Ventimiglia Vallecrosia Bordighera - 21 marzo 2016, 17:00

Trivella sì, trivella no, trivella bum

Le ragioni dell'astensionismo al prossimo referendum.

Vorrei sentirmi “ottimista e razionale” come i sostenitori del no al referendum sulle trivelle del 17 aprile (referendum nazionale voluto da nove regioni, tra cui la Liguria), ma proprio non ci riesco. Così come non riesco a dare troppo credito al sì degli ambientalisti, perché loro per primi ammettono che questo voto è politico ed è l’unico strumento rimasto per condurre, e possibilmente vincere, la battaglia contro le fonti energetiche di origine fossile. Quanti italiani sanno che il referendum, in realtà, è molto circoscritto? Facciamo un passo indietro all’art. 6 comma 17 del decreto legislativo 152/2006, poi sostituito da un emendamento contenuto nella legge di stabilità 2016: il nuovo articolo stabilisce in particolare 1) che è vietato estrarre petrolio e gas dai fondali entro il limite delle 12 miglia marine dalle coste e 2) che i titoli abilitativi già rilasciati per quei fondali proibiti sono fatti salvi “per la durata di vita utile del giacimento”.

La legge di stabilità 2016 è riuscita così a disinnescare ben cinque dei sei referendum inizialmente proposti da alcune regioni contro le trivelle (solo un quesito, infatti, è stato ammesso dalla Corte costituzionale dopo le correzioni di rotta approvate dal governo, tra cui la reintroduzione dei divieti entro le 12 miglia). Il quesito superstite chiede agli elettori se vogliono abrogare l’art. 6 comma 17 del decreto 152/2006 come modificato nei mesi scorsi. Si tratta di eliminare quella frase aggiunta dal governo, “per la durata di vita utile del giacimento”, che ha fatto arrabbiare i comitati ecologisti e pro fonti rinnovabili. Stiamo parlando di una ventina di concessioni produttive, concentrate tra l’Adriatico, lo Ionio e il canale di Sicilia. Ciò che è vietato rimarrà vietato, cioè trivellare nuovi pozzi vicino alle coste. L’unica differenza a vantaggio delle compagnie che cercano idrocarburi nei mari italiani, rispetto al decreto del 2006, è che spetterà alle singole aziende decidere se chiudere le trivellazioni al termine della concessione trentennale, o proseguire l’estrazione di petrolio e gas perché i pozzi sono ancora ricchi di risorse.

Il culmine della disinformazione-spazzatura si è toccato con lo slogan “trivella tua sorella” che la dice lunga sulla difficoltà di affrontare con un sì o un no un tema così complesso come la strategia energetica di un Paese (con l’aggravante confusionaria che per dire no alle trivelle occorre votare sì al quesito). La transizione dalle fonti convenzionali, petrolio e gas in primis, all’energia pulita dell’eolico e del solare è un obiettivo da perseguire con il massimo impegno, certamente. Meglio se con uno sforzo comune, mondiale, sancito nell’ultima conferenza Onu sul clima a Parigi. Non credo, però, che un referendum costruito sui cavilli sia l’arma più corretta per immaginare e costruire un futuro verde. Per inciso, sarebbe meglio produrre un po’ di gas e petrolio in più in casa, piuttosto che aumentare le importazioni degli idrocarburi e, di conseguenza, far navigare più petroliere verso l’Italia. Allora bum, starò a casa per alimentare l’astensionismo.

Luca Re