La Corte dei Conti di Genova ha confermato che i Comuni sotto i 1.000 abitanti non sono obbligati ad entrare in Rivieracqua. La conferma arriva dalla corte, in relazione al quesito posto dal Comune di Ranzo, in merito alla possibilità di partecipare al capitale di una società ‘connotata da sofferenza protratta ai limiti dello stato di insolvenza’.
Ranzo si trova nell’Ato pubblico della provincia di Imperia, dove la gestione del servizio è affidata a Rivieracqua i cui soci, oltre agli enti sovracomunali fondatori, coincidono con i comuni ‘non salvaguardati’. La richiesta di Ranzo evidenzia alla corte che Rivieracqua ha richiesto l’omologazione giudiziale di un piano di ristrutturazione a causa di perdite accumulate per quasi cento milioni di euro.
Il Comune della Valle Arroscia ritiene che “Si sta sempre più consolidando la prospettiva di ingresso pressoché forzato nella società ad opera dell'Autorità provinciale ATO., il cui orientamento sembra tendere alla revoca delle autorizzazioni all'esercizio in salvaguardia”.
Secondo il Comune di Ranzo l’ingresso dei piccoli centri in Rivieracqua “Rischia di impedire o di rendere vano ogni intento programmatorio, non potendo conoscere ex ante le proprie disponibilità a copertura dei costi per le opere o i servizi oggetto della necessaria programmazione e che lungi da introdurre risparmi di scala in tal caso la gestione unificata condurrebbe ad incrementare i costi del servizio idrico a parità di servizi se non addirittura di disservizi”.
Il parere della Corte dei Conti, limitato alla materia della ‘contabilità pubblica’, ha ovviamente evidenziato tutta una serie di norme legislative e articoli di Legge in merito (tutte molto tecniche) ma che, di fatto, conferma che la richiesta del Comune di Ranzo soddisfi i requisiti di ammissibilità oggettiva, vertendo, in ultima analisi, sulle condizioni che devono sussistere ai fini dell’acquisizione di una partecipazione in una società.
“Dall’analisi delle disposizioni richiamate emerge – scrive la Corte dei Conti - che le valutazioni di carattere finanziario che l’ente deve compiere al momento della valutazione dell’acquisto di una partecipazione societaria debbono necessariamente avere carattere attuale ma altresì, nei limiti di quanto possibile, anche prospettico. Ciò in quanto l’acquisito della partecipazione non deve essere vagliato solo in termini di esborso finanziario una tantum determinato dall’acquisto della quota societaria – che potrebbe avere anche valore contenuto e, quindi, non avere un impatto significativo sulla situazione finanziaria dell’ente – bensì, alla luce delle previsioni sopra descritte, in relazione alla complessiva situazione finanziaria della società e dei suoi possibili sviluppi, considerando le possibili ripercussioni sul bilancio dell’ente. Difatti, il divieto per l’ente – salvo in casi specifici – di procedere al c.d. soccorso finanziario (introdotto già nel 2010 con il d.l. n. 78), si pone come strumentale ad impedire il salvataggio in presenza di una gestione negativa, traslando sull’ente socio le perdite e permettendo a società non in grado di garantire una gestione efficiente - né tantomeno la copertura dei costi con i ricavi - di continuare ad operare. Eventualità, questa, peraltro, che si potrebbe potenzialmente porre anche in contrasto con la normativa europea in materia di aiuti di Stato (cfr. Corte di giustizia, sentenza 19 dicembre 2019, causa C-385/18). Pertanto, l’acquisto di una partecipazione in una società che già al momento dell’acquisizione presenta consistenti perdite dovrebbe essere vagliato alla luce dei profili ora richiamati e della sostenibilità finanziaria nonché della convenienza economica. L’obbligo di costituzione del fondo perdite partecipate – misura volta a garantire accantonamenti prudenziali – in quest’ottica può essere letto come uno strumento finalizzato a disincentivare il mantenimento di partecipazioni in società che registrano perdite – posto che introduce un elemento di rigidità nel bilancio dell’ente socio, limitandone indirettamente la capacità di spesa (cfr. deliberazione di questa Sezione n. 127/208/PAR). Anche in quest’ottica, quindi, la complessiva salute finanziaria della società deve essere attentamente vagliata al momento dell’acquisto, posto che la presenza di perdite implicherebbe l’obbligo per l’ente di destinare parte delle sue risorse al fondo perdite società partecipate aumentando, quindi, il livello totale delle risorse accantonate, valutazione che deve essere condotta alla luce della complessiva situazione finanziaria dell’ente stesso, nell’ottica della sostenibilità finanziaria. Inoltre, la situazione finanziaria della società potrebbe, ai sensi dell’art. 20 TUSP, anche sottendere alla decisione di razionalizzazione della partecipazione e, quindi, anche della sua possibile alienazione. Sicché l’acquisto di quote in una società che fin dal momento stesso dell’acquisizione potrebbe presentare delle caratteristiche che potenzialmente darebbero adito alla razionalizzazione non appare – in termini astratti – conforme ai princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. In conclusione, spetta all’ente la valutazione circa la sussistenza – o meno – delle condizioni sopra rappresentate, valutazioni che dovranno confluire nella motivazione rafforzata prevista dall’art. 5 TUSP per dell’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazioni”.