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Attualità | 30 marzo 2024, 07:14

No alla diga di Glori: è una Pasqua più serena per la Valle Argentina ma serve pensare a come non 'buttare' l'acqua

L’acqua è un bene di tutti. Non appartiene solo alla valle. Sulla piana di Taggia cosa vieta di creare aree vaste di contenimento per tutti gli usi che sono possibili. E invece c’è una giungla di piante, di canneti

No alla diga di Glori: è una Pasqua più serena per la Valle Argentina ma serve pensare a come non 'buttare' l'acqua

Badalucco festeggia la Pasqua senza il 'suo' fantasma. Quell’incubo che accompagna, a fasi ricorrenti, la vita di questo paesone di 1.200 abitanti, dal 9 ottobre del 1963, giorno in cui, molto lontano da qui un pezzo del Monte Toc, cadde dentro il bacino della diga del Vajont, sollevando un’ondata che sommerse tre paesi a valle: Erto, Casso e Longarone. Duemila morti nel giro di pochi minuti.

Badalucco ha un debito di riconoscenza nei confronti di quella tragedia. Se non fosse avvenuta probabilmente a Glori, ci sarebbe oggi, già da tempo, una grande diga, con un vastissimo bacino. Con un grande rischio sulla testa dell’intera collettività. L’effetto Nimby (dall'inglese: not in my backyard, non nel mio cortile: forma di protesta di un gruppo di persone che vede minacciata la sicurezza della propria area di residenza dall'insediamento di opere sociali indesiderate) in allora bloccò la grande opera sul nascere. Grazie alla determinazione dell’intera popolazione che scese in piazza incurante dei reparti della Celere, mandati dal Ministero degli interni, a difendere i lavori appena iniziati.E allora i celerini non andavano per il sottile.

A Glori resta uno scheletrato in cemento armato a ricordare, quelle che erano le intenzioni dell’uomo di sbarrare il corso dell’Argentina. E’ come la casa di un fantasma che si allunga sulla bassa valle periodicamente, quando a Genova o a Roma qualcuno tira fuori dai cassetti il vecchio progetto e cerca di riaprire il cantiere. Così capitò ancora negli anni ottanta. Così è successo quasi un anno fa, quando come fulmine a ciel sereno arrivò a Badalucco, grazie ad un articolo di Sanremo News (a firma di Stefano Michero) la notizia che era stato finanziato con 600mila euro lo studio di fattibilità della Diga di Glori. E anche stavolta la popolazione, compatta, è riuscita bloccare sul nascere il progetto. Al momento della prima mobilitazione, quella dei messaggi affidati alle lenzuola appese ogni dove, dieci mesi fa c’erano però in paese seri timori. “I giovani della generazione Z non sono gli stessi degli anni sessanta, vaccinati dalla guerra e dalla durissima ricostruzione. Sono quelli delle coccole, che non sanno nemmeno cosa sia il servizio di leva. Dello smartphone. E quelli più attempati sono il prodotto di un’Italia dell’indifferenza, quella che non va più a votare". E invece no. Nella mobilitazione, a fianco di quelli che negli anni sessanta portavano i calzoni corti, ed erano testimoni della feroce resistenza del passato, sono arrivati figli e nipoti. Autoctoni. Bauchegni e non. Stranieri ed extracomunitari. 

Non posso dimenticare una centenaria, affacciata, alla finestra della casa da cui non esce più da tempo, guardava attenta il primo fiume di persone, con gli occhi umidi dalle lacrime. Il figlio poi mi disse che le aveva raccontato lucidamente di quando suo marito, scomparso da molti anni, era sceso in piazza con i suoi coetanei a menare le mani con i poliziotti venuti da Genova. Rischiando arresti e processi. “Le era sembrato di tornare indietro ai loro quarant’anni”. Il lascito della generazione 'anti' del 1963 qui, da queste parti è una pianta robusta che non conosce tradimenti, perché ci va di mezzo la vita del paese. Con una consapevolezza in più. Quella della fragilità, certificata del territorio. Un appiglio che ha permesso all’Amministrazione Comunale di costruire, mentre si svolgevano assemblee e fiaccolate, una decisa, e non di facciata, opposizione legale, con il corollario ad effetto di una sorta di gemellaggio con il Comune di Longarone. La visita del Sindaco di Longarone a Badalucco è di quelle pagine che entrano nella storia minima di Badalucco. Lo ricordo Padrin, questo è il nome del primo cittadino del comune friulano, mentre guarda i contrafforti delle due colline dove avrebbe dovuto poggiare la diga. Sul lato destro la montagna faceva vedere anche al più sprovveduto la sua inconsistenza. Il geologo di fiducia dell’Amministrazione Comunale quel giorno tenne una lezione a cielo aperto sulla fragilità del territorio ligure di ponente.”Vedete c’è stato un collassamento, la parte alta è precipitata verso il basso. Le pietre sono assolutamente svincolate dal terreno” Celerini non se ne sono visti, stavolta, a Badalucco, al massimo i pazienti e capaci Carabinieri del paese, e qualche discreto, agente della Digos, in disparte durante fiaccolate e cortei per le anguste strade. E’ stata una vittoria senza colpo ferire della gente di Badalucco, senza salti generazionali, secondo tradizione, con un’Amministrazione che ha saputo ben rappresentare gli interessi dei suoi cittadini. Spiace per qualche partito politico di opposizione che ha cercato di metterci il cappello sopra. No. Qui hanno vinto i bauchegni dell’anima e i vecchi, che tracciarono il solco e i nuovi che hanno ripreso in mano la fiaccola. Metafora di una realtà.

