene tutti i costi creativi e produttivi e ha ideato e organizzato il Festival per decenni, sarebbe titolare esclusiva del diritto d’autore sull’opera dell’ingegno (il format), ai sensi dell’art. 167, legge 22 aprile 1941, n. 633 (che riconosce i diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno anche in capo al possessore legittimo dei diritti medesimi). I diritti di utilizzazione economica del format, pertanto, sarebbero nella titolarità esclusiva di RAI e non discenderebbero dalla concessione del Marchio da parte del Comune. La combinazione del format (di cui sarebbe titolare RAI) e del Marchio (di cui è titolare il Comune di Sanremo e che non rappresenterebbe nient’altro che il titolo della manifestazione, ossia una componente del format) darebbe vita ad una comunione del diritto di proprietà sul format (in questi termini si esprime la memoria depositata da RAI in data 31 ottobre 2023). Dunque, il Festival (che rappresenterebbe ‘il concorso canoro risultante dalla associazione tra il Marchio del Comune e il Format ideato da RAI’; cfr. memoria depositata in data 10 gennaio 2024) non potrebbe essere oggetto di sfruttamento economico in difetto del consenso congiunto dei due condomini. Ne conseguirebbe l’impossibilità di associare il Marchio ad un format diverso da quello ideato e prodotto da RAI (ad esempio, ad un format alternativo prodotto da JE) e, pertanto, l’impossibilità (logica, prima ancora che giuridica) di espletare una procedura di evidenza pubblica avente ad oggetto la concessione dell’uso del Marchio. Ciò in quanto il Marchio non potrebbe che essere associato al format di RAI, costituendone anzi parte integrante (in quanto ne rappresenterebbe il titolo, ossia una componente essenziale del format stesso), e mai ad un format diverso.
Secondo il Tar, invece, Le argomentazioni della RAI non possono essere condivise: “In primo luogo, la tesi proposta muove da un presupposto non più attuale, rappresentato dalla assimilazione (sulle orme dell’orientamento tradizionale) della tutela delle situazioni giuridiche derivanti dalle opere dell’ingegno (tra le quali è annoverabile il format) – e, più in generale, dall’attività creativa di un soggetto – a quella garantita dalla proprietà (e dagli altri diritti reali). Al contrario, secondo l’orientamento da tempo prevalente, la suddetta tutela è riconducibile non agli schemi dei diritti reali (i quali, allorché tuttora utilizzati dalla dottrina o dalla disciplina vigente, lo sono a fini meramente descrittivi), ma a quelli propri dei diritti della personalità o, comunque, di diritti non assimilabili ai diritti reali. In secondo luogo, l’ipotizzata (da parte di RAI) contitolarità di un diritto reale (il diritto di proprietà) avente ad oggetto due porzioni distinte (il Marchio, quale titolo della manifestazione e componente del format, da un lato; la ‘restante parte del format’, dall’altro) di uno stesso ‘bene’ (il format), ciascuna delle quali (in base a quanto riconosce la stessa RAI) è di proprietà esclusiva di un soggetto diverso (RAI per quanto concerne le componenti del format diverse dal titolo; il Comune per quanto concerne il Marchio, ossia il titolo), contrasta con la disciplina della comunione ordinaria. Quest’ultima (artt. 1100 ss. cod. civ.) è una comunione per quote: ogni condomino è titolare di una quota ideale del bene in comunione e non della proprietà esclusiva di una o più porzioni materiali (o, come nel caso di specie, immateriali ma comunque distinguibili l’una dalle altre) che compongono il bene in comunione. Né, d’altra parte, si comprende in che termini potrebbero convivere una comunione ordinaria sul format (bene immateriale che costituirebbe oggetto di un diritto reale di cui sarebbero contitolari RAI e il Comune) e un diritto di autore che (in base alla prospettazione della stessa RAI) non spetterebbe ad entrambi i condomini (come pure sarebbe astrattamente possibile, laddove sussistano i presupposti dell’indistinguibilità e inscindibilità dei contributi, in base all’art. 10, r.d. n. 633/1941), ma soltanto a RAI. In terzo luogo, e a prescindere dalle considerazioni che precedono, è evidente dall’esame del contenuto della Convenzione che il corrispettivo è riconosciuto da RAI al Comune in relazione non (come, secondo RAI, sosterrebbe, erroneamente, JE) al