Ieri è stata una giornata storica in Parlamento Europeo: è stato approvato in via definitiva un nuovo regolamento che vieta l’importazione, l’esportazione e la vendita di beni realizzati con il lavoro forzato; il che tocca – chiaramente – anche il settore agroalimentare.
Nella pratica, tale imposizione consiste in un controllo frutto di segnalazioni che, se a seguito dell’indagine dovesse confermare lo sfruttamento di lavoro forzato, impedirà all’azienda produttrice di vendere il prodotto sul mercato europeo, anche online. Le merci intercettate dovranno essere donate, riciclate o distrutte, e potranno essere rimesse sul mercato solo dopo l’eliminazione da parte della società del lavoro forzato durante qualsiasi passaggio della catena di approvvigionamento.
Tale divieto risponde alla richiesta a gran voce da parte dei singoli paesi membri, Italia inclusa: si tratta dello stesso 83% degli italiani che chiede ormai da tempo di fermare l’invasione di cibo straniero senza regole. Ora più che mai, dunque, va posto l’accento sull’intera catena: la reciprocità degli standard va applicata sia a livello umano che produttivo. “Ecco perché questo divieto deve essere esteso a tutti gli alimenti in commercio nella Ue che non rispettano le stesse regole in fatto di tutela dell’ambiente e della sicurezza dei consumatori”, commentano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale.
Se è vero che oggi oltre 28 milioni di persone si trovano vittime di trafficanti di essere umani e costretti a lavorare per poche o zero paghe, in quella che potremmo definire una “forma moderna di schiavitù”, allo stesso tempo, il potere che – nelle parole della relatrice della commissione per il commercio internazionale Samira Rafaela – si sposta dagli sfruttatori ai consumatori, va spostato in toto. Mentre gli agricoltori italiani si trovano a dover seguire regole sempre più stringenti, in Europa continuano a venire importati e commercializzati prodotti extra-UE a basso prezzo che non rispettano le stesse normative e che – peggio ancora – possiamo trovare sugli scaffali dei supermercati con la dicitura “Made in Italy”, dato che non tutti i prodotti in commercio in UE sono soggetti a obbligo di etichettatura di origine. Non è sfruttamento, questo? Sono prodotti che fanno leva sul concetto di ultima trasformazione sostanziale per gli alimenti, quello che tecnicamente si chiama codice doganale. Un inganno che tutto fa meno che spostare il potere nelle mani dei consumatori.
“Per questo abbiamo dato il via a una raccolta firme che punta a ottenere oltre 1 milione di adesioni: per far approvare una legge europea di iniziativa popolare per l’estensione dell’obbligo dell’indicazione in etichetta su tutti i prodotti alimentari in commercio nell’Unione Europea. Lo sfruttamento è sempre sbagliato: un sistema corretto è un sistema reciproco, per questo chiediamo un effettivo contrasto alla concorrenza sleale dei produttori extraeuropei che danneggia i produttori italiani.”