Con l'appuntamento di oggi cominciamo ad investigare nei dettagli le due più diffuse cause di cessazione del rapporto di lavoro partendo dalle dimissioni del lavoratore. Come già abbiamo avuto modo di specificare, le dimissioni rappresentano un atto unilaterale per mezzo del quale il lavoratore esprime la volontà di interrompere un determinato legame contrattuale.
Il discorso relativo al recesso da parte del lavoratore assume particolare rilievo in ragione del fatto che egli, a livello sostanziale, rappresenta tradizionalmente la parte contrattuale debole. Effettivamente potrebbe non essere difficile per un datore di lavoro imporre la propria volontà e “costringere” in varie maniere il lavoratore a rassegnare le proprie dimissioni, così evitando le articolate norme che disciplinano il licenziamento. Ad esempio in passato era tristemente nota la pratica delle c.d. Dimissioni in bianco, nel cui ambito il datore di lavoro, all'atto di assunzione, si faceva firmare una scrittura da parte del lavoratore, allo scopo di poterla utilizzare come rapido ed indolore strumento per risolvere il contratto di lavoro in caso le cose fossero andate male (tradizionalmente era una pratica rivolta alle lavoratrici per i casi di matrimonio o gravidanze).
Il sistema nel corso degli anni si è evoluto ed ora, a partire dal 12/03/2015, per la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato è prevista esclusivamente una modalità telematica di invio delle dimissioni. Ogni altro atto realizzato dal lavoratore è inefficace, e non ha la forza di produrre la cessazione del rapporto, anche se sul piano interno del rapporto, è possibile rendere nota al datore di lavoro la propria decisione attraverso una scrittura semplice.
Nei dettagli, oggi è possibile accedere alla procedura percorrendo strade differenti.
La prima è attuabile in prima persona dal lavoratore il quale, dopo aver ottenuto il proprio PIN INPS, può accedere alla funzionalità del portale online disponibile presso il sito www.lavoro.gov.it e seguire la procedura guidata del sistema.
Diversamente, è possibile rivolgersi a degli interlocutori accreditati che, fungendo da intermediari, curano l'invio telematico delle dimissioni per conto del lavoratore. Tali soggetti sono rappresentati da patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali, commissioni di certificazione, consulenti del lavoro e sedi territoriali dell'Ispettorato nazionale del lavoro (INL). Entro sette giorni dall'invio delle dimissioni è possibile revocarle, sempre online, avvalendosi del diritto di ripensamento.
A seguito della conferma dei propri dati sul portale, e del completamento della procedura online, l'atto di dimissioni si perfeziona, e viene notificato tramite posta elettronica certificata al datore di lavoro e inoltrato per conoscenza alla sede dell'ispettorato del lavoro competente per territorio.
Questa procedura risulta innovativa sotto numerosi profili. Per cominciare, non è consentita l'interferenza del datore di lavoro nello svolgimento delle operazioni telematiche: egli, come detto, riceve notifica dell'invio al termine delle operazioni. Inoltre è favorito il riconoscimento dell'identità del lavoratore attraverso l'accreditamento svolto da parte dell'intermediario che segue per suo conto la procedura oppure direttamente per mezzo del PIN INPS personale (nel caso in cui la pratica venga direttamente curata dall'interessato). Infine, alla trasmissione viene conferita data certa attraverso l'attribuzione di una marca temporale, affiancata da un codice alfanumerico identificativo.
Per precisare, si ricordi come esistano delle eccezioni all’applicazione della procedura online appena esplicata, come ad esempio nel caso di lavoratori domestici, nel caso di recessi in costanza di periodo di prova, nel caso di lavoratrici in stato di gravidanza o entro i primi tre anni di vita (o di affidamento) dei figli (in quest'ultimo caso, per maggiore tutela, le dimissioni sono convalidate direttamente presso le sedi dell'Ispettorato).
Infine, è opportuno ricordare che nel caso di dimissioni volontarie, nonostante l'eventuale presenza dei requisiti, il lavoratore non accede al diritto di accesso all'indennità di disoccupazione (NASPI), proprio perché quest'ultima si atteggia a prestazione di sostegno per chi perde il lavoro contro la propria volontà, e non verso chi lo fa in ragione di una scelta personale. Per lo stesso motivo, allora, accederanno alla NASPI tutti quei lavoratori sostenuti da una giusta causa di dimissione. Ad esempio, possono rientrare in questa casistica i lavoratori resi oggetto di molestie sessuali oppure quelli che non percepiscano la retribuzione da un consistente periodo di tempo per fatti imputabili al datore di lavoro.