Economia - 20 novembre 2024, 07:00

Ipovitaminosi D: il ruolo di esposizione solare, alimentazione e integrazione

Con la locuzione ipovitaminosi D si indica genericamente una condizione in cui i livelli sierici di vitamina D3 risultano sotto il livello di normalità.

Con la locuzione ipovitaminosi D si indica genericamente una condizione in cui i livelli sierici di vitamina D3 risultano sotto il livello di normalità.

Quando si effettua l’esame per verificare i livelli di vitamina D3 nel sangue (dosaggio della 25-O-D3), il referto indica un valore espresso in ng/mL; se questo valore va da 30 e 100, si rientra nel range di normalità; se invece si scende sotto i 30 ng/mL si ha ipovitaminosi D.

Possiamo distinguerne due forme: insufficienza e carenza. Nel primo caso, meno grave, i valori di vitamina D3 vanno da 10 a 29, mentre nel secondo caso sono inferiori a 10.

Dal momento che l’ipovitaminosi D è una condizione piuttosto diffusa nella popolazione generale, cerchiamo di capire quale ruolo possono avere l’esposizione solare, l’alimentazione e l’integrazione.  

Esposizione solare e vitamina D

Fatta eccezione per la vitamina D, tutte le vitamine devono essere necessariamente assunte con la dieta, tant’è che a seconda del regime alimentare seguito possono verificarsi insufficienze o carenze. Per esempio, in chi segue la dieta vegana è molto comune il riscontro di ipovitaminosi B12.

Nel caso della vitamina D, invece, il ruolo dell’alimentazione è più marginale; la fonte principale di vitamina D3 è infatti l’esposizione ai raggi solari (la vitamina viene prodotta a livello cutaneo grazie all’azione dei raggi UV-B).

A tale scopo, le linee guida raccomandano un’esposizione giornaliera ai raggi solari di circa 20 minuti. In soggetti sani, una tale esposizione garantisce di norma il fabbisogno quotidiano.

Il ruolo dell’alimentazione

Come accennato, il ruolo dell’alimentazione nell’assicurare i corretti livelli di vitamina D è meno importante rispetto a quello che ha relativamente alle altre vitamine. Detto ciò, una piccola quota di D3 può essere ricavata assumendo cibi quali salmone, tonno, sgombri, aringhe, uova, latte; l’alimento che ne è più ricco è l’olio di fegato di merluzzo, ma non si tratta di un cibo consumato di frequente. Va da sé che senza una sufficiente esposizione giornaliera ai raggi UV-B è molto difficile assicurare all’organismo la dose raccomandata di vitamina D3.

Il ricorso a integratori di vitamina D3

Gli integratori di vitamina D possono avere un ruolo di fondamentale importanza nel caso di ipovitaminosi D. I prodotti presenti in commercio sono solitamente a base di vitamina D3, ma sono disponibili anche supplementi a base di vitamina D2 che però sono oggettivamente meno efficaci.

L’integrazione “fai-da-te” non è mai consigliabile ed è sempre opportuno chiedere il parere del proprio medico di base. Integrare senza che vi sia una specifica necessità non è una strategia corretta, anche perché sussiste il rischio di ipervitaminosi D (condizione poco frequente, ma possibile).

Solitamente l’integrazione di vitamina D viene suggerita quando gli esami del sangue dimostrano un’insufficienza o una carenza di tale sostanza. L’integrazione è anche consigliata in casi di aumentato fabbisogno come per esempio nel caso di donne in stato interessante.

Sono il medico curante o il biologo nutrizionista a stabilire il dosaggio e il periodo di integrazione. Attraverso il dosaggio ematico della vitamina D3 si controlleranno poi i risultati dell’integrazione. Solitamente, a meno di problemi particolari, la supplementazione mirata ripristina un quadro di normalità

Richy Garino