L’improvviso scoppio della guerra tra la Francia e gli imperiali di Carlo V, al quale si assoggettava la stessa Genova nel 1522, coinvolse quindi anche la nostra zona, dove cominciò a distinguersi l’ammiraglio di origini onegliesi Andrea Doria, che, dopo aver guidato la flotta del re di Francia, fece uccidere Luciano Grimaldi dal nipote Bartolomeo tentando quindi di impadronirsi di Monaco, ma il tentativo fallì, il nuovo signore Agostino Grimaldi si annettè Dolceacqua ma Andrea Doria bombardò Mentone e si riprese Dolceacqua, passando infine al servizio di Carlo V nel 1528, dopoché quest’ultimo aveva invaso la Francia meridionale facendo di Monaco un protettorato spagnolo. Nel corso del Cinquecento le popolazioni rivierasche dovettero affrontare anche un’altra gravissima minaccia, quella costituita dalle scorrerie dei pirati barbareschi, che rinnovarono, con le loro inaudite violenze, distruzioni, uccisioni e saccheggi, i lutti e le angosce vissute durante il periodo delle incursioni saracene di sei secoli prima. All’origine di questi drammatici e sanguinosi attacchi dal mare vi era stata la decisione, presa dall’imperatore ottomano dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, di scatenare una vera e propria «guerra santa» contro gli infedeli attraverso una serie di azioni di guerriglia e terrorismo affidate ad esperte bande di predoni del mare che avevano le loro basi operative soprattutto nel Levante e sulle coste algerine e tunisine. Il primo assalto contro le località del Ponente ligure si registrò nel 1508, quando una flotta barbaresca guidata dal turco Kurtogali saccheggiò Diano rapendone parecchi abitanti, mentre l’anno successivo gli assalti furono rivolti alle coste laziali tanto da indurre il papa a richiedere l’intervento della Repubblica genovese, che affidò l’incarico di debellare i pirati al giovane Andrea Doria, il quale distrusse la loro base di Biserta e ottenne la vana promessa che in futuro i barbareschi avrebbero risparmiato la costa ligure. Pochi anni dopo scese in campo un altro feroce capo-corsaro, il governatore di Algeri Kair-ed-Din detto il Barbarossa, la cui flotta venne però sconfitta da quella genovese, guidata sempre da Andrea Doria, nel 1526 al largo di Civitavecchia. Una decina di anni dopo, tra il 1536 e il 1537, il Barbarossa, ben lungi dall’essere battuto, riprese le sue scorribande lungo le coste liguri, inducendo alla fine papa Paolo III ad organizzare una grande spedizione, capitanata anch’essa dall’ammiraglio onegliese, il quale però decise di non attaccare la flotta turca mentre si trovava al largo di Corfù, lasciando quindi mano libera al Barbarossa, che nel frattempo era stato nominato ammiraglio pure lui dall’imperatore ottomano Solimano. Nel 1539 fece la sua comparsa sui nostri mari un altro pirata barbaresco che in breve tempo sarebbe diventato il terrore del Tirreno: il corsaro Dragut. Intanto Barbarossa tornò all’attacco e, coadiuvato da un contingente francese, nell’agosto 1543 diede l’assedio a Nizza, che resistette eroicamente fino all’arrivo degli alleati che la liberarono, mentre, sempre ai primi di agosto, sette navi cariche di un migliaio di pirati algerini sbarcavano nottetempo sulla spiaggia di Sanremo sferrando l’assalto alla città, ma furono vittoriosamente respinti dai Sanremesi nella battaglia della Parà presso Verezzo.
