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Attualità | 31 ottobre 2015, 07:35

Cessione di Nizza alla Francia nel 1860: ecco il racconto dello storico sanremese Andrea Gandolfo

La trattazione delle vicende che hanno portato alla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, dal discorso di Napoleone III al Corpo legislativo francese del 1° marzo 1860 alla firma del trattato di Torino, il 24 marzo dello stesso anno

Cessione di Nizza alla Francia nel 1860: ecco il racconto dello storico sanremese Andrea Gandolfo

Uno dei temi centrali nella storia del nostro territorio durante il XIX secolo è stata la cessione del circondario di Nizza alla Francia nel 1860, da cui sarebbe derivata anche la nascita dell’attuale provincia di Imperia. Ecco una trattazione delle vicende che hanno portato alla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, dal discorso di Napoleone III al Corpo legislativo francese del 1° marzo 1860 alla firma del trattato di Torino, il 24 marzo dello stesso anno, curata dallo storico sanremese Andrea Gandolfo:

Il 1° marzo 1860 Napoleone, nel corso di un discorso tenuto davanti al Corpo legislativo, rese note in forma ufficiale le intenzioni del suo governo in merito alla politica francese nei confronti del Piemonte lungo l’arco alpino, rivendicando apertamente «per la sicurezza delle nostre frontiere» i versanti francesi delle montagne. Per la prima volta la questione della cessione di Nizza e della Savoia veniva presentata solennemente all’opinione pubblica francese ed europea, imponendo all’imperatore stesso di concludere positivamente le trattative per non compromettere la sua immagine a livello internazionale. Ormai per Cavour non rimaneva altra scelta che chiedere al governo imperiale che le votazioni per l’eventuale annessione alla Francia in Savoia e nella Contea di Nizza venissero tenute con il sistema del suffragio universale. Il 2 marzo formulò ufficialmente tale richiesta in una nota inviata a Nigra. Il giorno successivo, trasmettendo la nota a Nigra, Cavour confessava all’inviato sardo nella capitale francese di essere rimasto stupito dalla proposta dell’imperatore, anche se in quel momento ciò che più gli interessava era ormai solo «di combinare i mezzi per arrivare al voto». In Savoia, aggiungeva, «continuo a credere che il partito francese avrà la meglio», mentre «non è lo stesso nella contea di Nizza, a meno che non si escluda tutta la valle del Bevera e una parte del litorale». Il 1° marzo Farini e Ricasoli avevano intanto provveduto a far pubblicare in Emilia e in Toscana i decreti che indicevano per l’11 e il 12 marzo i plebisciti. Tutti i cittadini maschi, che avessero compiuto i ventun anni e godessero dei diritti civili, erano chiamati a esprimersi su una tra queste due alternative: “Annessione alla monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II” oppure “Regno separato”. Sia in Emilia che in Toscana i governi provvisori si attivarono immeditamente ed energicamente per assicurare il pieno successo all’imminente plebiscito. A Bologna e in Romagna la Società Nazionale, ricostituitasi in modo abbastanza efficiente, fornì un valido contributo all’opera propagandistica. Del resto, dato anche il carattere dittatoriale dei governi, mancò una vera e propria opposizione organizzata, mentre, negli otto mesi successivi a Villafranca, il sentimento unitario e annessionista si era ulteriormente rafforzato. I risultati confermarono ampiamente le previsioni della vigilia, superando addirittura le speranze degli stessi liberali. In Emilia su 526.218 iscritti i votanti furono 427.512 (81,1%), con 426.006 voti a favore dell’annessione, 756 per il regno separato e 750 nulli. In Toscana, su 534.000 iscritti, i votanti furono 386.445 (73,3%), di cui 366.571 favorevoli all’annessione, 14.925 per il regno separato e 4.949 nulli. I risultati del plebiscito dell’Emilia furono presentati solennemente al re il 18 marzo, quelli della Toscana il 22. Le due regioni furono quindi dichiarate parte integrante dello Stato tramite due regi decreti. Farini fu nominato ministro dell’interno, Ricasoli governatore generale della Toscana, il principe Eugenio di Carignano luogotenente del re in Toscana. Questa avrebbe avuto provvisoriamente un’amministrazione separata, mentre le province emiliane sarebbero state riunite a quelle ereditarie della monarchia sabauda senza passare attraverso alcun regime amministrativo transitorio.

