Il caro energia-carburante, l’impennata dell’inflazione con l’impossibilità di cedere i crediti acquisiti con il superbonus 110 per cento e i mancati pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori sono le cause principali che hanno costretto, e costringeranno, molte attività commerciali e produttive a portare i libri in tribunale.
Nonostante il numero dei fallimenti registrato negli ultimi due anni non sia particolarmente elevato, il rischio che, dal prossimo autunno, torni ad aumentare in misura preoccupante è alquanto probabile. Lo attesta la Cgia, l'associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre. Per molte società la chiusura definitiva non sarà causata dall’impossibilità di pagare i propri debiti, ma per crediti inesigibili, ovvero per insolvenze in grandissima parte imputabili alle inadempienze della pubblica amministrazione.
Dopo le difficoltà causate dalla pandemia da Covid-19 nel biennio 2020-2021 e a seguito degli effetti negativi riconducibili alla guerra in Ucraina a partire dal prossimo autunno il numero dei fallimenti potrebbe tornare a crescere e subire una brusca impennata nel corso del 2023. Davanti a norme incerte che da mesi stanno condizionando negativamente l’applicazione del superbonus del 110 per cento, gli intermediari finanziari (banche, istituti finanziari, etc.) hanno praticamente bloccato gli acquisti del credito. A fronte di questa situazione, le imprese del comparto casa (edili, dipintori, installatori impianti, falegnami, etc.) non sono più in grado di fare gli sconti in fattura. E con crediti fiscali già acquisiti e non cedibili, che in molti casi ammontano a centinaia di migliaia di euro per singola azienda, molte imprese si trovano in crisi di liquidità e sul punto di sospendere i cantieri, non essendo più in grado di pagare i fornitori. Ma la situazione più problematica rimane lo stock dei debiti commerciali di parte corrente in capo alla nostra Pubblica Amministrazione che continua ad aumentare. Nel 2021, infatti, i mancati pagamenti ammontavano a 55,6 miliardi di euro. Ciò vuol dire che le imprese che lavorano per la PA non hanno ancora incassato una cifra spaventosa che è pari al 3,1% del Pil nazionale.
Sempre in questa prima parte del 2022, a livello regionale solo la Liguria ha visto aumentare il numero di fallimenti, che sono stati infatti 75 (+13,6%). La Valle d'Aosta ha mantenuto lo stesso numero (3), mentre tutte le altre regioni evidenziano diminuzioni. In Piemonte i fallimenti sono stati 200 (-4,8% rispetto ai primi cinque mesi 2021). A livello provinciale, Verbania, con 9 fallimenti, ha fatto registrare il record nazionale dell'incremento rispetto ai primi cinque mesi del 2021 (+200%); ma altre tre province del Nord Ovest presentano confronti negativi: Genova con 52 fallimenti (+26,8%), Savona con 10 (+25%) e Alessandria con 28 (+21,7%).
Vercelli ha chiuso alla pari con 5 fallimenti dall'inizio di gennaio alla fine di maggio; mentre le restanti province del Nord Ovest hanno evidenziato un calo di fallimenti rispetto allo stesso periodo 2021: Torino ne ha contati 118 (-4,1%), La Spezia 10 (-9,1%), Cuneo 16 (-11%), Novara 15 (-21,1%), Biella 3 (-50%), Imperia 3 (-50%) e Asti 6 (-53,8%).