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Attualità | 11 settembre 2021, 07:11

Sanremo: racconti di vita da Casa Serena, parla una ex dipendente “Per noi gli ospiti erano come una famiglia, ci ho lasciato il cuore”

“Li vedevamo tutti i giorni, a Natale, a Pasqua, al loro compleanno, ora mi metto nei panni di chi aveva noi come punto di riferimento”

La RSA di Poggio 'Casa Serena'

La RSA di Poggio 'Casa Serena'

I fatti di Casa Serena non sono solo fogli di carta, verbali timbrati Asl1, zuffe verbali in consiglio comunale. Sono storie di donne e uomini che per anni hanno lavorato a stretto contatto con chi passa lì dentro l’ultimo cammino della vita, con chi vuole solo un sorriso o una carezza, un pensiero, un’attenzione in più. Casa Serena è pregna di storie, racconti, pensieri, ricordi di vite transitate da lì.

Non lo nascondiamo: durante i tanti servizi che abbiamo realizzato in questi giorni in molti non hanno trattenuto le lacrime nel raccontarci la vita all’interno di Casa Serena. Il pensiero di aver abbandonato gli ospiti non dà pace.
E così una delle tante lavoratrici che hanno lasciato Casa Serena ha scelto di raccontarci la sua vita lì dentro, la sua storia, quello che si è lasciata alle spalle dopo 16 anni di lavoro.

Noi conoscevamo tutto degli ospiti, le loro storie, le loro vite, quando sei in camera e pulisci loro ti raccontano tutto, entri nelle loro vite - ci racconta una ex dipendente di Casa Serena che, per ovvi motivi, preferisce rimanere anonima - ora penso che passino la giornata seduti su una sedia, prima con la fisioterapia potevano stare insieme, in compagnia mentre facevano la cyclette, c’era uno scambio di parole e di vita. Ora non c’è più niente. Non ho parole. Non hanno nemmeno la parrucchiera e l’estetista. Prima di tutto dovrebbe venire il bene degli ospiti”.

Negli anni tra i corridoi e le stanze di Casa Serena sono nate amicizie importanti: “Avevamo una ospite che faceva l’uncinetto e ci faceva regali, per noi era come una famiglia. Un altro ospite ogni volta che mi vedeva entrare mi chiedeva come stesse mia figlia. Li vedevamo tutti i giorni, a Natale, a Pasqua, al loro compleanno. Casa Serena era una élite, ora mi metto nei panni degli ospiti che avevano noi come punto di riferimento, noi che eravamo lì da anni. Ci lascio il cuore, ogni mattina mi sveglio e penso a come staranno. Non è più Casa Serena, non puoi pretendere che un ospite stia tutto il giorno chiuso in camera peggio dei carcerati. Spero che si mettano una mano sulla coscienza, non per i dipendenti ma per gli ospiti”.

C’è preoccupazione, quindi, per il destino dei tanti ospiti che gli operatori di Casa Serena hanno curato per anni: “Le nuove operatrici hanno una conoscenza solo ‘sulla carta’, ci sono anche alcune infermiere che non parlano italiano. Noi ci siamo sempre aiutate anche tra chi aveva ruoli diversi. Durante i mesi del covid facevo le pulizie, ma aiutavo anche le ragazze e le infermiere, sparecchiavo, portavo via i rifiuti. Ora ci dicono che stanno facendo turni da 13 ore, fanno le pulizie ma non ce la fanno a fare tutto ad esempio i terrazzi vanno puliti tutti i giorni perché c’è un’invasione di piccioni. Poi manca la lavanderia, hanno detto che prenderanno lenzuola che non si stirano, ma come faranno con gli indumenti?”.

L’altruismo di chi ha prestato servizio per 16 anni a Casa Serena emerge nel pensiero fisso verso gli ospiti, ma la situazione personale di chi si ritrova senza lavoro non è semplice: “Ora faccio niente, ho fatto qualche domanda di assunzione ma alla mia età chi mi prende? Anche le mie colleghe che sono andate via sono ferme, abbiamo tutte fatto richiesta per la disoccupazione. Ho un mutuo e la situazione non è facile”.

Tante le emozioni e le sensazioni in anni e anni di lavoro intrecciando la propria vita con quelle degli altri. Ora spegnere tutto e chiudersi la porta alle spalle non è facile.

Pietro Zampedroni

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