Passata la buriana dell’allerta rossa, è cominciata la conta dei danni in Liguria. La nostra regione ha chiesto lo stato d’emergenza al governo per il fortissimo maltempo che ha imperversato su buona parte del territorio. Abbiamo già l’immagine-simbolo di queste precipitazioni novembrine: il fiume di fango che ha travolto una casa a Lavina, frazione di Rezzo, in valle Arroscia.
L’entroterra imperiese e anche savonese è stato colpito in modo particolare dai temporali con frane, smottamenti, torrenti esondati, strade chiuse, allagamenti, borghi rimasti isolati. Stavolta non è Genova a riempire le prime pagine dei notiziari con le vie invase d’acqua e detriti. Al suo posto ci sono le vallate del Ponente, i piccoli paesi, le stradine tortuose di montagna; su fino alla piena del Tanaro, alle devastazioni di Ormea e Garessio e nel resto del Piemonte.
È diventato facile additare le responsabilità ai cambiamenti climatici, al surriscaldamento terrestre che detta le sue leggi con eventi meteorologici sempre più intensi, alle difficoltà di prevedere dove i temporali scaricheranno maggiormente tutta la loro forza. Così si è soliti commentare l’accaduto con la formula del disastro annunciato e delle sue circostanze aggravanti: il dissesto idrogeologico, la scarsa pulizia di fiumi, argini e alvei, il cemento selvaggio, l’abbandono delle campagne.
L’altra considerazione che va per la maggiore è che siamo figli e vittime della logica dell’emergenza, cioè pensiamo alla melma solo quando ci troviamo nella melma fino agli occhi. Potremmo, invece, provare a ragionare sulle opportunità offerte dalla nostra precaria condizione. C’è il dissesto, è vero, abbiamo avuto la cementificazione incontrollata, accidenti, prevenire è meglio che leccarsi le ferite, sacrosanto, e allora?
Forse la soluzione - in Liguria come altrove - risiede nel “keynesismo ambientale”, in una nuova ondata d’investimenti pubblici-privati nei vari settori dell’economia verde. Il mutamento climatico con le sue piogge straordinarie potrebbe diventare il nostro datore di lavoro? Potrebbe imporre ai governi nuove regole di spesa pubblica per sfruttare, e magari moltiplicare, i denari delle ricostruzioni?
Per combattere la disoccupazione e la crisi economica potrebbe essere utile una sorta di “patto di sostenibilità” focalizzato su fonti rinnovabili, produzione circolare di beni e servizi minimizzando i rifiuti, efficienza energetica, edilizia “sana” a basso impatto ecologico e poi tanta, anzi tantissima manutenzione del costruito e tantissima cura dell’ambiente naturale.