Tra le inossidabili tradizioni di Rock in the Casbah non può mancare quella conclusiva. Come sempre è Simone “Radiomandrake” Parisi a spegnere le luci, mettere le sedie sopra i tavoli e dare il giro di chiave. Il suo saluto segna da sempre la fine dell’edizione e marca l’appuntamento all’anno prossimo.
Quindi silenzio, parola a Simone, e poi…arrivederci alla 20a edizione di Rock in the Casbah: "Renato ripassa come se dovesse calcare il palco del Piccolo di Milano per una 'prima' da tutto esaurito, prepariamo una scenetta breve per contestualizzare il suo ingresso sul palco, e Renato sale, di Rock in the Casbah fu il primo presentatore, Lou Reenato era il suo avatar. Poco prima di lui i due 'rookies' Sam & Doublemind, 19enni di belle speranze che cavalcano il beat dei loro tempi per scandire a tempo di rap le loro parole mai banali, testi intensi di ragazzi che hanno il coraggio delle loro idee e le mettono in musica. Millennials illuminati, distanti dalla rima 'Un bicchier di vino con un panino'. E Renato inizia a parlare...racconta di ragazzi di fine anni 70 uniti in una piccola piazza, o in spiaggia o nel parco a far musica per provare a sognare la strada che parte dal basso per arrivare alla volta celeste, per provare ad evadere dal piombo e dalle bombe che si innescavano tutto intorno. E di una Sanremo tanto lontana, 'lontana nel tempo' la definirebbe Luigi Tenco, vuota davanti all’Ariston per riempirsi di vita e testimonianze di essenza nelle piazze nascoste della città vecchia come San Costanzo o Santa Brigida come giù a San Siro. Io suono e sono, noi suoniamo e siamo, insieme, nel sogno, contro il piombo, nel volo. Scavando senza troppa paura dentro alle cose per cercare di vederle meglio, per provare a capirle senza cadere nella trappola delle fake news. Per avere un’idea vera nei confronti del mondo, un’ideologia da seguire per cercare di avere un posto nel miglior mondo possibile. E la gioventù si arrangiava, costruiva, si organizzava, perché nessun altro lo avrebbe fatto in sua vece".
"Renato. Ti ho chiesto anche di presentarli quei giovani padri di famiglia brizzolati che suonano progressive perché all’epoca pensavano davvero al progresso, al futuro, magari lo immaginavano diverso, ma erano persi nel loro sogno, contro il piombo attraverso un volo. Ti ho chiesto di urlare il nome Occulto perché solo tu potevi farlo davvero, il mio sogno di quell’epoca era un pallone e qualche macchinina, non conoscevo nemmeno la scuola e mi piacevano i disegni dei fumetti, Renato, la prima volta che venni quassù a San Costanzo c’eri tu a presentare la Ratamacue, come gli Skiantos prima di chiunque altro, prima di me. E ci siamo alternati anche questa volta, tutta Rock in the Casbah ha vissuto sul filo dell’alternanza. I più giovani con i più anziani, il metal con la dancehall, i cantautori con il reggae, il power metal col rockabilly, e prima ancora il jazz più puro con il pop/soul. Ed il pubblico ha scoperto la Pigna tutta, è arrivato sin quassù dal basso, percorrendo quella Creuza de Ma al contrario di “Vengo dal Sud” di Nosenzo con la quale si è aperta la rassegna, ha lasciato il mare dietro sé ed ha raggiunto quella Sanremo che non sai. Il pubblico che se sommato nelle quattro sere ha raggiunto un numero forse mai considerato. Il pubblico che è cuore pulsante di queste notti, organo fondamentale per pompare il sangue dei colori verso ogni angolo di San Costanzo".
