Una volta a scuola potevi appartenere almeno a tre categorie: i bulli, quelli presi in giro dai bulli, e chi viveva il tutto con maggiore distacco. C'era chi ti appendeva un biglietto sulla schiena, chi ti spintonava, chi ti chiamava con nomignoli crudeli o ti prendeva crudelmente in giro. C'era chi si divertiva a fare tutto questo, sentendosi qualcuno e c'era chi, per difesa o per carattere, preferiva pensare a sè, scegliendo di non essere né vittima, né carnefice.
Oggi con una trasposizione virtuale di Sodoma, Gomorra e anche Babilonia, tutto quello che succede nei corridoi e nelle aule delle scuole, viene amplificato sui social. I bulli sono diventati cyber bulli e le vittime, beh quelle rimangono sempre tali, ma diventano virali, talmente tanto, che non reggendo una “popolarità” negativa non cercata, scelgono spesso di commettere gesti estremi. Ma è davvero necessario vivere nei social per far parte di una comunità? Non tutti la pensano così e sebbene si tratti di perle rare, abbiamo raccolto i commenti di due ragazzi del Liceo di Sanremo che ci spiegano perché ai social preferiscano ancora alzare il telefono e... parlare.
Viola, 16 anni: “Fin dalle medie, quando tutti utilizzavano Facebook o Skype per sentirsi, non l'ho mai impiegato, né sentito la mancanza: se volevo parlare con una mia amica la chiamavo direttamente perché mi sembrava più pratico. Ora utilizzo WhatsApp per lo stesso motivo, perché è più comodo per parlare spendendo praticamente nulla. Molti mi chiedono perché non ti fai Facebook? Perché comunque non mi serve visto che utilizzo già WhatsApp e Instagram, che mi piace di più ed ha quasi la stessa funzione. Non sento il bisogno di condividere tutto quello che faccio, ad eccezione di qualche foto che mi scatto con i miei amici per immortalare un ricordo o una bella serata. Naturalmente non tutti quelli che usano Facebook lo utilizzano troppo o in modo scorretto, ma quelli che lo fanno, ad esempio chi fa cyber bullismo, rovina i social e li trasformano in un'arma contro persone più deboli. Perché nascondersi dietro uno schermo? È questo che non mi piace di molti social”
Rafael, 16 anni: “Personalmente, non ho nulla in contrario all'uso dei social. Semplicemente, forse più per carattere che altro, non sono entusiasmato da quest'idea della condivisione, che sembra esserne invece il punto di forza. Mentirei se dicessi che mi piace sapere della vita quotidiana di altre persone, e mentirei ancora di più se dicessi che mi piace che siano gli altri ad interessarsi al mio quotidiano. Ciò non significa che mi dispiacerebbe a priori, ma di certo l'idea non mi fa impazzire. Per tutto il resto, (vale a dire notizie, barzellette e foto di gatti) non c'è nulla a cui non possa provvedere con mezzi differenti. Se li si vede in quest'ottica, i social sono perfettamente rimpiazzabili laddove non vi sia l'esplicita volontà (o necessità) di condividere. Per quanto riguarda invece il cyber bullismo, lo vedo come la naturale trasposizione di un comportamento diffuso nella società: si dice che i social rendano più semplici le dinamiche sociali, e il bullismo non fa certo eccezione”.
Ma cosa ne pensano i professionisti di questo o fenomeno? Lo abbiamo chiesto alla Dottoressa Ernestina Fiore: “Nella mia esperienza clinica capita di incontrare ragazzi che non usino i social per volere dei genitori. Non solo in questi casi, ma sempre bisognerebbe prima di tutto portare i genitori a comprendere il fenomeno da un punto di vista utile, sia mostrando la parte negativa, legata al bullismo o a incontri sbagliati, sia quella positiva, della socializzazione. In questi casi i genitori dovrebbero controllare i propri figli sia nell'utilizzo dei social, ma soprattutto sul tempo che vi viene impiegato. Ogni ragazzo è diverso e chi decide di non far parte dei social può avere diverse ragioni, tra cui quella di non esporre la propria privacy. Non trovo giusto demonizzare i social, se usati in modo corretto li ritengo un mezzo d'aiuto alla socialità dei ragazzi. Credo prò che debbano essere utilizzati nel modo giusto, sotto il controllo dei genitori”.