I debiti di natura fiscale, come anche tutti i tipi di debiti contratti da un soggetto deceduto, vengono trasferiti ai suoi figli, a meno che questi ultimi rifiutino l’eredità entro i 10 anni che seguono l’apertura della successione.
Di conseguenza, i debiti con Equitalia (parliamo quindi di cartelle di pagamento non estinte) o con altri enti di amministrazione finanziaria (come l’Agenzia delle Entrate), vengono trasferiti ai figli del debitore deceduto; questi dovranno risanare il debito in prima persona, affidandosi al loro stesso patrimonio oppure tentando il saldo e stralcio con Equitalia.
Nonostante ciò, esistono delle particolari situazioni in cui è possibile escludere o limitare la responsabilità dei figli da questo onere. Te li illustreremo in questo articolo.
LE SANZIONI NON SI TRASMETTONO AI FIGLI
Come già anticipato, la legge decreta che i figli devono rispondere alle obbligazioni tributarie che sono state contratte dal debitore prima della propria morte. Inoltre, Equitalia ha la facoltà di richiedere il pagamento integrale dei debiti anche ad uno solo fra gli eredi, ma quest’ultimo potrà sempre avvalersi del diritto di coinvolgere anche gli altri coeredi.
La buona notizia è che quando si parla di sanzioni, queste non vengono mai trasferite agli eredi. In poche parole, se nella cartella di Equitalia è specificato di dover effettuare il pagamento di un importo diviso fra un titolo di imposta evasa e un titolo di sanzione, quest’ultimo non deve essere preso a carico dagli eredi.
Al fine di aggiudicarsi la detrazione delle sanzioni dalla cartella esattoriale, i figli possono presentare un’istanza di autotutela, la quale va inoltrata sia ad Equitalia stessa, sia all’ente titolare del credito (quindi parliamo dell’Agenzia delle Entrate nel caso di mancato pagamento dell’Irpef, IVA e imposte erariali, del Comune o della Regione per mancato versamento di imposte locali, e infine dell’ente accertatore nel caso di multe stradali).
C’è da stare attenti: il documento di istanza di autotutela non rimuove i termini per impugnare la cartella davanti al giudice. Questo termine temporale varia in base alla sanzione presa in considerazione, quindi nel caso di multe stradali è di trenta giorni, per le imposte sale a sessanta giorni, mentre per i contributi previdenziali è di quaranta giorni. In questo modo, nel caso in cui Equitalia non dovesse farsi viva entro i tempi specificati, si dovrà comunque procedere al ricorso interpellando un giudice competente. Di fatti, dopo che il termine è scaduto, la cartella diventa definitiva, quindi non vi sono più modi per annullarla. La conseguenza diretta è che l’erede del debitore si ritroverà a dover pagare l’importo integrale, nonostante non sia dovuto.
Le sanzioni derivanti dal de cuius non vengono trasferite agli figli benché il debitore sia deceduto durante un piano rateale di pagamento che non si è ancora concluso: nel primo caso, alcuni esempi possono essere l’accertamento con adesione o l’acquiscenza, mentre nel caso della seconda ipotesi, parliamo di conciliazione giudiziale e del reclamo-mediazione.
Per di più, a non ricadere sui figli del debitore sono le conseguenze del ritardo nei pagamenti delle quote messi in atto dal contribuente antecedentemente alla sua morte, o della scadenza del beneficio della rateazione dovuta alle sue violazioni.
Quindi, gli uffici non dovranno fare riferimento ai parenti per ottenere le somme a carico del defunto nel caso in cui si parla di inadempienze da lui commesse. Al contrario, gli figli dovranno occuparsi di risanare le sanzioni derivanti dalle rate non pagate entro i termini successivi alla morte del debitore.
LA NOTIFICA DELLA CARTELLA VA INOLTRATA CORRETTAMENTE
Un ulteriore motivo che può portare a non pagare la cartella risiede nella verifica della notifica: questa, infatti, deve essere effettuata in modo corretto. A questo proposito, esistono delle regole ben specifiche ben illustrate da Chescelta.it. Vediamole di seguito.
Dopo il giorno del decesso del contribuente, la cartella va inoltrata ai figli in modo impersonale, e va recapitata presso l’ultimo domicilio del contribuente defunto. In sostanza, sulla busta di Equitalia, nell’apposito spazio dedicato al nome del destinatario, non devono essere inseriti nome e cognome del de cuius, ma la dicitura "eredi del sig.". Nel caso in cui la cartella sia destinata al contribuente defunto, la notifica diventa nulla.
Nonostante ciò, i figli hanno la facoltà di comunicare all’Agenzia delle Entrate e ad Equitalia l’avvenuto decesso del debitore. Nel caso in cui ciò si verificasse, trenta giorni dopo questa comunicazione, la notifica della cartella va indirizzata sempre presso di loro (personalmente, quindi), e non all’ultimo domicilio del contribuente e in modo impersonale a tutti gli eredi.
