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In Breve

LA VERA STORIA DI OSCAR RAFONE | 10 luglio 2016, 07:30

La vera storia di Oscar Rafone: Una notte molto lunga (cap.20)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line'

La vera storia di Oscar Rafone: Una notte molto lunga (cap.20)

L'impulso di respingerla divenne talmente forte che a un certo punto probabilmente feci qualche movimento sbagliato che lei dovette interpretare come una specie di "non mi piaci". Infatti si bloccò e si irrigidì. Per qualche istante lunghissimo restammo immobili, avvinghiati. Lei forse aspettava una mia iniziativa, io non sapevo cosa fare. Mi limitai a chiudere gli occhi. Lei si staccò da me. La sentii muoversi e capii che si era seduta a gambe incrociate sul materasso. Dal fruscio capii che si stava togliendo la maglietta. Dopo un attimo mi sentii afferrare prima una mano poi l'altra. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai a sostenere i suoi seni con i miei palmi. Lei aveva i capelli scarmigliati e gli occhi lucidi, ma era ancora più bella. Troppo bella. Pensai che forse non la meritavo. Improvvisamente mi apparve di nuovo padrona di se stessa. La luce del camino le illuminava solo una parte del volto, nascondendo il gonfiore sullo zigomo. I lividi sembravano essere quasi spariti e quello sul labbro, per un bizzarro gioco di luce metteva in risalto la sua bocca in maniera irresistibilmente provocante. Aveva assunto un'espressione seria, come se volesse dire "adesso basta scherzare". Feci scivolare lo sguardo verso le mie mani. Riflettei che forse prima di allora non avevano mai retto qualcosa di più bello. Me le sentivo colme, calde, sazie, come se fossero finalmente giunte al loro obiettivo predestinato. Sentii che sarebbero potute rimanere lì, ferme in quella posizione, per tutta la vita.

Invece iniziarono a fremere. Le dita cominciarono a muoversi delicatamente, ad allungarsi. I polpastrelli tastavano la sua pelle morbida e liscia, cercando di esplorare nuovi millimetri. Zamina ebbe un leggero sussulto; vedevo il suo petto salire e scendere seguendo il ritmo del respiro e sentii qualcosa che si ingrossava e si inturgidiva al centro dei miei palmi aperti a coppa sul suo seno. Potevo immaginare cosa fossero. Volevo vederli. Feci scivolare lentamente le mani di lato. La luce del camino alle mie spalle lasciava parte del suo corpo in ombra impedendomi di godermi pienamente il più grande spettacolo del mondo. Mi lasciai cadere sulla schiena e fu allora che mi apparvero quei grossi segni viola che le macchiavano il seno in più punti. Erano lividi.

Mi tirai su e rimasi in ginocchio di fronte a lei.

— Chi ti ha fatto questo, Zamina? — le chiesi. Avrei voluto rivolgerle la domanda già quando avevo notato i primi segni sul suo viso, ma temendo che non volesse parlarne, avevo evitato. Adesso non ero riuscito a trattenerla.

Lei girò lo sguardo verso il fuoco.

— Mio padre, — disse fissando le fiamme.

La attrassi a me e la abbracciai con forza. Non so quanto tempo restammo in quella posizione.

Fu una notte molto lunga.

 

Enzo Iorio

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