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Attualità | 26 novembre 2016, 09:35

Sanremo: gli antichi Statuti comunali della città, nel racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo

Gli statuti regolavano in particolare tutte le norme concernenti l’amministrazione giudiziaria, che era disciplinata da apposite convenzioni e prevedeva anche il ricorso alla tortura

Sanremo: gli antichi Statuti comunali della città, nel racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo

La prima attestazione di norme giuridiche e amministrative stipulate nel territorio matuziano risale al 26 giugno 1143, quando la compagna e i consoli sanremesi riconobbero l’arcivescovo di Genova signore e conte del borgo, impegnandosi contestualmente ad amministrare la giustizia con onestà e nel rispetto delle leggi. La prima menzione di veri e propri statuti è contenuta tuttavia nel giuramento di fedeltà al metropolita genovese pronunciato dai consoli matuziani il 6 maggio 1225.

Nel 1432 il Parlamento di Sanremo incaricò un’apposita commissione, formata da Giovanni Palmaro, Giacomo Fabiano e dai notai Antonio Barraba e Giovanni Battista Gioffredo, di redigere una nuova versione degli statuti comunali, che venne ufficialmente approvata dal doge Raffaele Adorno il 16 dicembre 1434, e ratificata definitivamente dal Parlamento matuziano radunato nella chiesa di Santo Stefano il 1° maggio 1435. Centotrent’anni dopo il Parlamento incaricò una nuova commissione di procedere ad un’ulteriore revisione e aggiornamento del testo statutario, che venne approvato dalla stessa assise il 21 ottobre 1565.

Il testo degli statuti cominciava con un’invocazione religiosa a Dio, alla Madonna, a tutti i Santi del Paradiso, oltreché ai Santi Siro e Romolo, patroni della città. Dopo questa premessa compariva l’elenco delle feste in cui la Curia (la pretura o tribunale) rimaneva chiusa. Al vertice della civica amministrazione era posto il podestà, che aveva l’obbligo di rimanere sempre in città. Oltre al podestà, erano poi previsti il Parlamento, detentore del potere legislativo e formato da tutti i capifamiglia dai 17 ai 70 anni; il Consiglio comunale, che esercitava il potere esecutivo; i clavigeri, che avevano l’incarico di incassare le multe dai debitori insolventi; un massaro, che svolgeva le mansioni di riscuotere le tasse (avarie e collette), le somme derivanti dalle condanne, dai diritti di erbaggio e altre spettanze comunali; due sindaci, che avevano il compito di difendere diritti e ragioni del Comune; due mestrari, incaricati, tra l’altro, di rilasciare le licenze commerciali e curare la manutenzione delle strade; gli estimatori di beni mobili e immobili; i campari, con la funzione di sorvegliare le campagne e i boschi comunali; i nunzi e gli scribi.

Gli statuti regolavano in particolare tutte le norme concernenti l’amministrazione giudiziaria, che era disciplinata da apposite convenzioni e prevedeva anche il ricorso alla tortura. Pure le attività agricole e rurali, che occupavano la maggior parte degli abitanti sanremesi, erano minuziosamente regolate da specifiche prescrizioni contenute negli statuti. Tra le pene più gravi era previsto il taglio del piede per coloro che avessero commesso furti con scasso senza saldare la relativa contravvenzione e il taglio della mano, oltre che per i ladri di api e miele, anche per i forestieri che avessero rimosso le pietre di un guado, mentre la tortura era contemplata soltanto nei confronti di imputati già condannati per incendio doloso o, più in generale, per gli uomini definiti di “cattiva fama”. La pena di morte era infine riservata ai condannati per reati di furto recidivo, adulterio (ma solo se di sesso femminile), violenza alle donne, rapina e omicidio.

Redazione

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