Attualità - 01 agosto 2022, 07:21

Non si arresta l'emergenza migranti nell'imperiese, in molti vittime del 'pushback': privati di documenti, soldi, vestiti e della loro identità

Non bisogna dimenticare che chi arriva a Ventimiglia, nel disperato tentativo di oltrepassare il confine, ha una storia, un vissuto, molti sogni e speranze, e si merita un futuro che non dipenda dal suo luogo di nascita

Nell'imperiese, e soprattutto a Ventimiglia, sono migliaia i migranti che si radunano in un disperato e costante tentativo di raggiungere la Francia, per alcuni questo rappresenta un’ulteriore tappa all’interno di un viaggio che dura anni, per altri è la speranza in un nuovo inizio.

C’è chi resta solo qualche giorno prima di riuscire ad attraversare il confine, e c’è chi invece è obbligato a fermarsi per settimane, costantemente bloccato dalla condizione di immigrato illegale senza documenti che perseguita chi è in fuga da guerre, dittature, minacce o estrema povertà. Chi, infine, si arrende, e decide di tentare un’altra via, e di dirigersi verso il nord Europa.

Ciò che però sfugge è la storia che ognuno porta dentro di sé, il proprio vissuto, l’esperienza, la sofferenza, la perdita e la speranza. Ciò che risulta difficile comprendere è il fatto che chi si trova a Ventimiglia si considera fortunato, fortunato di essere sopravvissuto alla guerra nel proprio paese natale, alla fame del viaggio, alla violenza della polizia, all’ostilità delle popolazioni con cui si è scontrato fino a quel momento.

Chi si trova in Italia, se proviene dall’Afghanistan, è passato attraverso il regime “fascista”, come viene definito dai migranti stessi, dell’Iran, e ha probabilmente lavorato per mesi o anni in Turchia – spesso nell’ambito tessile, dalla cucitura alla stampa di vestiti – per pagarsi un’altra tappa del viaggio e cercare di attraversare il confine con la Grecia. Qui sono moltissimi i migranti che vengono respinti dalla polizia e vengono riportati in Turchia tramite una pratica conosciuta come “pushback”, spesso privati di ciò che avevano portato con sé nel viaggio – documenti, soldi, vestiti. Una volta raggiunta la Grecia, chi vediamo sul confine Ventimiglia-Mentone è sopravvissuto alla “rotta balcanica” o all’attraversamento in traghetto da Patrasso nascosto sotto ad un camion per 20 ore prima di giungere in Italia, e da Bari o da Trieste è riuscito a raggiungere Ventimiglia.

Chi proviene dal nord Africa invece, ha probabilmente attraversato il Sahara per giorni o settimane, ed è stato detenuto in campi di lavoro in Libia, facilmente definibili prigioni per le loro caratteristiche, ed è riuscito a guadagnare i soldi per pagare la tratta fino a Lampedusa o alla Sicilia. Una volta in Italia, ha raggiunto con successo – senza essere di nuovo detenuto – il confine con la Francia, ma il viaggio resta ancora lungo. Se i migranti vogliono raggiungere l’Inghilterra devono riuscire ad attraversare la Manica tramite Calais o Dunkerque; per il nord Europa invece è un susseguirsi di treni, autobus, polizia, arresti, incertezza.

Coloro che si trovano al confine, vivono in uno stato di transito, senza certezze o punti di riferimento, parlano l’italiano a stento e hanno alle spalle anni di una vita simile, senza una quotidianità che vada al di là della speranza che un giorno saranno abbastanza fortunati da riuscire ad ottenere i documenti all’interno di un paese dell’Unione Europea, e con essi una casa e un lavoro. Il processo legale e burocratico necessario per ottenere i documenti, che permettono loro di uscire dallo stato di immigrati illegali ed adottare lo status di asilo, è estremamente lungo, complesso e frustrante. Spesso impossibile. Senza chiare linee guida sul procedimento da seguire, con leggi nazionali ed europee che cambiano in continuazione, senza la capacità di parlare la lingua locale e vivendo quasi sempre ai margini della società in comunità semi-segregate, la possibilità di uscire dallo stato di immigrati illegali resta spesso un miraggio ed una battaglia persa in partenza.

Coloro che si trovano all’interno di questa odissea, spesso ignorano che, anche una volta ottenuti i documenti, l’integrazione nella nuova società risulta un nuovo ostacolo difficile da superare. Le probabilità che le loro capacità le loro conoscenze vengano riconosciute nelle società europee sono estremamente basse: la maggior parte delle volte i migranti si trovano impiegati nei lavori più umili e finiscono per appartenere alla sfera più bassa della società, non per mancanza di volontà, ma perché sui loro documenti il luogo di nascita, invece di “Italia”, “Germania” o “Francia”, riporta “Afghanistan”, “Siria”, o “Pakistan”.

Così sono innumerevoli i casi nei quali i sogni nel cassetto sono destinati a rimanere sogni, non per paura o incapacità, ma per la sfortuna e il caso di essere nati in un paese invece che in un altro. Quando ci si imbatte in qualcuno che sta cercando di attraversare il confine di Ventimiglia bisogna perciò ricordare che ogni individuo, oltre ad essere un immigrato in fuga dal proprio paese ed in cerca di una nuova vita, ha una storia, un vissuto, molti sogni e speranze, e si merita un futuro che non dipenda dal suo luogo di nascita.

Greta Murgia