Attualità - 23 marzo 2022, 11:15

Oltre la pandemia, oltre l’Alice Carli, quella vera, intima e privata

Uno sguardo insieme alla sanremese Alice Carli su cosa ci ha lasciato questa pandemia e sulle eventuali soluzioni per far fronte alla “disruption”, che sicuramente pesa sulle imprese, e sulle persone

Dopo che la minaccia del contagio in questi due lunghissimi anni ha bussato alle porte delle nostre case, trovandoci impreparati e impotenti, ma ancora sufficientemente lucidi per fare appello alla sopravvivenza, abbiamo il dovere di guardare oltre la pandemia. A tal proposito abbiamo incontrato Alice Carli, esperta professionista d'eccezione del mondo della moda, una laurea in marketing e comunicazione e una Certificazione di eccellenza a Cambridge, dopo qualche step, una carriera tutta in ascesa. Dopo aver ricoperto ruoli manageriali per i brand Furla e Tods, Fratelli Rossetti e Peuterey, la 40enne sanremese oggi si conferma ai vertici del mondo della Consulenza Strategica. Pubblicata su tutte le riviste, dal Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore a Vogue, Harpers Bazaar, Forbes, in questa intervista, daremo insieme uno sguardo su cosa ci ha lasciato questa pandemia e sulle eventuali soluzioni per far fronte alla disruption che sicuramente pesa sulle imprese.

Come ha vissuto questo lungo periodo di emergenza sanitaria?

Alice nel paese delle meraviglie è diventata grande. La Pandemia, che i molti chiamano “Disruption” (ovvero Dirompente) è stato un momento senza precedenti, dove tutti eravamo impotenti e soprattutto che non tornerà più indietro. Durante questo difficile periodo mi sono rimessa in gioco, studiando, imparando. Avevo l’esigenza di staccare la testa e di vivere un’esperienza nuova. Sicuramente è servito del coraggio per farlo. Ma tornassi indietro lo rifarei mille volte. Ho conseguito una specialistica in strategia alla Harvard Business School su innovazione, sostenibilità e digitale. Gran parte del tempo l'ho dedicato alle videoconferenze, visto che non era possibile spostarsi. E' stata un'occasione speciale per compiere un percorso professionale, con colleghi da tutto il mondo, didattico, personale e direi anche emotivo”.

In che modo la pandemia ha cambiato il modello comportamentale delle persone?

Le misure di lockdown nel tentativo di fermare la pandemia, hanno portato ad una chiusura dei luoghi di lavoro e delle abitazioni in tutto il mondo. Apri, chiudi, Apri, chiudi etc. Tutto questo ha avuto delle ripercussioni evidenti. Infatti, la pandemia ha soverchiato qualunque tipo di attività senza distinzione di genere (la malattia non guarda in faccia nessuno), mettendoci in una condizione sicuramente molto emotiva e fragile di insicurezza. Questo periodo ha accresciuto l'insicurezza oppure degli individualismi ancora più significativi. Sono cambiati i valori nei target dei giovani nel senso che comunque si stanno dirigendo alla ricerca di autenticità, di ritorno alle origini, alla ricerca di una vera identità. Dall'essere esclusivi siamo passati all'essere inclusivi. La quotidianità, lo stile di vita e le modalità di lavoro delle persone sono state stravolte. Oggi la gente non vuole più stare da sola e ha voglia di vivere bene a livello fisico e mentale. L'etica è diventata più importante dell'estetica quando forse, anche fra i giovani o meno giovani si è capito che la vita non è un servizio fotografico. Valori come l’affetto, l’amicizia, il fare squadra, il reggersi l’uno con l’altro stanno per riemergere”.

Cosa è cambiato nel mondo del lavoro durante il lockdown?

Inutile ripetere quanto il Covid-19 abbia cambiato le nostre vite. L’impossibilità di poter uscire, la restrizione in termini di contatti fisici con le persone, gli uffici sempre meno frequentati hanno avuto un impatto sulla quotidianità, soprattutto per i lavoratori abituati a uscire di casa al mattino e rientrare la sera. Per molte aziende è stato necessario cambiare l’approccio al lavoro iniziando a far praticare ai propri dipendenti lo smart working. E' stato pertanto necessario trovare nuovi punti di riferimento e tra questi la trasformazione digitale. Piattaforme come Zoom, Skype, social network, piattaforme di formazione, software per il lavoro condiviso e così via, sono giunti in aiuto di un mondo che ha dovuto “rinunciare” ai rapporti in presenza, e ha dovuto iniziare a incontrare i propri colleghi dietro uno schermo. Molti si sono improvvisamente trovati a dover gestire il loro lavoro da casa e le difficoltà iniziali non sono state poche. Alla fine non tutti amiamo il cambiamento, soprattutto se repentino. La tecnologia ha cambiato il nostro modo di pensare e di agire. E' inoltre evidente che tutti abbiamo perso qualcosa e nessuno è rimasto uguale e sicuramente questa nuova modalità di lavoro ha aumentato lo stress”.

Quali sono le eventuali soluzioni per far fronte alla disruption?

Per superare l’impatto della pandemia dovremo affrontare sfide molto impegnative. La nuova fase non sarà un semplice ritorno al business pre emergenza, ma più probabilmente aprirà un decennio di “New Normal”, una nuova era definita da rapidi cambiamenti nelle norme culturali, nei valori della società e nei comportamenti. La risposta più corretta è che la forma e la qualità del futuro non potranno che dipendere da noi, dalle lezioni etiche che sapremo trarre da questa vicenda, dalle conseguenti scelte comportamentali, che sapremo compiere di qui al prossimo futuro. Se saremo in grado di dare concretezza ad un vero cambiamento, potremo ambire ad un futuro migliore. Vediamo alternative? Non penso, se non quella di essere pessimisti, ma personalmente, non penso faccia bene. Bisogna passare da una visione “IO-ADESSO” – “NOI-DOMANI”.

Questi ultimi quasi due anni non sono stati evidentemente facili per nessuno, nemmeno per chi aveva certezze più assolute. Ma in fondo, talvolta ripensare a quanto fatto finora, male non fa. Cogliamo almeno l’occasione per rinascere, come delle Arabe Fenici, questo è il mio augurio per tutti”.


 

ml