"E forse oggi come allora, riuniti a rappresentare sé, ed uniti sotto al palco, insieme, come quei ragazzi di fine anni ’70. Un’alternanza che diventa vortice e spirale al tempo stesso, una galassia in cui nessuna stella è uguale ma tutte formano l’insieme. Potrei anche chiudere così questo solito rendiconto di notti di Rock in the Casbah, magari citando il manifesto di Sudario Brando disegnatore sublime e la video sigla di Danilo Bestagno, artista delle immagini per rendere il palco enorme e unico, magari rifugiandomi nella metafora di un ragazzo di 19 anni che va fuori casa per viaggiare e scoprire il mondo e farsi un’idea vera di esso, con uno zaino di ricordi ed una borraccia da riempire ad ogni fontana di acqua sempre diversa, un ragazzo che sceglie il proprio cammino e lo percorre. 19 anni come quelli trascorsi da quell’anno 2000 dove qualche idea visionaria fece si che questo terrazzo bombardato nel 1944 divenne palco. Ma c’è sempre qualche scampolo di immagine che si manifesta nella tasca ancora piena di ricordi, e c’è sempre quella voglia di nominare tutte le fondamenta per non tralasciare nulla di fondamentale. Così chiudo gli occhi e cerco...le mille mani al cielo che ballano sui beat degli OBV, i pezzi nuovi dei Datakill e Lorenzo che si gode ogni nota insieme a Stefano e Davide, e l’emozione di Pepé che esce come un campione mondiale dal palco, e l’etichetta della camicia nuova di Andy che dondola tra i sorrisi di tutti, e Lorenzo dei Sesor che attacca il cavo al microfono come Govi nella scena della Gassetta e del Pumellu, e i Nick’s Airlines che portano tutti nel 1950 o giù di lì come fosse il Ballo dell’incanto sotto il mare, e Caligagan che vuole tutti sopra al palco per cantare Bob Marley, la grande voce fiera e sarda di Daniele degli Shockin’ Head, il divertimento degli Skeletoon, la passione di Brilla, il post punk preciso dei Maneras e la voglia dei Burning Leaf".
"E Lo Straniero che ti prende da metà anni 80 con quella scelta di batteria elettronica così tanto CCCP, e le linee melodiche agganciate tra Ustmamò e tutto quel bel momento italiano. E nello stesso tempo il gusto di non essere mai retrò ma futuribili e strani, per questo stanno in Tempesta Dischi, strani come piace ad Enrico Molteni mente Tempesta e basso allegro e morto. Ed il pubblico che inizia a riempire ogni spazio in attesa dei loro Pinguini preferiti non si chiede nulla ma si butta sotto al palco a ballare le note de Lo Straniero, protagonista la musica, e protagonista sempre San Costanzo. Ed infine l’ultimo splendido atto, la sublimazione finale e l’esplosione tanto sperata. Hanno quel nome che ti fa pensare un poco: perché Pinguini Tattici Nucleari? Insomma, te lo domandi per forza, non passa nulla inosservato. Quattro dischi alle spalle e per molti sono quasi sconosciuti, per molti del grande pubblico che li scoprirà tra poco (ho dato loro due anni per arrivare a fare il Festival del Teatro Ariston e poterli riabbracciare, ma forse due sono troppi...) ma qui il gioco dell’alternanza vede la sua reale e ultima realizzazione. Un pubblico tutto nuovo e massiccio, giovanissimo, che arriva a cantare ogni nota, a ridere di ogni momento di uno show vero e coinvolgente, un pubblico che si siede quando Riccardo glielo chiede ed esplode in un pogo ordinato e felice, una Gioventù Brucata di quelle che hanno cercato il tassello verticale giocando a Tetris e risolvere la loro linea, e mille mani al cielo, mille sorrisi per sventolare la bandiera della magia sulla cima più alta della Casbah. Una musica futuribile, una speranza ironica e intelligente per il futuro, una scommessa vinta. Ritorniamo a bomba. Noi siamo insieme e suoniamo e cantiamo, diceva Renato, Fare Musica è sempre stato questo: un’idea, un sogno, una visione. 19 anni fa come oggi dove il più giovane ha quasi 50 anni ed il più vecchio va verso i 60...quella che mugugna e si ferma non è la nostra città, stiamo altrove. Queste parole le cantò Ramon Gabardi".
"Giovedì notte, Valerio sta dietro al bancone del bar, guarda il cellulare che d’improvviso si resetta, torna in vita con una chat di anni prima e la dicitura Ramon ha abbandonato il gruppo, un attimo solo prima di riprendere le impostazioni giuste e far comparire metri di pelle d’oca...ok amico, eri qui e questa volta lo hai voluto sottolineare, tu 19 anni fa eri sopra al palco, io attaccato ad un albero che non c’è più, magari lo hai tu lassù e giochi a far Tarzan lanciando ululati da foresta e ridendo in modo sonoro e cadenzato come da tua abitudine. Il venerdì era il giorno del tuo ricordo e lo sapevi, e ti sei seduto un’altra volta sul bordo del palco con la erre moscia di Dresda, saluta anche Iba se lo incontri per caso. Ora la città vecchia è stata svestita come una vecchia signora, magari sarà un poco più decadente e meno illuminata, ma andateci ogni tanto, transitatela, vivetela, dai giardini in giù o dal mare in su, o dal basso verso la volta celeste come quei ragazzi di fine anni ’70".
Ed anche quest’anno si chiude come un fazzoletto da mettere in tasca con un nodo buono per qualche ricordo. Arrivederci da SanCo. Dirty old town.