diritto di utilizzazione economica del format (rispetto al quale la concessione dell’uso o dello sfruttamento del Marchio è evidentemente irrilevante, proprio perché né JE né il Comune contestano, in questa sede, che del format sia titolare RAI), bensì (tra l’altro) al diritto di sfruttamento del Marchio (ed è questo che effettivamente sostiene JE). In altri termini, contrariamente a quanto ribadito da RAI (da ultimo, con la memoria depositata in data 20 marzo 2024), l’intento di JE non è quello di sfruttare economicamente il format di RAI (è pacifico che, se, come nessuno contesta in questa sede, del format attualmente utilizzato è titolare RAI, è soltanto RAI a poterlo sfruttare economicamente), bensì quello di conseguire la concessione dell’uso in esclusiva del Marchio e di associare il Marchio ad un proprio format (diverso da quello di RAI), sfruttando economicamente entrambi. Marchio di cui è incontestato titolare il Comune di Sanremo, per averlo registrato (dopo quasi mezzo secolo di esistenza del Festival) senza opposizione alcuna, in particolare da parte di RAI. Quest’ultima, infatti, ben avrebbe potuto agire per ottenere la declaratoria di nullità del Marchio, ad esempio facendo valere (entro il termine quinquennale di cui all’art. 28, d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) la titolarità del diritto all’uso esclusivo del Marchio in virtù del preuso dello stesso, che comporterebbe il venir meno del requisito della novità del marchio registrato dal Comune. Tuttavia, non solo RAI non ha mai contestato la registrazione del Marchio da parte del Comune, ma non ne contesta la titolarità (che, anzi, riconosce espressamente) nemmeno in questa sede. Del resto, la circostanza che RAI paghi un corrispettivo annuale per poter sfruttare il Marchio implica evidente riconoscimento della titolarità del Marchio da parte del Comune di Sanremo. Né, d’altra parte, e al di fuori dello schema della comunione (o della contitolarità) delineato da RAI in una prima fase del giudizio, si rinvengono ragioni ulteriori per cui il Marchio, da RAI qualificato come “titolo” della manifestazione canora, sarebbe “inscindibilmente legato allo schema di manifestazione che contrassegna”, ossia al format di RAI (come quest’ultima ha costantemente ribadito in tutte le memorie depositate e, da ultimo, in sede di discussione), con conseguenti impossibilità di associarlo ad altri format (quale quello che potrebbe essere proposto da un concorrente) e inapplicabilità dei principi in materia di evidenza pubblica. RAI sostiene, in altri termini, che l’inscindibile legame esistente tra il Marchio e il format di RAI impedirebbe al Comune di concedere l’uso in esclusiva del Marchio a soggetti che abbiano elaborato un format alternativo a quello di RAI. Non potrebbe, quindi, avere luogo una procedura di evidenza pubblica per l’individuazione di un operatore cui concedere l’uso in esclusiva del Marchio, perché detto operatore non potrebbe che essere la stessa RAI. Siffatta tesi non può essere condivisa. Il marchio, per definizione, è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa, ossia è un segno che identifica un prodotto o un servizio al fine di differenziarlo da altri prodotti o servizi (simili) offerti dai concorrenti. Identificare, come propone RAI, il Marchio con il mero titolo di un format di cui, per tutte le componenti diverse dal titolo, sarebbe titolare RAI (format dal quale il Marchio non potrebbe, pertanto, essere dissociato, nella prospettiva di RAI) è fuorviante, per due ordini di ragioni. In primo luogo, in quanto non si comprende per quale ragione a registrare (in ipotesi, legittimamente) un marchio che identificherebbe il format di RAI avrebbe provveduto un soggetto (il Comune) diverso dal titolare (RAI) del(la restante parte del) format. In secondo luogo, in quanto il Marchio, essendo esso stesso il titolo della manifestazione (è il titolo, cioè il nome con cui viene ufficialmente identificata la manifestazione, ad essere stato registrato come marchio), non può identificare (nel senso di distinguere da altri, in correlazione con la funzione distintiva che è propria del marchio) il titolo (altrimenti il Marchio identificherebbe, per così dire, se stesso), ma semmai (ed è ciò che sostiene il Comune, in ciò differenziandosi la posizione di