“Non la chiamiamo più peste, forse perché il termine oggi tecnicamente più appropriato ‘pandemia’ ce la fa apparire devastante, ma anche più razionalmente descrivibile e riconducibile ad una controllabile patologia. E pandemia fu davvero durante l'impero di Giustiniano, quando una terribile epidemia di peste pruriginosa di tipo bubbonico, iniziata, in sordina, nelle regioni cinesi vicine al Turkestan e poi, tramite l'India, passata in Persia, si diffuse in Europa, Medio Oriente e specialmente in Nord Africa, provocando molte vittime. Costantinopoli, centro della potenza bizantina, venne interessata dal morbo proprio mentre le sue truppe partivano per la Sicilia e l'Africa settentrionale per combattere i Mauri, che insidiavano le province mediterranee dell'impero. La peste, detta dunque giustinianea, sconvolse la demografia del VI e VII secolo e si manifestò in diversi cicli. Fu una vera catastrofe. La Liguria fu praticamente decimata. La peste arrivò nelle nostre contrade direttamente dalla Loira, dopo averle inizialmente aggirate, e, successivamente, dilagò in esse, anche a causa degli stessi contatti commerciali marittimi in atto con Africa ed Etiopia, dove la malattia era già arrivata da Est e si era rigenerata, tramite ratti e flussi alimentari.
Penetrò nella Liguria di Ponente subito dopo aver seminato desolazione nelle province limitrofe, come ci dice Gregorio di Tours. I cadaveri non si contavano più e, per accoglierli, le autorità imperiali, ordinarono di scavare fosse comuni. Ventimiglia, Albenga ed altre città liguri furono spopolate e divennero immensi cimiteri. Diano, Porto Maurizio, Laigueglia, Varigotti e Savona, fortezze bizantine di prim'ordine, furono accerchiate da folle sbandate. E ciò si verificò durante le operazioni militari condotte agli ordini del generale Narsete contro altri invasori entrati in Italia. Chi poteva si rifugiava nelle campagne o raggiungeva i monti, nella speranza di salvarsi dall'epidemia. Ma il contagio non dava scampo anche nelle zone lontane dai centri urbani. Uno storico posteriore, Paolo Diacono, racconterà in che misera condizione si trovò la Liguria in quel periodo. I segni dell'epidemia, narra infatti Diacono, si videro immediatamente con il comparire di crescenze ascellari purulenti e di febbri molto elevate. Seguiva l'abbandonare precipitoso delle abitazioni per non rimanere a contatto con i famigliari malati o deceduti e fonte di contagio. Non di rado, tuttavia, chi sopravviveva era preso da sete inesauribile e da lancinanti dolori che conducevano alla morte. Il fenomeno aveva interessato Marsiglia e Ostia, dove, per la loro posizione geografica, erano confluite le navi da trasporto del grano dal Nord Africa. E nel Nord Africa appunto divampava da mesi la peste. Analogamente avveniva dagli scali della Provenza e di Albenga. Altri cronisti dell'epoca riferiscono che, in certi casi, i morti venivano abbandonati all'aperto o bruciati, quando diventava arduo seppellirli per il gran numero, al fine di circoscrivere l'infezione e allontanarsi dai miasmi. La rovina economica che ne seguì fu enorme. Ma non tardò la ripresa, quella ripresa che, grazie soprattutto alle fortune di Genova, riporterà la Liguria, nel suo complesso, sia nel successivo periodo longobardo che con il cessare di esso, alle posizioni di gloria che la Storia le assegnerà. La vittoria sulle incursioni dei Saraceni e lo sventolare imperioso dei vessilli liguri sui mari lo testimonierà.
Pierluigi Casalino”.