In questi ultimi giorni il fiume Argentina, qui lo chiamano così, è di nuovo rigoglioso fino alla piana di Taggia, grazie alla piovosità di questi primi tre mesi dell’anno, pari a quella di tutto l’anno precedente. C’è un termometro a Badalucco della situazione idrica. E’ rappresentato da una fontanella che si trova nel centro del paese. E’ la fontana di Vezzarego. Da due anni era completamente muta. Dal mese di gennaio ha ripreso a dare il suo getto vigoroso che costituisce la colonna sonora di tutta la via Fontana. I bauchegni non sanno da dove spunti quell’acqua, da quale vena, quali misteriosi percorsi sotterranei faccia. Ma la bevono da generazioni convinti della sua purezza e soprattutto invitati dalla freschezza. Nel periodo estivo, misteriosamente, è come se fosse uscita dal frigorifero. L’acqua abbondante di oggi resta così non imbrigliata, non ostacolata. Dopo una trentina di chilometri da Triora a Taggia, arriva a contatto con il mare. E si perde. Sperando sempre che non faccia danni come quando in una notte dell’ottobre 2020, era il due, uscì da ogni alveo ed invase, incontenibile, tutta la parte bassa di Badalucco.

C’è quindi anche un bollettino della sconfitta in questo fiume che scorre libero. Perché le opportunità di sfruttamento al momento restano precluse. Togliamo di mezzo la questione diga, pericolosa, inutile, irrealizzabile. Ma è giusto sprecare in questa maniera l’acqua che ci piove dal cielo? Perché non utilizzare quei seicento milioni per un progetto di fattibilità di aree di contenimento a basso impatto, che permettano il recupero dell’acqua dolce, per gli usi potabili, irrigui, turistici, produttivi e per la lotta agli incendi. A Molini di Triora, con un semplice sbarramento, artigianale, si è creato un laghetto che dalla primavera all’autunno è diventato un’attrattiva turistica del paese. E a Triora siamo sicuri che non si siano aree idonee per creare vasti serbatoi di acqua piovana?

Il torrente viene lasciato scorrere, ma non è curato. Ritorniamo a Badalucco. Il fiume qui descrive il suo tratto più bello. Diceva il sindaco Matteo Orengo “Per noi l’Argentina è un elemento anche di bellezza. Descrive al momento del suo ingresso nel nostro territorio, un semiarco. E’ come una nostra corona” Ma nessuna delle amministrazioni che si sono succedute nel tempo ha mai pensato al recupero paesaggistico, strutturato, dell’arenile ai fini di una balneazione e di attività di ittiocultura e ricreative, come ad esempio le prove di modellini navali. Non solo: tre passeggiate bellissime corrono in fregio all’Argentina, ma due di queste, le più belle sono in uno stato di degrado da terzo mondo, percorribili con difficoltà, per il dissesto e per l’incuria, accompagnata dall’inciviltà dei proprietari di cani e gatti.

Ma c’è di più anche quel minimo sfruttamento che si faceva un tempo è ora impedito da leggi velleitarie. “I nostri nonni, dopo ogni piena del fiume scendevano sull’alveo ed ognuno con una canna infissa nella sabbia segnava l’area che avrebbe sfruttato per raccogliere la preziosa sabbia, sfruttata per l’edilizia. Ora questo non è possibile. Per togliere qualche sacchetto di sabbia occorre chiedere l’autorizzazione con la solita trafila burocratica”. Questo per parlare degli aspetti che coinvolgono maggiormente gli abitanti della valle.

Ma l’acqua che sgorga dall’alto ed arriva precipitosamente dentro il torrente, perché non viene imbrigliata e trasformata in energia elettrica a vantaggio degli abitanti della Valle, che pagano le bollette più salate della provincia? E’ giusto ammettere questo spreco a cielo aperto, quando si paventa un’estate totalmente siccitosa. L’acqua è un bene di tutti. Non appartiene solo alla valle. Sulla piana di Taggia cosa vieta di creare aree vaste di contenimento per tutti gli usi che sono possibili. E invece c’è una giungla di piante, di canneti.

Ma insomma abbiamo organizzato una gita a Longarone, perché non farne un’altra. Suggerisco l’invaso del Bilancino, nei pressi di Firenze. Portatevi il costume, o la canna da pesca, o una piccola barca. Perché lì c’è un piccolo mare. Che impedisce di sovraccaricare l’Arno di acqua ed ha creato un polo di attrattiva turistica ed ittica, oltre che paesaggistica. Insomma ci siamo liberati di un fantasma, ma un altro incombe. E’ quello di una stagione secca, arida, senz’acqua per la potabilità e le coltivazioni, ovviamente soprattutto sulla costa. A ciascuno il suo.  Ma una cosa è chiara con il partito del “no a prescindere”, palese o non palese, non si va da nessuna parte. L’Italia resta bloccata. Non ce lo possiamo permettere per lasciare ai nostri figli un Paese migliore.

Carlo Michero

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