quest’ultimo da quella di RAI) la manifestazione stessa. Ne consegue che di quest’ultima non potrebbe che essere titolare il Comune di Sanremo (che infatti l’ha organizzata autonomamente, ancorché non sempre direttamente, dal 1951 al 1991, epoca in cui RAI, estranea – allora – all’organizzazione e alla realizzazione della manifestazione, si limitava a curarne la diffusione, dapprima per via radiofonica e poi, dal 1955, anche televisiva). In tale prospettiva (che, si ribadisce, è quella che nel presente giudizio emerge dalle memorie del Comune), detta manifestazione potrebbe, dunque, essere organizzata da soggetti diversi da RAI, anche sulla base di format elaborati autonomamente. Opinare diversamente, aderendo alle argomentazioni di RAI, renderebbe inutile la registrazione del Marchio da parte del Comune. Se, come sostiene RAI, il Marchio non potesse che essere associato al format di RAI, nell’ipotesi in cui RAI dovesse, per qualsivoglia ragione, decidere di non organizzare più il Festival di Sanremo o, comunque, di non rendere più disponibile il proprio format al fine della realizzazione della manifestazione in questione, il Comune si ritroverebbe nell’impossibilità di sfruttare economicamente il Marchio (con conseguente perdita di entrate più o meno ingenti, in base al valore riconosciuto alla concessione dell’uso esclusivo del Marchio dalla Convenzione RAI in vigore e da quelle che l’hanno preceduta). Trattasi di una conseguenza evidentemente paradossale, che dimostra (ulteriormente) l’erroneità della premessa, costituita dalla asserita “inscindibilità” del legame tra il Marchio e il format di RAI. Del resto, la stessa RAI, nel ricostruire (nella memoria depositata in data 20 marzo 2024) l’evoluzione dei rapporti tra il Comune e RAI dal 1995 in poi, afferma che il Comune avrebbe preso atto “della possibilità solo teorica che altro operatore [possa] utilizzare lecitamente il Marchio del Comune con un proprio e diverso format televisivo”. La scindibilità del legame tra Marchio e format di RAI, dunque, è riconosciuta expressis verbis (ancorché in via “solo teorica”) tanto dal Comune, quanto da RAI. Ma vi è di più. L’infondatezza della tesi dell’indissolubilità del legame tra il Marchio e il format di RAI è dimostrata dalla stessa evoluzione del Festival di Sanremo; evoluzione caratterizzata (anche successivamente alla registrazione del Marchio, avvenuta, come detto, nel 2000) da frequenti mutamenti del format che, tuttavia, non hanno impedito di mantenere l’associazione tra il Marchio e il (di volta in volta mutato) format. Sotto questo profilo risulta emblematica (ancorché eccezionale) l’edizione del 2021, svoltasi senza la presenza del pubblico all’interno del teatro (per le note esigenze connesse alla prevenzione del contagio da SARS-CoV-2). Più in generale, nel corso degli ultimi venti anni si sono registrati ulteriori cambiamenti che hanno comportato una modifica (più o meno stabile, isolata nel tempo o ricorrente) di alcune di quelle che la stessa RAI (cfr. supra, par. 4.3.1) qualifica come caratteristiche del format: la non coincidenza del direttore artistico con il conduttore (edizione 2004), qualifiche che (a partire dall’edizione 1994) sono normalmente cumulate dallo stesso soggetto; l’introduzione (nel 2004) del televoto da parte del pubblico; la soluzione di continuità tra le cinque serate (normalmente consecutive), verificatasi nel 2006 (allorché il Festival si è svolto dal 27 febbraio, lunedì, al 4 marzo, sabato, con l’interruzione del 1° marzo, mercoledì) e nel 2008 (allorché il Festival si è svolto dal 25 febbraio, lunedì, al 1° marzo, sabato, con l’interruzione del 27 febbraio, mercoledì); l’alternanza di edizioni caratterizzate dalla suddivisione dei partecipanti in categorie o sezioni (ad esempio, “Campioni” e “Giovani”) e edizioni (ad esempio, 2004 e 2019) in cui tutti i brani in gara concorrevano tra loro, senza essere suddivisi in due categorie autonome; la previsione, in alcune edizioni, della fase di eliminazione, talora limitata ad alcune categorie o sezioni delle canzoni in gara, altre volte estesa a tutte; la previsione (nel 2013) dell’interpretazione, da parte degli artisti compresi nella sezione “Campioni”, di due canzoni ciascuno (anziché di una sola), con successiva scelta della canzone che, tra le due, sarebbe