Ventimiglia Vallecrosia Bordighera - 11 aprile 2016, 17:00

Rinnovabili mon amour. Ma gas e petrolio ci servono

Il referendum del 17 aprile e la transizione energetica in Italia.

A meno di una settimana dal referendum del 17 aprile, torno a spiegare le ragioni che mi fanno propendere per l’astensione. Lo faccio per puntualizzare ai lettori le cose in cui credo, grazie anche allo stimolo dell’associazione Sanremo sostenibile che aveva risposto a un mio precedente articolo.

1) Credo nelle fonti rinnovabili (eolico, solare, idroelettrico eccetera) e nella transizione energetica che ci farà progressivamente abbandonare gli idrocarburi. Credo nello sviluppo delle tecnologie innovative, ad esempio: pannelli fotovoltaici sempre più efficienti, auto elettrica, “case passive” con un fabbisogno di elettricità e calore più che dimezzato rispetto alle abitazioni progettate nei decenni passati, accumulatori di energia prodotta con il sole e il vento (in modo da ridurre la variabilità delle fonti pulite, la cui generazione è soggetta alle condizioni meteorologiche, come irraggiamento e ventosità). Credo insomma in un futuro più verde, ma so che il passaggio dal vecchio al nuovo richiederà qualche decennio ancora.

2) È impossibile rottamare subito il nostro sistema energetico. Le fonti rinnovabili sono cresciute tantissimo, ma senza petrolio e gas l’Italia, al pari di qualunque altro Paese, si bloccherebbe. Possediamo milioni di automobili che bruciano benzina e gasolio e milioni di appartamenti che utilizzano il gas per riscaldamento, produzione di acqua calda sanitaria, piani cottura. Gli idrocarburi estratti in Italia tra mare e terraferma costituiscono una percentuale minoritaria sul totale dei consumi, ma è altrettanto vero che permettono di ridurre un po’ le importazioni e quindi le petroliere e navi metaniere che navigano sulle nostre acque.

3) Il referendum chiede semplicemente di abrogare una norma introdotta con la legge di stabilità 2016, che prevede di estendere le attività estrattive delle piattaforme offshore esistenti (entro il limite delle 12 miglia dalle coste) fino all’esaurimento dei pozzi. Quindi non è un referendum “contro le trivelle” in generale: entro le 12 miglia è vietato e rimarrà vietato esplorare/mettere in produzione nuovi giacimenti; il quesito, inoltre, non riguarda in alcun modo le piattaforme situate a maggiore distanza dalle coste. Stiamo discutendo se permettere a infrastrutture già costruite, una ventina in tutto, di funzionare oltre la durata delle concessioni.

4) La maggior parte delle piattaforme contestate estrae gas, il combustibile che gli stessi ambientalisti (oltre ad autorevoli organizzazioni, come l’Agenzia internazionale dell’energia) considerano la fonte fossile “migliore”. Migliore perché meno inquinante di carbone e petrolio e perché rappresenta una buona soluzione-ponte nella transizione dalle fonti fossili a quelle pulite. E ben venga la concorrenza delle rinnovabili, che in Italia in alcuni periodi sono arrivate a coprire oltre il 40% della domanda elettrica, mettendo in difficoltà le centrali termoelettriche tradizionali, perlopiù turbogas.

5) Al netto dello scandalo dell’ex ministro Guidi e dei pasticci del governo Renzi, che dovrebbe fare molto di più per sostenere e diffondere le tecnologie verdi, penso che la transizione energetica sia un argomento molto complesso e che il referendum, in questo frangente, sia uno strumento troppo riduttivo per affrontarlo. Ritengo anche sbagliato caricare il voto del 17 aprile con una responsabilità e un obiettivo, bocciare la politica energetica dell’attuale governo, che c’entra ben poco con la natura e la portata del quesito proposto.

Luca Re