Inoltre, la direttiva della notifica impersonale perde di valenza trascorso un anno dal decesso del contribuente. Dopo un anno, infatti, la notifica va indirizzata personalmente ai singoli eredi, e dunque andrà inviata presso il loro domicilio, con il loro nome precisato sulla busta di Equitalia.
C’è da fare attenzione però: anche in questa circostanza ci sono delle insidie nascoste nella norma di legge. La notifica deve, si, essere effettuata entro i termini descritti sopra, ma se per caso il contribuente riceve la cartella personalmente, egli ammette implicitamente di esserne venuto a conoscenza, e di conseguenza il vizio viene sanato. La sola alternativa è aspettare semplicemente la mossa successiva di Equitalia. Se infatti Equitalia dovesse comunicare un possibile pignoramento o una misura cautelare (che può essere ad esempio il fermo o l’ipoteca), il contribuente potrebbe allora far presente l’avvenimento di mancata notifica dell’atto prodromico, vale a dire della cartella di pagamento stessa, in questo modo vincendo la partita.
LA PRESCRIZIONE DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO
Un consiglio fondamentale che ci sentiamo di suggerirti è quello di verificare la prescrizione degli importi riportati sulla cartella Equitalia. Infatti, essendo debiti contratti nel tempo, potrebbero già essere scaduti.
COME EVITARE DI EREDITARE I DEBITI EQUITALIA DEL DEFUNTO
Come già suggerito in precedenza in questo articolo, la regola del trasferimento dei debiti fiscali dal defunto contribuente ai suoi figli ha valenza solo nell’evenienza in cui i figli stessi abbiano accettato l’eredità. Viceversa, se avviene la rinuncia all’eredità, i debiti non vengono tramandati. Questo è valido anche per le obbligazioni fiscali e con Equitalia.
La rinuncia all’eredità non può mai avvenire prima dell’apertura della successione. Per di più, coloro che hanno già accettato l’eredità non possono fare un passo indietro e rinunciare. Di conseguenza, è sempre un’ottima pratica controllare con anticipo la situazione debitoria del defunto prima di accettare l’eredità. Per semplificare questa operazione, è possibile rivolgersi allo sportello Equitalia dove si può far richiesta di un estratto di ruolo, un documento che specifica a quanto ammontano gli eventuali debiti contratti dal defunto.
La rinuncia all’eredità ha un effetto retroattivo, vale a dire che coloro che rinunciano sono considerati come non interpellati. Di conseguenza, colui che rinuncia può farlo anche dopo aver ricevuto la cartella di Equitalia, ovvero dopo essersi reso conto dell’ammontare dei debiti lasciati dal defunto. Bisogna tenere a mente che ciò deve avvenire entro i dieci anni dalla morte del contribuente.
Perché la rinuncia sia valida, deve essere dichiarata ufficialmente da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario ove è iniziata la procedura di successione. Inoltre, la rinuncia non potrà essere parziale, e neanche sottoposta a termine o condizione. Nel caso in cui gli figli siano dei minori, la rinuncia deve essere effettuata dai genitori che abbiano ottenuto l’autorizzazione da parte del giudice tutelare.
Coloro che posseggono i beni del defunto (come ad esempio un figlio convivente, o un coniuge che utilizza l’auto del defunto), ha a disposizione meno tempo per effettuare la rinuncia all’eredità. Parliamo, infatti, di tre mesi dall’apertura della successione, termine entro il quale l’erede dovrà redigere l’inventario e comunicare se ha intenzione di procedere con la rinuncia, o accettarla con beneficio di inventario nei successivi quaranta giorni. Se ciò non avviene, l’erede viene considerato come erede puro e semplice, ovvero come se egli avesse semplicemente accettato l’eredità senza possibilità di tornare indietro.
ACCETTAZIONE CON BENEFICIO DI INVENTARIO
L’ultimo modo per evitare perdite correlate all’accettazione dell’eredità, è quello di procedere con l’accettazione con beneficio di inventario. Anche in questo caso esiste un termine che corrisponde a dieci anni. Però, nel caso in cui l’erede sia in possesso dei beni del defunto contribuente, dovrà effettuare l’inventario entro tre mesi, e comunicare l’accettazione nei successivi quaranta giorni.
Tramite l’accettazione con beneficio di inventario, l’erede ha la possibilità di separare i propri beni da quelli ereditati, concedendo ai creditori del defunto di attingere esclusivamente dai beni ereditati, e mai da quelli personali dell’erede. In questo modo è possibile mettere al sicuro la propria casa o il proprio conto corrente da eventuali azioni fiscali operate da Equitalia.