Dopo una sosta invernale nella baia di Tolone, Barbarossa e i suoi rientrarono nelle loro basi nel Levante, mentre le città costiere apprestavano valide difese per rispondere efficacemente agli attacchi dei barbareschi, che assalirono nuovamente Sanremo, dove saccheggiarono la chiesa di San Siro risparmiando tuttavia la città vecchia protetta dalla sua alta cinta muraria. Nel 1544 aveva intanto termine la guerra tra Francia e Spagna e due anni dopo moriva il temuto Barbarossa, il cui posto venne allora preso da Dragut, che già nel 1546 si portò sulle coste liguri assaltando selvaggiamente Laigueglia, San Lorenzo, Santo Stefano e Ventimiglia, inducendo i governanti locali a rafforzare ulteriormente le difese contro i pirati tramite la costruzione di numerosi bastioni, tra i quali la Torre della Ciapella eretta a Sanremo nel 1550, e la riduzione del numero delle porte. Frattanto a Genova si consumava la vendetta contro Andrea Doria da parte della potente famiglia dei Fieschi, che organizzarono nel 1547 una congiura contro l’anziano ammiraglio nel corso della quale persero la vita Giannettino Doria e Gian Luigi Fieschi, mentre nel 1555 il condottiero onegliese espugnava a Monastir la base operativa di Dragut, che, nonostante lo smacco subito, assalì nel 1555 Ospedaletti e Coldirodi, facendo numerosi prigionieri, poi in parte riscattati, segno questo che la minaccia dei corsari turchi era ancora reale, come dimostrato soltanto due anni dopo dalla comparsa di un altro capo-pirata, il rinnegato calabrese Ulugh-Alì, detto Occhialì, che seminò il terrore a Oneglia e San Lorenzo, seguito l’inverno successivo dall’altro capo-corsaro Pialì Pascià, che fece anche lui rotta verso la Riviera ligure. Neanche il tentativo di Genova di accordarsi segretamente con i Turchi ebbe successo, tanto che già nel 1560 pirati algerini saccheggiarono Lingueglietta, Civezza, Cipressa e Riva. Ma ormai anche la buona sorte stava volgendo le spalle ai pirati ottomani, che furono sconfitti una prima volta nel 1565 nel corso di un durissimo scontro navale, in cui perse la vita anche Dragut, ma il colpo definitivo fu sferrato nel 1571 dalla grande flotta cristiana al comando di don Giovanni d’Austria, che nella grande battaglia navale di Lepanto pose fine alle mire espansionistiche turche in Europa e quindi alle scorrerie barbaresche, anche se Occhialì avrebbe continuato ad infestare con la propria flotta le coste meridionali e le isole italiane, proprio quando le autorità locali della Liguria di Ponente avevano completato la realizzazione del sistema di avvistamento e difesa tramite la costruzione di numerose torri di guardia e fortezze, i cui resti sono ancora oggi esistenti a testimoniare il secolo di autentico terrore vissuto dalla popolazione dell’estremo Ponente nel XVI secolo per la minaccia rappresentata dai barbareschi, che tuttavia, dopo la disfatta di Lepanto, avrebbero gradualmente diradato i loro attacchi fino a scomparire completamente.
Gli ultimi decenni del Cinquecento furono inoltre caratterizzati anche in Riviera dal particolare attivismo del Tribunale dell’Inquisizione, che nel 1588 intentò il famoso processo alle streghe di Triora, che si concluse con una serie di sentenze capitali nei confronti di alcune povere donne vittime del fanatismo religioso e della superstizione popolare, manifestandosi così in tutta la sua durezza il tentativo della Chiesa uscita dalla Controriforma di reprimere senza pietà qualsiasi deviazione dall’ortodossia tridentina attraverso la rigorosa applicazione di veri e propri metodi persecutori nei confronti di semplici cittadini anche per il solo sospetto di un vago atteggiamento di natura eretica, risultando ancora una volta più esposte le donne accusate di stregoneria, molte delle quali subirono processi in quegli anni a Ventimiglia, Ceriana e Baiardo, pagando spesso con la vita il prezzo della loro condizione diversa in una società contrassegnata da un radicato integralismo di stampo cattolico alimentato dalla sempre più ampia diffusione di leggende e superstizioni soprattutto tra i ceti più bassi della popolazione. Intanto continuava la politica espansionistica nei confronti dell’estremo Ponente da parte dei Savoia, il cui duca Carlo Emanuele I, dopo aver acquisito i marchesati di Saluzzo e del Monferrato, entrò in conflitto con la Spagna, che, per tutta risposta, procedette nel 1614 all’occupazione di Oneglia e del castello del Maro, lasciando la prima soltanto tre anni e mezzo