Il 4 marzo Napoleone III inoltrò un telegramma a Vittorio Emanuele II per esporre al re di Sardegna il suo parere in merito alle annessioni in Italia centrale e la cessione di Nizza e della Savoia. Lo stesso giorno Thouvenel propose che nella nota segreta da scambiarsi tra i due governi per la cessione delle due province fosse inserita una dichiarazione che escludesse in modo esplicito le modalità di votazione. Nello stesso tempo il ministro degli Esteri francese continuava a insistere con Nigra, che ne informò prontamente Cavour il 4 marzo, che se il governo sardo insisteva a pretendere l’annessione della Toscana e dell’Emilia, esso sarebbe andato incontro ad una vera e propria catastrofe, pari a quella subita dall’esercito piemontese a Novara nel 1849. Il governo francese, dal canto suo, consapevole dei rischi che avrebbe comportato un voto effettuato con il sistema del suffragio universale in Savoia e nel Nizzardo, cercò di opporsi con tutti i mezzi a questa eventualità, ma Cavour rimase fermo sulle sue posizioni. Sempre il 4 marzo Vittorio Emanuele rispose al telegramma di Napoleone. Negli stessi giorni, il discorso di Napoleone davanti al Corpo legislativo del 1° marzo aveva avuto larga eco anche in Savoia e a Nizza, dove erano aumentate le preoccupazioni di molti cittadini contrari alla cessione. D’altronde, il 7 marzo, Nigra confessò a Cavour come l’imperatore avesse mostrato «malumore, più apparente che reale, per l’annessione della Toscana; diffidenza verso il Piemonte sulla questione della Savoia e di Nizza», aggiungendo che avrebbe finito «per cedere sulla Toscana per poco che si veda la possibilità di avere la Savoia e Nizza». Nel frattempo l’imperatore trasmetteva un altro telegramma a Vittorio Emanuele per sollecitarlo a rompere gli indugi sulla questione della cessione, auspicando che la condotta del governo sardo potesse mantenersi «franca e leale». Il sovrano sabaudo, che intendeva evidentemente non sorgesse alcun equivoco sulla sua buona fede, così rispose a Napoleone a stretto giro di posta: «Le istruzioni che per ordine mio il sig. Cavour invierà al sig. Nigra risponderanno al dispaccio telegrafico di S.M. provandogli la mia perfetta lealtà».

Tale richiamo alla lealtà da parte di Napoleone era stato provocato da un’errata interpretazione di Cavour di un telegramma di Nigra, nel quale l’inviato sardo a Parigi gli comunicava che, dietro esplicita richiesta di Thouvenel, aveva modificato la frase finale del penultimo capoverso della nota ufficiale da lui inviata al governo francese il 2 marzo, sopprimendo le parole, evidentemente sgradite all’esecutivo imperiale, relative alla volontà di savoiardi e nizzardi «prononcée d’une manière légale et conformement aux prescriptions du Parlement». Cavour, che aveva travisato il passaggio del dispaccio cifrato recante tale modificazione, aveva dimenticato di omettere le parole “contestate” nel testo dello stesso telegramma poi trasmesso all’intendente di Chambéry, il quale rese pubblica la nota che risultò difforme dal testo concordato fra Thouvenel e Nigra. Questo incidente provocò l’irritazione di Napoleone, che accusò di slealtà il Cavour e cominciò a pensare che il governo sardo fosse soltanto alla ricerca di futili pretesti per evitare la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia.

Chiarito l’equivoco per la questione del telegramma, il Primo ministro piemontese, nonostante le sempre più insistenti pressioni da parte francese, rimase irremovibile nella determinazione di esigere che le votazioni nelle due province si tenessero con il sistema del suffragio universale e che i risultati elettorali venissero ratificati dal Parlamento. Frattanto, al termine delle lunghe e complesse trattative diplomatiche che avevano visto confrontarsi per vari mesi le due cancellerie, il 12 marzo a Torino, e due giorni dopo a Parigi, Vittorio Emanuele II e Napoleone III avevano firmato il trattato segreto sulla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. In base al primo articolo del trattato il re di Sardegna consentiva formalmente alla “riunione” della Savoia e del circondario di Nizza alla Francia, il cui governo si impegnava a renderla esecutiva a patto che le relative popolazioni l’avessero approvata. Il secondo stabiliva che il re sardo passava all’imperatore francese la zona neutralizzata della Savoia, corrispondente all’Alta Savoia, alle stesse condizioni in cui egli la deteneva; Napoleone assumeva pertanto tutti gli impegni, derivanti da quanto stabilito dal Congresso di Vienna, verso la Svizzera e le altre potenze firmatarie dell’atto conclusivo del Congresso. Il terzo e quarto articolo prevedevano infine la costituzione di commissioni miste per la delimitazione dei confini, la ripartizione del debito pubblico e degli altri oneri finanziari concernenti le due province cedute. Sul fronte invece delle modalità di votazione Cavour non intendeva recedere dal proposito di sottoporre preventivamente al Parlamento la formula «Volete essere riuniti alla Francia sì o no?». Il conte sarebbe stato quindi disposto a procedere prima alla votazione, e poi alla sua approvazione, da parte del Parlamento, anche se, come comunicò a Nigra il 12 marzo, egli non avrebbe potuto garantire a Thouvenel che la formula da questi avanzata alle Camere sarebbe stata adottata testualmente e senza alcuna modifica.

