Sanità - 30 settembre 2023, 07:00

Risvegliamo il bambino che è in noi

I consigli di Nutrigenomica di Simona Oberto

Vi siete accorti di quanta “tensione emozionale” c’è nell’aria? Persone sempre più intolleranti e indispettite, incapaci di gestire rapporti e situazioni conflittuali. Come sottolineo sempre nei miei articoli, le alterazioni patologiche non riguardano solo la sfera fisica/organica, ma anche quella psicologica ed emozionale. “Mens sana in corpore sano”.

Vi dice qualcosa? Aveva capito tutto Giovenale, poeta e retore romano, vissuto nel primo secolo d.C. perché non possono coesistere una mente lucida e un corpo malato o viceversa. Vi sarà capitato di leggere frasi come: “L’esercizio fisico è una condizione indispensabile per l’efficienza della facoltà mentale; l’igiene mentale dev’essere sempre accompagnata da un’adeguata igiene fisica; non si deve affaticare troppo la mente a danno della salute fisica”.

Sono tutte frasi che sottolineano quanto è importante prendersi cura della propria persona sia dal punto di vista fisico (una dieta equilibrata, una adeguata attività sportiva, ecc.) che dal punto di vista psico-emozionale (gestione delle emozioni, allenamento mentale, gratificazioni, obbiettivi, corsi motivazionali o di rilassamento ecc.). La malattia, sia di natura fisica che mentale, è qualcosa che causa dolore, paura, frustrazione. Tutte emozioni che, se reiterate nel tempo, provocano anche gravi alterazioni organiche. Nella nostra società sono moltissime le patologie che hanno una origine psicosomatica: le emicranie, i dolori articolari, gli eczemi, le ipertensioni, gli attacchi di panico, le ulcere e via dicendo si accompagnano o seguono spesso a “periodi bui” dal punto di vista emozionale.

E questo perché di fondo non riusciamo a capire quanto è importante lasciare emergere la nostra emotività, per non subirla. Il problema è che fin da piccoli ci viene insegnato a tenere “imbrigliate” le nostre emozioni e, crescendo, questo ci spinge a costruire la nostra “gabbia emozionale” che ci porteremo dietro tutta la vita.

Quante persone si vergognano di manifestazioni troppo espansive di affetto o di amore; quante trattengono in pubblico lacrime o gioia; quante non esternano il loro disappunto con colleghi, amici o familiari. Il problema è che tutto questo trattenere comporta, crescendo, una pericolosa “esplosione emozionale” che si può manifestare con reazioni abnormi, violente, esagerate. Bisogna anche dire che viviamo in una società dove si valorizza al massimo la parte sinistra nel nostro cervello, quella intellettuale, razionale e logica a discapito di quella destra delle emozioni.

Baci, abbracci e contatti fisici sono ritenuti di solito manifestazioni inopportune, riservate, se va bene, alla ristretta cerchia di famigliari o amici intimi. Il distaccamento sociale, molte volte, viene incentivato o addirittura imposto. Tutto è ridotto al silenzio e così, per fare tacere il tumulto interiore delle nostre emozioni che si ribellano, molto spesso ricorriamo a tranquillanti, droghe, alcool, cibo “spazzatura”: miseri palliativi che vanno a peggiorare una situazione già in bilico. Il “bambino interiore”, carico di gioia, estro, fantasia e buon umore viene messo in un angolino e il passaggio all’età adulta è quasi sempre caratterizzato da una sorta di “aridità emozionale” che apre la strada a frustrazione, paura e rabbia che molto spesso si manifestano in modo eccessivo nel periodo adolescenziale.

Tutto ha origine nell’infanzia, fase nella quale siamo più esposti ai “traumi emozionali”. Parole, gesti, comportamenti sbagliati hanno un peso enorme sulla psiche del bambino! I bambini ascoltano, osservano, imitano, sono delle “spugne” che assorbono tutto. Epiteti o giudizi negativi, troppo spesso ripetuti, posso provocare nel bambino sensi di colpa, frustrazioni, complessi che si manifesteranno in età adulta proprio attraverso l’incapacità a gestire situazioni, rapporti e persone. Molto spesso il bambino si sente responsabile delle controversie familiari (litigi, separazioni) o deve subire vere e proprie violenze domestiche. Così, allevati da genitori frustrati o stressati, diventano “vittime delle vittime”! Quanto può pesare nella mente e nel cuore di un bambino una parola sbagliata, un rimprovero inopportuno o ingiusto, un giudizio affrettato o un castigo immotivato!

Il bambino ha bisogno di amore quanto un fiore, per sbocciare, ha bisogno di luce, acqua e sole. Gli “esperti” dicono che nella prima infanzia si forma il nostro carattere, sottolineando il fatto che fino ai tre anni di vita i bambini hanno un assoluto bisogno di un contatto diretto: essere stretti al petto della mamma, sentire il battito del suo cuore, respirare il profumo della sua pelle. Quindi il “primario bisogno” è quello del contatto! Il “contatto sociale” che ci permette di interagire con l’ambiente e con le persone, che ci permette di adattarci ed evolverci, vivendo la nostra esperienza di vita. Il problema è che questo succede raramente. Il più delle volte, crescendo, avviene il distacco e il digiuno di affettuosità e carezze, e così, in mancanza di amore, di coccole, di attenzioni, di sorrisi e parole dolci, i ragazzi, imparano a trattenerli come se avessero percepito che è sbagliato concederli.