dopo, mentre nel dicembre 1620 il territorio onegliese, insieme al Marchesato di Zuccarello, veniva eretto in principato e quindi ceduto in appannaggio al figlio del duca, Emanuele Filiberto. L’acquisto di Zuccarello venne però duramente contestato dal governo genovese che lo ricomprò all’asta provocando la ferma reazione del duca Carlo Emanuele, che si schierò a fianco di Francia e Venezia contro la Repubblica dando così inizio alla prima guerra tra Genova e il Piemonte. Nel 1625 l’esercito franco-piemontese aprì le ostilità occupando Oneglia, mentre le truppe alleate espugnavano Pieve di Teco e Sanremo, la quale faceva atto di sottomissione a Genova insieme ad altre località rivierasche. Il 26 maggio, intanto, il principe di Piemonte Vittorio Amedeo riuscì ad entrare a Ventimiglia, che venne sottoposta ad un violento saccheggio, mentre scattava il contrattacco dei Genovesi, che rioccuparono Oneglia e Porto Maurizio oltre a varie località della Val Nervia, liberando infine la stessa Ventimiglia quando intervenne l’armistizio, nonostante il quale i Piemontesi occuparono ancora Buggio nel 1627 e oppressero la ribelle Oneglia con una serie di gravose imposte. L’adesione del signore di Dolceacqua Carlo Doria alla Repubblica genovese nel 1634 provocò l’intervento di Carlo Emanuele che fece rioccupare il castello doriano, mentre la sopraggiunta pace tra Piemonte e Genova nel 1635 pattuiva la restituzione al duca sabaudo del principato di Oneglia, Pigna e Penna, mentre pochi anni dopo, nel 1641, la signoria di Monaco passava sotto la protezione francese su iniziativa del primo principe monegasco Onorato II, che si era liberato facilmente del presidio spagnolo di stanza nella Rocca. Un successivo intervento militare spagnolo per assicurarsi il controllo di Oneglia fallì però nel 1649, mentre tre anni dopo il signore di Dolceacqua Francesco Doria rendeva omaggio ai Savoia, che gli restituirono il feudo nominandolo anche marchese.
Non passarono tuttavia molti anni che le tensioni tra Genova e il Piemonte, acuite ulteriormente per questioni legate alla definizione dei confini tra Briga e Triora e tra Genova e Rezzo, sfociarono in un nuovo conflitto armato, avviato dal tentativo di Carlo Emanuele II di congiungere Oneglia con il suo retroterra piemontese, reclamando Pornassio, e poi continuato con la presa sabauda di Pieve di Teco nel giugno 1672, alla quale rispose immediatamente l’esercito genovese, che occupò e saccheggiò Briga, mentre, subito dopo, i Piemontesi contrattaccavano su tre fronti diversi, non riuscendo tuttavia ad espugnare le piazzeforti di Penna e Dolceacqua e neanche quella munitissima di Ventimiglia; sul fronte marittimo della guerra, invece, Oneglia, in stato di assedio, fu costretta infine a capitolare alla flotta francese anche per via del tradimento del conte Gentile, ponendo così le condizioni per arrivare rapidamente ad una pace, che venne stipulata nel 1673, senza tuttavia che la situazione territoriale delle regioni contese subisse delle modifiche rimanendo sostanzialmente quella dell’anteguerra. Intanto le comunità dipendenti da Ventimiglia cominciavano a richiedere una maggiore autonomia dal capoluogo per via soprattutto delle pesanti imposte e delle derrate agricole troppo onerose che dovevano corrispondere al Comune intemelio, tanto che i rappresentanti delle ville chiesero già nel XVI secolo al governo genovese l’autorizzazione a staccarsi da Ventimiglia, ottenendo quindi l’autonomia dal punto di vista economico nel febbraio 1683 e poi anche quella territoriale nel marzo successivo. Così le ville di Camporosso, Vallecrosia, San Biagio, Vallebona, Soldano, Borghetto San Nicolò, Sasso e Bordighera costituirono nel 1686 la «Magnifica Comunità degli Otto Luoghi», che si diede un parlamento formato da 24 membri, mentre il governo era affidato a quattro sindaci e a vari funzionari che avevano l’incarico di far rispettare i capitoli e le deliberazioni adottate. La nuova federazione si rifiutò inoltre di continuare a pagare le decime al vescovo intemelio, e, nonostante le cause intestate da quest’ultimo contro i borghi della Comunità, questa ottenne finalmente l’esonero definitivo dalle tasse vescovili nel 1754, mantenendo la sua autonomia e i suoi ordinamenti fino all’epoca napoleonica, singolare esempio di autogestione democratica e di saggia amministrazione della collettività, oltreché segno tangibile del profondo anelito alla libertà da parte delle popolazioni dell’estremo Ponente.
