Il Senatore della Repubblica Tino Magni ha presentato una interrogazione parlamentare sulla vicenda della diga di Glori e dello studio di fattibilità finanziato e voluto dal Governo.
Domani alle 20.30, nel giardino del Prevosto a Badalucco i “No Diga” tornano con lo spettacolo per bambini “La Valle Argentina: una favola”.
“Nel 1959 tra Glori e Badalucco iniziarono i lavori per la costruzione di una diga da parte della società privata I.L.S.A. che doveva essere alta 80 metri e con una portata d’acqua di circa 20 milioni di metri cubi - spiega Tino Magni nell'annunciare l'interrogazione - in seguito al disastro del Vajont, 9 ottobre 1963, che causò 1917 morti, la popolazione dell'entroterra della provincia di Imperia si oppose al progetto sopracitato temendo che qualcosa di simile potesse verificarsi anche in quel territorio. L’11 novembre 1963 si decise di interrompere i lavori in seguito della protesta popolare organizzata dal Sindaco di Badalucco Filippo Boeri insieme ai cittadini della città di Badalucco, Montalto e Taggia. Successivamente, nel marzo del 1984, l’Enel provò a riprendere il vecchio progetto ma dovette tirarsi indietro a causa di un’altra protesta popolare organizzata dal Sindaco di Badalucco, Gianfranco Moro, insieme ad altri Sindaci dei comuni della Valle Argentina. Successivamente nel 2014 i cittadini di Badalucco tornarono a protestare per via di un progetto che prevedeva la realizzazione di un nuovo invaso a Glori, questa volta rivisto con una portata inferiore e di 30 metri circa”.
“Dal 16 marzo di quest’anno si è concretizzata, con un finanziamento ministeriale di 800 mila euro all’Autorità distrettuale del bacino appenninico ligure-toscano, l’idea della realizzazione di uno studio di fattibilità per una diga (o due mini-invasi) da 3-4 milioni di metri cubi nella valle dell’Argentina, sempre all’altezza di Glori, frazione di Molini di Triora - aggiunge Magni - nello specifico si parla di un muro, costruito nell'alveo del torrente Argentina in zona Glori, alto 30 metri e capace di contenere intorno ai 3-4 milioni di metri cubi d'acqua. L'opera, che prevede anche la realizzazione di una galleria sull'ex statale 548 per ovviare al problema del passaggio in paese dei mezzi pesanti, dovrebbe costare intorno ai 40 milioni di euro. Il 28 luglio 2023, oltre 500 persone hanno manifestato a Badalucco in segno di protesta contro gli studi per la costruzione di una diga o invasi lungo il fiume Argentina. Accompagnati da alcuni membri della banda cittadina al motto di “Un solo grido, un solo allarme la diga è in fiamme, la diga è in fiamme”, gli abitanti hanno sfilato in corteo per le vie e piazze del borgo con striscioni, manifesti e cartelli per ribadire il loro ‘no’ alle opere idrauliche. Il 4 settembre 2023 il Cimap, Coordinamento Imperiese Acqua Pubblica, ha diffuso una nota dove ha dichiarato che «Per contrastare il cambiamento climatico e preservare la risorsa acqua bene comune, l’unica vera grande opera necessaria è la manutenzione e la realizzazione di una nuova rete idrica. In un territorio e in un Paese dove si spreca più del 42% di acqua per le perdite degli acquedotti, a fronte di una media europea del 15%». Nella nota si legge anche «Non si può definire emergenza un fenomeno strutturale per il quale cambiamento e surriscaldamento climatico, siccità ed alluvioni si intrecciano e si rinforzano fra loro. La crisi idrica del 2022 e quella di quest’anno hanno messo in evidenza le responsabilità di un sistema di gestione caratterizzato dalla decennale mancanza di pianificazione e di investimenti infrastrutturali, soprattutto tra l’imperiese e l’andorese, dove i gestori cessati (vedi Amat) erano più impegnati in questi ultimi anni nei tribunali che a curare la progettualità e la salute degli impianti. Tutto ciò mentre il decreto siccità del governo va in tutt’altra direzione e promuove la realizzazione di dighe e sbarramenti, come quelli in Valle Argentina. Soluzioni fuori dal tempo, fortemente impattanti dal punto di vista ambientale, non in grado di dare risposte al problema della siccità per il mutamento del regime delle precipitazioni e l’incremento delle perdite per evaporazione, infine, escludendo da queste decisioni fondamentali le comunità territoriali»”.