“L’obiettivo era arrivare alla fine del mondo, Ushuaia e ci siamo riusciti”.
Questa storia parte dalla Valle Argentina e da Berlino, dove vivono Giampiero e Lorenzo De Zanet, padre e figlio, ritrovatisi insieme per compiere l’impresa. Termine non potrebbe essere più appropriato considerando che tra il punto di partenza e quello di arrivo ci sono stati più di 2500 km fatti in gran parte in bici ed un po’ a piedi, senza considerare ovviamente bus ed aereo necessari a raggiungere Esquel, cittadina al confine tra Argentina e Cile, da dove tutto ha avuto inizio.
Il video di Giampiero De Zanet e suo figlio Lorenzo
Giampiero De Zanet è un affabile ingegnere di Sanremo che nel 2011 si è trasferito a Realdo, frazione di Triora, in alta valle Argentina. Lui è un 63enne innamorato di questo piccolo borgo dove oggi, oltre ad essere una guida ambientale escursionistica, è presidente dell’associazione APS Realdo Vive, che gestisce il locale rifugio.
E’ lui l’ideatore del viaggio alla fine del mondo e suo figlio Lorenzo di 34 anni, si è in un certo senso aggiunto, sorprendendo anche suo padre. “Gliel’aveva detto mia figlia che vive a Vienna. Io avevo progettato questa avventura circa un anno fa e poi avevo sparso la voce per cercare compagni di viaggio, ma non avrei immaginato che la cosa lo avrebbe interessato” - racconta Giampiero.
Partiti lo scorso 12 gennaio hanno fatto ritorno a fine febbraio, con molta stanchezza, tantissimi timbri sul passaporto e un bagaglio di emozioni e scoperte. Oltre ai due De Zanet c’era anche un terzo ospite, il libro, ‘Big Sur’, il progetto di Giampiero. L’idea era di raccontare l’esperienza tanto e prima della partenza era stata avviata una raccolta fondi attraverso il meccanismo del crowdfunding.
Che cosa spinge una persona a compiere questa impresa? “Quando si fanno queste cose i motivi sono tanti. Per me un motivo parallelo era scrivere l’esperienza di questo viaggio perché quando l’ho concepito avevo in testa almeno tre argomentazioni diverse che mi ero ripromesso di andare a verificare e scoprire. - racconta Giampiero - Il libro sarà un reportage con molte note personali non tanto legate al viaggio in sé, ma con ampio spazio a delle riflessioni intime. Posso anticipare che la presenza di mio figlio è stata determinante in questa analisi”.
Tantissimi i chilometri macinati da questi due ciclisti esploratori lungo la Carretera Austral, tanto che è normale chiedersi che cosa gli sia rimasto impresso. “Abbiamo avuto modo di osservare come vivono argentini e cileni e quanto siano diversi tra loro. Una delle cose che ci ha colpito di più è stata la possibilità di attraversare una natura meravigliosa e particolare. - ricorda - Abbiamo potuto osservare molti animali da vicino, perché non hanno alcun problema con la presenza dell’uomo, mentre da noi basta che fiutino l’odore per scappare”.
In questo genere di viaggi può capitare l’imprevisto o il problema tecnico ma soprattutto la difficoltà che mette tutto in forse. “Siamo stati fortunati è andato tutto per il verso giusto. Ci vuole un certo adattamento psicofisico ad affrontare situazioni che non puoi sapere come ti si pongono. Noi facevamo una media di 70 km al giorno, su strade non asfaltate, con salite e discese anche difficili. Bisogna essere allenati da un punto di vista fisico e psicologico per reggere la fatica ed esser pronti ad adattarsi”.
Un dettaglio da non trascurare, considerando che Giampiero era già preparato mentre suo figlio invece era alle ‘prime armi’. "Siamo partiti con due modalità diverse. Io sono abituato mentre mio figlio non è viaggiatore usuale. Io ho organizzato la sua bicicletta con un bagaglio più leggero sui 25 kg mentre io avevo 40 kg circa. Non bisogna farsi impressionare, considerando che almeno 15 kg sono di bici, poi c’è la tenda, l’alimentazione e l’acqua, necessaria soprattutto nei tratti aridi argentini”.
“Per dormire abbiamo sperimentato ogni tipo di soluzione. E’ normale quando percorri tratti dove magari non incontri anima viva anche per 200 km. Comunque abbiamo dormito con la tenda ma anche grazie all’ospitalità offerta da alcune persone attraverso circuiti specializzati ed in quelli che si potrebbero definire B&B locali. Un problema in tal senso c’è stato sul mangiare. Ho visto una contraddizione in Cile, dove attraversavamo zone ricche di pascoli e rigogliose ma poi nei negozi trovavamo solo merce di natura industriale. Per questo aspetto sembra un Paese completamente colonizzato sugli standard nord americani” - ricorda Giampiero.
Trovarsi dall’altra parte del mondo, così lontani da casa, non è stato un problema nonostante tutto. “Ero mentalmente concentrato da non pensare a Realdo. - confessa il protagonista dell'intervista - Però, quando sono tornato, ho percepito la tranquillità e la quiete di questo borgo. E’ qualcosa che senti e di cui hai bisogno”.
Dopo tanta fatica è lecito chiedere, che cosa avete pensato ad Ushuaia? “Quando siamo arrivati giù eravamo stanchi, avevamo trovato neve per due giorni e faceva molto freddo. Abbiamo pensato, siamo arrivati, ce l’abbiamo fatta. Più volte nel viaggio mi sono chiesto se fossimo in grado di portarlo a termine. Eravamo sollevati”.
Questa esperienza ha migliorato il rapporto con suo figlio? “Forse migliorato non è la parola più giusta. Questo viaggio ci ha consentito di vedere delle sfaccettatura nuove l’uno dell’altro. Fare questi viaggi è un modo per scoprire anche qualcosa di nuovo su sé stessi”.