Dopo la pace tra Genova e il Piemonte del 1673, quest’ultimo tentò nuovamente di annettersi il marchesato di Dolceacqua, che Carlo Imperiale Doria riuscì tuttavia a conservare, mentre lo scoppio della guerra di successione spagnola contrapponeva gli eserciti austro-piemontesi a quelli franco-spagnoli, che nel 1705 occuparono Nizza, che capitolò l’anno successivo; poco dopo Monaco si annetteva la Turbia, dove fu in parte distrutto il celebre trofeo augusteo, ma nel 1707 i Piemontesi rientrarono a Nizza e, al termine del conflitto, al quale non aveva partecipato la Repubblica di Genova, la pace di Utrecht del 1713 stabilì la restituzione del Nizzardo a Vittorio Amedeo II di Savoia, al quale venne anche riconosciuto il titolo di re di Sardegna. Pochi anni dopo il Piemonte, che ambiva a consolidare il suo predominio sull’estrema Liguria occidentale, acquistò il feudo di Seborga dai monaci benedettini di Lerino, che vi avevano aperto una zecca nel 1666 erigendo il loro piccolo possedimento in effimero «principato», la cui cessione ai Savoia del 1729 rappresentava per questi ultimi un ulteriore allargamento della loro «sfera d’influenza» sulla Riviera, dove già controllavano Nizza e Sospello disponendo dell’omaggio di Mentone, Roccabruna e Dolceacqua, mentre nel 1735 ingrandivano anche il territorio del principato di Oneglia tramite l’acquisizione di una parte dei feudi settentrionali delle Langhe. Durante la successiva guerra di successione austriaca, scoppiata nel 1740, i franco-spagnoli occuparono Nizza nel 1744, passando quindi la frontiera e accampandosi nei pressi di Bordighera; una colonna di armati si diresse quindi verso Oneglia, che resistette, mentre un altro contingente occupava e saccheggiava Dolceacqua entrando subito dopo a Pigna, Isolabona, Seborga, Apricale, Perinaldo e Breglio. Nel 1745 entrò nel conflitto anche Genova, che, alleatasi con i franco-spagnoli, non potè tuttavia impedire il violentissimo saccheggio a cui i Piemontesi sottoposero Ventimiglia, mentre nel luglio 1745 alcune unità navali britanniche bombardarono pesantemente Sanremo. Dolceacqua venne nuovamente attaccata e il suo castello distrutto e duramente colpite furono anche Pigna e Castelfranco fino a quando l’esercito genovese non passò in forze al contrattacco liberando Ventimiglia, ma la fine del conflitto, sancita con la pace di Aquisgrana del 1748, lasciò ancora una volta le cose immutate in un territorio che era stato duramente provato dalla particolare asprezza della guerra, che, oltre alle incursioni e ai vari bombardamenti marittimi e terrestri, aveva comportato la distruzione del Castello di Dolceacqua e del Forte di San Paolo a Ventimiglia.
Negli stessi anni la situazione precipitava a Sanremo, dove le continue vessazioni imposte dal governo della Repubblica alla popolazione locale erano già sfociate in due ribellioni, nel 1639 e nel 1729, represse duramente. Ma nel 1753 scoppiò una vera e propria rivoluzione, scaturita dal pretesto della richiesta di autonomia dalla città matuziana avanzata dalla Colla (l’odierna Coldirodi) l’anno prima, e iniziata con l’arresto del colonnello Vinzoni, del commmissario Doria e di altri funzionari genovesi incaricati di dirimere la controversia territoriale insorta tra Sanremo e la sua frazione. Dopo la richiesta di annessione della città al Regno di Sardegna, che venne però respinta dal governo piemontese, arrivò puntualmente la durissima reazione di Genova, che inviò a Sanremo un contingente al comando del generale Pinelli, il quale stroncò con la forza la ribellione, mentre i principali capi della rivolta venivano condannati a morte o esiliati, i loro beni confiscati e tutte le libertà civili abrogate. Il governo genovese fece inoltre costruire la Fortezza di Santa Tecla, terminata nel 1756, per poter controllare meglio la città ribelle, la quale, nonostante i ripetuti appelli dei suoi rappresentanti all’imperatore e al re sabaudo invocanti il rispetto dei suoi legittimi diritti, venne sottoposta ad un ferreo e intransigente regime di occupazione, segno palese della storica difficoltà della Repubblica a far valere il suo dominio e le sue leggi nei centri principali dell’estremo Ponente con l’irriducibile Ventimiglia in testa, mentre, al contrario, le città sottoposte al dominio piemontese davano prova di grande attaccamento e dedizione al re di Sardegna, tra le quali soprattutto Oneglia, che proprio in quegli