Non a caso, è proprio nella prima infanzia che hanno origine alcuni meccanismi che potranno determinare i nostri malesseri da adulti. E' come se, nel passaggio nell’età adulta, lasciassimo per strada tutta la nostra capacità di essere felici, spensierati, ottimisti e aperti al mondo. E' vero! Le difficoltà della vita induriscono e ci inducono a costruirci delle corazze di difesa, dentro le quali rimangono imbrigliati tutti i nostri buoni sentimenti e i buoni propositi.  Sono convinta che, crescendo, quello che ci viene a mancare è soprattutto la fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità; quella fiducia che ci rende forti e determinati, capaci di reagire positivamente a una sventura o a una caduta. Chi ha fiducia in sé stesso non ha paura di riconoscere i propri errori, perché amarsi significa anche accettare i propri limiti e le proprie debolezze. “Ho sbagliato”! Come è difficile dirlo, ma quanto è potente il suo effetto. Molte volte, potrebbe risolvere o quanto meno allentare situazioni molto conflittuali!

Abbandoniamo le nostre rigide convinzioni, smettiamola di arroccarci su piedistalli con la presunzione di fare e pensare sempre le cose giuste. Ogni tanto, molliamo la presa, mettiamoci nei panni degli altri cercando punti di contatto. Mettersi in discussione non fa che rafforzarci! Al contrario, dubitare spesso di noi stessi, ci porterà a ricercare sempre l'approvazione e la considerazione altrui. È sbagliato rinunciare alle proprie aspirazioni, alle proprie convinzioni e alle proprie idee. Ma soprattutto, non bisogna lasciarsi influenzare dalle opinioni degli altri, altrimenti, potrà bastare una critica, una battuta più pungente, uno sguardo un po' storto, una parola inopportuna, per farci sentire timorosi, feriti, rifiutati...in poche parole dei falliti! Ammettiamolo, un conflitto familiare, un rimprovero ricevuto dal capoufficio, una delusione da un amico, una parola detta in un momento sbagliato, un atteggiamento ostile, uno sguardo equivoco, possono influenzare un minuto, una giornata, come l'intera nostra vita. 

Dobbiamo andare alla ricerca della nostra sicurezza interiore, della nostra forza ed energia autentica e positiva. Impariamo di nuovo a dialogare con le nostre emozioni come quando eravamo bambini, ma adesso con la consapevolezza, da adulti, di avere una maggiore esperienza e capacità di riflessione e valutazione. Riprendiamo contatto con il bambino che è in noi, rassicurandolo con il nostro amore, spiegandogli che nella vita si può sbagliare, e che è proprio dagli errori che più si impara. Sproniamolo a tirare fuori tutte le sue emozioni più genuine, a crescere e, con il nostro aiuto, a sviluppare tutte quelle potenzialità che ci permetteranno di raggiungere e mantenere un buon equilibrio psicofisico.

Vogliamo continuare a punirci perchè qualcuno ci ha ferito? Vogliamo a tutti i costi rimanere ancorati al passato? Sarebbe stupido, perchè non possiamo cambiarlo, ma di contro possiamo cambiare il nostro presente, modificando il nostro atteggiamento, il nostro punto di vista: rivediamo gli eventi, magari provando a metterci nei panni di chi ci ha offeso, tradito o deluso. Cerchiamo di non essere prevenuti. Del resto, potremmo anche scoprire che ad essere in torto siamo proprio noi: forse con una parola o un atteggiamento inopportuno; forse fraintendendo le intenzioni; forse istigando chi, per molto tempo, abbiamo condannato! Ma comunque sia andata, solo il “perdono”, quello vero, disinteressato, ci permetterà di andare avanti! Ma non scambiate l'indulgenza con la debolezza. Perdonare, non significa farsi mettere i piedi in testa o subire prepotenze, ma è la volontà, cambiando, di evolversi!

Cerchiamo di vedere le cose da un nuovo punto di vista, ristabilendo le priorità della nostra vita, cercando di andare oltre il mero aspetto fisico e materiale delle cose, avvicinandoci a una dimensione, forse per la maggior parte di noi, poco conosciuta: quella spirituale (e non intendo quella religiosa).

Perchè è proprio raggiungendo e sperimentando questa dimensione che impareremo a “perdonare”, recuperando non solo la salute del corpo, l’acquietamento delle emozioni e l'equilibrio della mente, ma anche e soprattutto quella “forza misteriosa” che ci spinge alla ricerca del vero significato della nostra esistenza e che ci porta a rispettare i nostri bisogni più profondi e a sentirci parte di un progetto più ampio che va al di là delle nostre conquiste materiali.

Allora, ciò che faremo e penseremo acquisterà un nuovo significato e tutto ci apparirà più chiaro e comprensibile!

Redazione