LA VERA STORIA DI OSCAR RAFONE - 17 aprile 2016, 07:25

La vera storia di Oscar Rafone: Per strada in slip e maglietta (cap.8)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line'

Enzo Iorio

Aprii gli occhi. Vidi mio padre. Era a cavalcioni sopra di me. Con le ginocchia mi teneva le braccia bloccate. Eravamo sul mio letto. Non capivo cosa stesse succedendo. Ero confuso. Non capivo se era ancora notte o giorno. Io dormo con gli avvolgibili completamente abbassati altrimenti non riesco a prender sonno e  nella stanza c'era poca luce, quella che arrivava dal corridoio. Sentii mio padre che bestemmiava. Puzzava di vino. Era ubriaco. Mi aveva messo una corda intorno al collo e cercava di stringerla.

Pa', — urlai. La voce mi usciva strozzata.

— Maledetto, ti insegno a vivere! — urlò lui e bestemmiò ancora. Mio papà sapeva tutti i santi, compresi quelli che non sono segnati sul calendario. E qualche volta si rivolgeva anche alla madonna, allo spirito santo e alla santissima trinità.

— Papà mi stai facendo male,— urlai di nuovo.

— Ti ammazzo, ti appendo dal balcone. Devono vedere tutti come ti insegno l'educazione.

Biascicava. Pensai che in quelle condizioni forse non aveva abbastanza forza per strozzarmi completamente. Quella di appendermi, invece, era un'idea che vedevo già realizzata. Io, penzoloni, completamente nudo, e la gente di sotto che mi additava. Non era la prima volta che mio padre mi sbatteva fuori dalla porta di casa senza neanche le mutande addosso. L'ultima volta era successo due anni fa. Non mi ricordo cosa avevo fatto. Comunque mi ritrovai per strada a cercare di coprirmi con le mani le parti intime. E non avevo ancora i peli...

— Ti ammazzo, io ti ho dato la vita e io te la tolgo, — piangeva. — Non voglio più sapere niente di te. Io cerco di vivere tranquillo, ho già i miei problemi. E invece tutti vengono a lamentarsi con me delle cazzate che fai. Ogni giorno fai qualche stronzata.

Avevo difficoltà a capire, perché parlava con la faccia quasi affondata nel mio cuscino, la sua bocca a pochi centimetri dal mio orecchio. La puzza di vino era rivoltante. "Se si sfoga poi mi lascia stare", pensai.

— Prima la scuola, — continuava, — adesso il maresciallo. Dicono che hai distrutto la moto di un tuo compagno. Cinquemila euro devo pagare. Per le tue stronzate. Cinquemila!

— Cin-que-mi-la! — cominciò a darmi delle testate, una per ogni sillaba. Altro che lasciarmi stare, sembrava aver ritrovato improvvisamente le forze. Cin-que-mi-la! Cin-que-mi-la! Bum bum bum bum, bum bum bum bum. Ogni colpo più tremendo dell'altro. Mi rintronava la testa. Il dolore era allucinante. Cominciai a scalciare forte, inarcai la schiena per scrollarmelo di dosso. Finalmente riuscii a liberarmi le braccia e lo spinsi di lato. Cadde dal letto. Si rialzò barcollando.

— Pa', scusa, — implorai, ma non riuscii a finire che mi arrivò un pugno dritto in faccia. Battei forte la nuca contro la parete. Mi si aprì uno squarcio nella mente. Mia madre mi sorrideva dall'alto del precipizio. Forse stavo per perdere i sensi. Mi riebbi. Saltai giù dal letto, mi infilai per il corridoio e uscii di casa. Il cuore sembrava voler scoppiare. Feci le scale a quattro a quattro, inciampai nella corda che mi serrava ancora la gola; me ne liberai e ripresi a saltare giù per le scale.

Mi ritrovai fuori dal palazzo. Il cuore mi pulsava nel petto come un martello pneumatico. Era buio, la strada era deserta. Fu solo allora che mi accorsi di essere scalzo. Indossavo solamente un paio di slip e una maglietta. Ci fu un lampo, seguito da un tuono cupo e persistente.

Iniziò a piovere.

Enzo Iorio