anni ricevette dal sovrano sabaudo il titolo di civitas fidelissima. Frattanto lo scoppio della Rivoluzione francese dava corpo alla volontà del governo repubblicano transalpino di garantirsi dei confini geografici sicuri tramite anche l’annessione dei territori di Nizza e della Savoia, i quali, dopo il rifiuto a cederli da parte del re di Sardegna Vittorio Amedeo III, vennero occupati con la forza nel 1792 dall’esercito rivoluzionario, che nel febbraio 1793 attaccò quello austro-sardo, che riuscì a respingere l’assalto delle truppe repubblicane guidate dal generale Brunet, il quale fu costretto alla fine ad ordinare il ripiegamento, mentre nell’ottobre dell’anno prima una squadra navale francese aveva sottoposto ad un violento bombardamento e quindi al saccheggio la città di Oneglia, i cui abitanti risposero alla punizione inferta loro dalla Francia con la costituzione di un gruppo agguerrito di corsari, chiamati anche «Tigri di Oneglia», i quali avrebbero in seguito assaltato e depredato per vendetta numerose navi francesi di passaggio ostacolando pesantemente i rifornimenti diretti Oltralpe e i traffici genovesi. Tali azioni rappresentarono inoltre un facile pretesto offerto ai Francesi per intervenire nuovamente nel Ponente, che nell’aprile 1794 venne invaso da un poderoso contingente transalpino formato da circa 20.000 uomini al comando del generale nizzardo Massena, il cui reparto di artiglieria era affidato ad un giovane generale destinato ad una brillante carriera, Napoleone Bonaparte, mentre erano al seguito della spedizione il rappresentante della Rivoluzione Agostino Robespierre, fratello del più noto Massimiliano, e l’esponente giacobino Filippo Buonarroti in qualità di commissario.
Varcata la frontiera il 6 aprile, le truppe francesi incontrarono un’accanita resistenza da parte di quelle austro-piemontesi guidate dal generale Dellera, non riuscendo a passare il Roia, mentre una colonna raggiungeva Monte Giove, un’altra occupava Cima Grai, da dove si sarebbe tuttavia ritirata pochi giorni dopo, e una terza, guidata dal generale Mouret, riusciva ad espugnare Oneglia, dove i soldati francesi compirono una sistematica devastazione dell’abitato. I parziali successi conseguiti anche a causa delle avverse condizioni atmosferiche, spinsero i Francesi a chiamare una divisione di riserva, con il compito di raggiungere Triora e occupare i passi di Collardente, della Mezzaluna e la dorsale della Valle Arroscia, mentre gli austro-sardi ricevevano l’ordine di opporsi agli attacchi nemici attraverso il rafforzamento della linea di difesa lungo la Valle del Tanaro e sul Colle di Tenda con il paese di Saorgio in funzione di unica testa di ponte. Il 16 aprile la divisione Oneglia attaccò le postazioni nemiche al Colle di Nava, che cadde, occupando Ormea e Garessio, e dieci giorni dopo una colonna francese impegnò i Piemontesi nella zona di Cima Marta, mentre il 27 aprile un’altra colonna si dirigeva verso il Monte Toraggio e Cima Grai, dove la ridotta piemontese venne attaccata, dopodiché i Francesi si misero all’inseguimento dei Piemontesi fino a Testa della Nava, dove inflissero loro una pesante sconfitta, mentre altri sanguinosi scontri avvenuti nei pressi del Monte Frontè e del forte di Collardente costringevano i Piemontesi a ripiegare sulle posizioni del Colle di Tenda, consentendo ai Francesi di occupare facilmente le posizioni temporaneamente evacuate. Il 28 aprile ripresero le operazioni militari, che portarono, grazie all’inaspettato tradimento del generale piemontese Saint Amour, all’occupazione francese di Saorgio il 2 maggio e di Tenda il 7. Dopo una breve sosta, il generale Massena ordinò l’attacco alle postazioni austro-sarde dislocate lungo il Colle di Tenda, costringendo i Piemontesi a ripiegare a Borgo San Dalmazzo mentre i Francesi si fermavano a Limone anche per il sopraggiungere della notizia del colpo di Stato dei termidoriani a Parigi, che fecero anche imprigionare lo stesso Napoleone ad Antibes, rilasciandolo poco dopo per la sua estraneità alla fazione rivoluzionaria vittima della reazione termidoriana. Alla fine del breve conflitto i Francesi si erano quindi assicurati il controllo di tutta la Liguria occidentale insieme a quello dell’intero arco alpino dal Piccolo San Bernardo a Loano, dove, in seguito alla resa degli eserciti austro-sardi, il dominio del territorio era passato nelle mani delle forze rivoluzionarie.