Lo stesso giorno della firma del trattato segreto, Thouvenel dichiarò peraltro a Nigra che il governo imperiale non avrebbe riconosciuto l’annessione della Toscana al Piemonte, attribuendone l’intera responsabilità al governo sardo. L’esecutivo transalpino fece inoltre pressioni su quello torinese per scongiurare lo svolgimento dei previsti plebisciti a Nizza e in Savoia, sostenendo che sarebbe stata sufficiente la deliberazione dei consigli provinciali e comunali, non prima, però, di aver destituito tutti i sindaci e le altre autorità che avessero manifestato parere contrario alla cessione. Risultava quindi chiaro, come scrisse Nigra a Cavour il 14 marzo trasmettendogli tali desiderata del governo francese, che «ce n’est qu’à ce prix que l’Empereur et son Gouvernement se résigneront à voir l’annexion de la Toscane sans trop de regret». Parigi insistette anche con il Primo ministro sardo perché non si tenessero a Nizza e in Savoia le elezioni politiche il 20 e 25 marzo successivi, temendo probabilmente che l’esito delle consultazioni potesse sfavorire a livello propagandistico i fautori della cessione delle due province alla Francia. Intanto Napoleone aveva cominciato a sondare il terreno presso le cancellerie delle principali potenze europee per verificare la loro reazione in vista di un’eventuale cessione di Nizza e della Savoia alla Francia da parte del Piemonte, ottenendo di fatto mano libera per procedere nel suo programma annessionista. Ad un’esplicita richiesta in tal senso avanzata da Thouvenel, infatti, il governo britannico aveva dichiarato che non si sarebbe fatto portatore di alcuna rimostranza; quello prussiano avrebbe seguito l’esempio di quello inglese, vedendo tra l’altro di buon occhio il fatto che la progettata cessione non avrebbe comportato il riconoscimento dell’aspirazione francese ai suoi confini naturali; anche lo zar dichiarò di non aver nulla da eccepire, mentre il governo austriaco, pur essendo in linea di principio contrario all’operazione, come lo era del resto nei confronti dell’annessione dell’Italia centrale, rese noto che si si sarebbe astenuto da quasiasi iniziativa, dichiarando che avrebbe ufficialmente protestato solo se avesse fatto lo stesso anche l’esecutivo britannico. Dopo esser riuscito ad isolare completamente il Piemonte a livello internazionale, Napoleone si ritenne libero di procedere all’occupazione militare di Nizza e della Savoia, facendo anche pubblicare sul «Moniteur» un decreto di annessione delle due province, secondo quanto anticipato da Thouvenel a Nigra, che il 19 marzo ne informò sollecitamente Cavour.

