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Attualità | 13 ottobre 2024, 07:21

Tiziano Chierotti nel 2012 fu vittima di un episodio ‘green on blue’, lo rivela un libro uscito nel 2023

Fu una vera e propria guerra. O meglio come dice fin dall’inizio il titolo: “La guerra nascosta”

Tiziano Chierotti nel 2012 fu vittima di un episodio ‘green on blue’, lo rivela un libro uscito nel 2023

Il vile attentato che costò la vita, il 25 ottobre 2012, al caporal maggiore degli Alpini Tiziano Chierotti, di Sanremo, ma abitante a Taggia viene descritto in un libro recentemente uscito, che svela la vera natura della missione delle nostre Forze Armate in Afghanistan. Fu una vera e propria guerra. O meglio come dice fin dall’inizio il titolo: “La guerra nascosta”. Lo hanno scritto per i tipi della casa editrice Giuseppe Laterza e figli di Bari, prima edizione nel febbraio 2023, Massimo De Angelis e Giampaolo Cadalanu. Nel volume di 206 pagine hanno raccolto le testimonianze di decine di militari italiani, che parteciparono nell’ambito della Nato, alle diverse missioni in Afghanistan dal 2001 al 2021.

C’era una locuzione che entrò in voga, negli ambienti militari occidentali, non appena si cominciò a diffondere la notizia che l’Afghanistan sarebbe stato lasciato nelle mani del suo governo e delle sue forze armate, addestrate, foraggiate, formate in venti anni di affiancamento, per sottrarre il Paese al regime oscurantista talebano. Talebani che si travestirono da agnelli nei vari incontri fatti segretamente con gli americani. Il termine era “Green on blue” in italiano letteralmente “verde su blu”. Come verdi erano le uniformi delle truppe del nuovo Afghanistan e generalmente blu quelle degli alleati occidentali. Tiziano Chiarotti morì per un episodio “green on blue”.

“Il periodo di passaggio tra le due missioni finali, cioè il momento in cui le forze occidentali cominciavano a sostenere che gran parte del lavoro era fatta e che gli Afghani ormai potevano far da soli ha un aspetto paradossale. Coincide con il picco di attentati cosiddetti green on blue, cioè compiuti da insurgents con le uniformi delle forze afghane, oppure direttamente da militari afghani su soldati della coalizione” (pag.166). Per gli italiani la percezione che gli alleati afghani potevano essere degli infiltrati talebani fu un brusco risveglio. Il 18 gennaio 2011 una recluta con la divisa dell’esercito nazionale finse di avere il fucile inceppato, chiese aiuto per poi aprire il fuoco da distanza ravvicinata sugli italiani. L’alpino Luca Sanna rimase ucciso il compagno Luca Barisonzi fu ferito gravemente e costretto a vivere su una sedia a rotelle.

E veniamo al nostro stupendo ragazzo che vestiva, con orgoglio, la divisa del 2° reggimento Alpini di Cuneo. “Lo stesso, secondo il racconto di alcuni giornali, successe nel villaggio di Siav, a una ventina di chilometri dalla base Lavaredo di Bakwa, in provincia di Farah il 25 ottobre 2012: due militari afghani – probabilmente talebani infiltrati – insieme con altri insurgents aprirono il fuoco con lanciarazzi e mitragliatrice contro i soldati italiani, uccidendo Tiziano Chierotti, caporal maggiore degli Alpini e ferendo altri tre soldati” (pag.167). Tiziano rivive nel ricordo di quanti lo conobbero, per l’uomo ricco di valori che era. Come ricorda la lapide e la piazza a lui dedicata ad Arma di Taggia, di fronte a quella spiaggia su cui giocò. I caduti italiani furono in quasi vent’anni 53 e 723 furono i feriti. In Afghanistan si alternarono 50 mila uomini con le nostre insegne. La guerra sconosciuta costò alle tasche degli italiani 8,7 miliardi di euro, di cui 840 milioni finiti alle forze armate Afghane che si dissolsero come neve al sole il 15 agosto 2021, con la fuga dell’allora presidente e l’entrata dei talebani a Kabul.

Tutto questo mentre in Italia si ignorava la guerra più lunga della nostra storia. Era la perfetta riuscita di un camuffamento voluto. Secondo i due autori: "Tra le righe gli ordini da Roma erano chiari: la preoccupazione fondamentale non era portare la democrazia in Afghanistan, né sdradicare la presenza dei talebani, e nemmeno impedire la creazione di basi terroristiche. Il compito principale per gli Stati Maggiori italiani era evitare di far capire all’opinione pubblica che i soldati facevano la guerra, perché questo avrebbe potuto creare imbarazzo alla politica. I comandanti dovettero applicarsi nella censura del linguaggio, in nome del politicamente corretto, ispirandosi forse senza saperlo, alla neolingua dell’orwelliano 1984. Ogni combattimento fu definito “attività cinetica”, un nemico ucciso era solo “neutralizzato”, mentre per le uccisioni mirate si arrivò ad un giro di parole al limite del grottesco come “depotenziamento della struttura ostile". (pag.118).

Eh sì perché da qualche parte c’è ancora scritto l’Italia ripudia la guerra ecc. ecc. Cosa resta? Resta l’onore di chi in Afghanistan tenne alta la bandiera e cercò di portare libertà e democrazia. Fu un fallimento? Non credo che si possa dire con certezza ora. Bisogna aspettare che i semi di una nuova era possano germogliare, anche tra le brulle pietraie di quel Paese. Le coscienze spesso riservano delle sorprese. E fanno la storia.

Carlo Michero

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