Nel 1796 Napoleone tornava nuovamente nella Liguria di Ponente alla testa delle sue truppe, che in ventidue giorni di campagna sconfissero i Piemontesi, costringendo il re sardo a sottoscrivere il duro armistizio di Cherasco e a stipulare un’alleanza militare con la Francia, che gli restituì il possedimento di Oneglia. Tutto però sarebbe cambiato l’anno dopo in seguito alla nascita della Repubblica Ligure, che stabilì la soppressione dei vecchi ordinamenti genovesi sostituiti da una nuova costituzione ispirata ai principi rivoluzionari francesi. Nel giugno 1798 un gruppo di antimonarchici liguri cercarono allora di espugnare Oneglia, presidiata dall’ammiraglio De Geneys, passando poi ad occupare Porto Maurizio e Diano Marina. Nel dicembre sopravvenne però l’abdicazione del re di Sardegna Carlo Emanuele IV con il Piemonte che divenne una Repubblica strettamente dipendente dalla Francia. Nello stesso tempo scoppiarono anche dei tumulti a Oneglia repressi dall’esercito francese, che occupò la città, mentre altre ribellioni e proteste popolari furono duramente soffocate a Ventimiglia. Nel 1800 un contingente austro-piemontese, guidato dal generale Melas, tentò di rioccupare la Liguria occidentale, riuscendo a sconfiggere i Francesi nelle battaglie della Mezzaluna e del Monte Mucchio di Pietre a Cartari nei pressi di Cesio, ed entrando subito dopo a Oneglia. Ma altri avvenimenti di ben più vasta portata come la nomina di Napoleone a Primo console e la disfatta austriaca a Marengo cambiarono radicalmente la situazione con la trasformazione di Piemonte e Liguria in due repubbliche vassalle della Francia. Il territorio dell’estremo Ponente ligure era stato fra l’altro interessato, a partire dal 1797, da una serie di riorganizzazioni amministrative con la suddivisione della parte occidentale dell’attuale provincia di Imperia in vari distretti, tra i quali quello del Roia con capoluogo Ventimiglia, poi riuniti nella Giurisdizione delle Palme con capoluogo Sanremo, dal quale dipendevano dieci cantoni da Ventimiglia a Taggia. Nel 1802, in seguito allo smembramento della diocesi intemelia, venne creata la nuova Giurisdizione degli Ulivi con capoluogo Oneglia, che controllava un territorio molto più vasto dell’attuale provincia, andando da Garavano (Mentone) al Capo di Santo Spirito oltre l’abitato di Ceriale. La successiva annessione della Liguria all’Impero francese nel 1805 portò alla suddivisione amministrativa della regione in tre dipartimenti, dei quali quello di Montenotte assunse la giurisdizione sulla Liguria di Ponente, che venne ripartita in quattro circondari, tra i quali il più occidentale era quello di Porto Maurizio. Nel 1808 il quartiere di Garavano venne quindi sottratto all’amministrazione di Ventimiglia per essere assegnato a quella di Mentone, mentre la perdita del rango di capoluogo da parte di Oneglia fu compensata dalla costruzione della strada del Colle di Nava fino a Ormea; nel 1810 venne inoltre avviata la realizzazione della strada litoranea della Cornice, poi terminata nel 1828, e nel corso del 1811 si procedette anche alla risistemazione di quella diretta al Colle di Tenda. Nel complesso, il periodo napoleonico fu caratterizzato da una efficiente organizzazione amministrativa del territorio, che ebbe tra i suoi effetti positivi quello di incentivare la ripresa delle attività commerciali locali. Nel 1814 sopravvenne però la caduta di Napoleone e con l’avvento della Restaurazione il re di Sardegna Vittorio Emanuele I ristabilì la costituzione del 1770, mentre Nizza, Sospello e Oneglia tornavano al Piemonte e Ventimiglia, gli Otto Luoghi e Sanremo alla Repubblica di Genova.