rimasta in competizione. A ben vedere, dunque, il Marchio è già stato associato a format diversi, ossia a schemi della manifestazione che presentano caratteristiche (considerate dalla stessa RAI come determinanti per l’identificazione del format) mutevoli nel tempo. Non si comprende per quale ragione debba ritenersi ammissibile l’associazione del Marchio a format diversi (tutti) riconducibili alla titolarità di RAI e, al contrario, non ammissibile l’associazione del Marchio ad un format alternativo elaborato da un soggetto diverso da RAI. Non può, infine, essere condivisa la tesi sostenuta da RAI (specie nella memoria depositata in data 20 marzo 2024), in base alla quale il Comune non potrebbe (pena la violazione delle norme in materia di proprietà intellettuale) associare il Marchio ad un format diverso da quello di RAI (in caso di acquisizione, da parte del Comune, di un format diverso da quello di RAI, dovrebbe essere utilizzato – sostiene RAI – un nuovo e diverso marchio). Il Comune è titolare del Marchio ed è, pertanto, libero di associarlo (previa procedura di evidenza pubblica) a format diversi da quelli da RAI. Se così non fosse, d’altra parte, non si comprenderebbe a quale scopo il Comune abbia registrato il Marchio. La condivisione della tesi (già richiamata supra) dell’inscindibile associazione tra Marchio e format di RAI, costantemente ribadita da quest’ultima nel corso delle sue difese, comporterebbe, infatti, che, laddove RAI non fosse disposta a riconoscere al Comune alcun corrispettivo a fronte della concessione dell’uso in esclusiva del Marchio, il Comune sarebbe costretto, alternativamente, a non concedere l’uso del Marchio (né a RAI né ad altri, poiché il presupposto della tesi è l’inscindibilità del Marchio rispetto al format di RAI) o a concederlo a RAI gratuitamente. In entrambi i casi, perderebbe ragion d’essere la registrazione del Marchio, che è appunto costituita dalla possibilità di sfruttarlo economicamente. E ciò in base ad una decisione unilaterale di RAI (quella di non corrispondere alcunché a fronte della possibilità di utilizzare il Marchio), che del Marchio non è (pacificamente) titolare e dunque non può pretendere che sia associato al proprio format o, più precisamente, che non sia associato a format diversi dal proprio. Infatti, al di là delle argomentazioni spese nel presente giudizio, sul piano contrattuale RAI non formula alcuna pretesa in tal senso: l’art. 3, co. 6 della Convenzione RAI prevede il divieto per il Comune di “organizzare, in Italia e/o all’estero, manifestazioni identiche e/o analoghe al Festival […] per tutta la durata della Convenzione”; ne consegue che il divieto viene meno alla scadenza della Convenzione. Ciò dimostra, per tabulas, l’insussistenza della asserita inscindibilità tra il Marchio e il format di RAI. D’altra parte, nella Convenzione RAI non si fa alcun riferimento al format di RAI (vi sono riferimenti soltanto: al regolamento e al ‘progetto – programma’ realizzati da RAI con riguardo a ciascuna edizione del Festival; al Marchio; all’organizzazione del Festival; all’obbligo per RAI di riprendere e trasmettere il Festival) e la stessa delibera n. 314 fonda la decisione di approvare la bozza di Convenzione RAI (ossia di concedere l’uso del Marchio a RAI) sulla soddisfazione maturata per il livello qualitativo raggiunto dalla manifestazione negli anni precedenti. Ciò sul presupposto (implicito, ma evidente) che – come sarà illustrato più nel dettaglio infra (par. 4.3.3.1) – “scelte organizzative” diverse potrebbero essere adottate laddove il grado di soddisfazione si riducesse; sicché (almeno dal punto di vista del Comune) “scelte organizzative” diverse (ossia, l’associazione del Marchio ad un diverso format) sono ammissibili (come dimostrato, peraltro, dall’avvio, in passato, di trattative con soggetti diversi da RAI e dal pregresso utilizzo, da parte di quest’ultima, di format differenti). Esulano evidentemente dall’oggetto del presente giudizio (oltre che dallo stesso ambito della giurisdizione del giudice amministrativo), in quanto non aventi carattere pregiudiziale, le questioni, sollevate da RAI, circa la possibilità che l’associazione del Marchio ad un format completamente diverso dal proprio comporti la perdita della capacità distintiva del Marchio medesimo.