Nigra aveva frattanto proposto di convertire il trattato da segreto in pubblico con alcune lievi varianti, in modo da evitare i prevedibili gravi inconvenienti che si sarebbero verificati in seguito al ritiro delle truppe francesi dalla Lombardia e l’occupazione da parte di quest’ultime della Savoia e del Nizzardo. La stipulazione pubblica del trattato avrebbe poi consentito di giungere a un accordo tra le parti anche sulla questione delle modalità di voto. Cavour, dal canto suo, di fronte alla notizia che Napoleone si apprestava ad inviare a Torino il plenipotenziario Vincent Benedetti per la firma del trattato pubblico, alla quale sarebbe seguita l’occupazione di Nizza e Chambéry da parte delle truppe francesi, scrisse a Nigra il 20 marzo per avvertirlo di dichiarare al sig. Thouvenel che la Francia può far occupare e annettere con la forza Nizza e la Savoia, ma che né il re né il suo governo consentiranno mai a firmare un trattato pubblico senza stipulare il modo di votazione, e a lasciare che si voti sotto la minaccia delle baionette. Siamo pronti ad usare tutta la nostra influenza per condurre ad una soluzione soddisfacente per la Francia, ma non potremmo consentire a mezzi che siano contrari alle nostre istituzioni o che feriscano il nostro onore nazionale. Lo stesso giorno Cavour inviò a Nigra anche dettagliate istruzioni in merito all’atteggiamento del governo sardo nei confronti delle richieste francesi, che ormai egli intendeva assecondare, pur rimanendo fermo nelle sue richieste che la votazione si tenesse con il sistema del suffragio universale e il trattato pubblico che stava per essere firmato prevedesse condizioni meno dure rispetto a quelle contemplate nell’accordo segreto. Intanto la Giunta municipale di Nizza aveva deciso di inviare a Torino una delegazione per recare a Vittorio Emanuele (che la ricevette il 22 marzo) una petizione pubblica, in cui, a nome di una parte della cittadinanza, chiedeva al sovrano sabaudo di non cedere la loro terra alla Francia, invitandolo, per evitare tale cessione, a neutralizzare la zona, pur di non consegnarla ai francesi. Il re non poté far altro che assicurare alla delegazione che gli abitanti di Nizza avrebbero potuto scegliere liberamente del loro destino attraverso un regolare plebiscito, sul quale non sarebbe stata esercitata alcuna pressione da chicchessia. Questo era infatti quanto Cavour era riuscito alla fine ad ottenere da Napoleone dopo una serie di estenuanti trattative diplomatiche. Il governo imperiale aveva infatti chiesto che le votazioni a Nizza e in Savoia si tenessero soltanto dopo che le relative popolazioni fossero state messe al corrente degli accordi stipulati in merito al destino dei loro territori e dopo che le autorità sarde avessero lasciato le due province. Una volta effettuata l’annessione, l’imperatore avrebbe invitato i cittadini del Nizzardo e della Savoia a votare con il suffragio universale. Tali accordi avrebbero dovuto essere sanciti in un trattato pubblico, dopo la cui firma le truppe francesi provenienti dalla Lombardia avrebbero occupato Nizza e Chambéry. Il governo transalpino era però particolarmente interessato alla rapida conclusione delle trattative, perché, come riferì Nigra a Cavour il 20 marzo, «non si vuole il voto. Infine si è persuasi che il Governo sardo faccia il possibile per frapporre ostacoli a queste annessioni, e soprattutto a quella di Nizza. Ogni giorno arrivano all’Imperatore accuse e lamentele, che lo indispongono contro il Governo e le autorità del Re».

Nel frattempo a Nizza e in Savoia il partito filofrancese era attivamente impegnato nel sostenere il più possibile l’operato del governo imperiale anche tramite la raccolta di firme sotto forma di indirizzi, che venivano poi pubblicati sul «Moniteur», e sottoscritti da un gran numero di savoiardi favorevoli all’annessione alla Francia, mentre ne sarebbe uscito soltanto uno a firma dei nizzardi il 5 aprile. Il 21 marzo Napoleone dichiarò che «davanti alla repulsione di veder smembrare un paese che ha saputo crearsi attraverso i secoli una individualità gloriosa, e darsi una storia nazionale, non avrebbe costretto, a profitto di altri, i voti delle popolazioni», e che «non era né con l’insurrezione né con la conquista, ma attraverso il libero consenso del sovrano, appoggiato dal consenso popolare, che la Savoia sarebbe stata unita alla Francia». Il giorno stesso l’imperatore, che desiderava evidentemente ridurre al minimo i tempi di attesa prima di giungere all’annessione, scrisse a Vittorio Emanuele per informarlo della sua disponibilità a proseguire la collaborazione con il governo piemontese, a condizione che le trattative su Nizza e la Savoia venissero concluse al più presto, sottolineando che «se il vostro Governo non prende misure energiche in presenza della cattiva volontà che fomenta l’Inghilterra, prevedo i peggiori guai perché oggi la Francia non rinuncerà per niente al mondo a queste due province». Il sovrano sabaudo rispose subito all’imperatore formulando l’augurio che gli accordi segreti stipulati si potessero applicare senza che il governo francese facesse ricorso ad un’occupazione militare preventiva dei territori ceduti.

Una volta sciolto definitivamente il nodo della cessione, il problema principale da risolvere rimaneva quello del sistema di voto nelle due province, che Cavour avrebbe voluto a tutti i costi universale, nonostante la perdurante contrarietà a una tale soluzione da parte del governo francese. Il 21 marzo il conte informò il governatore di Nizza Cordero di Montezemolo della sua intenzione di proporre a Napoleone l’adozione del suffragio universale. Il 22 marzo giunse intanto a Torino il Benedetti, inviato appositamente da Thouvenel non soltanto per firmare il trattato pubblico, ma anche per accordarsi con Cavour sulle condizioni per il passaggio dei poteri e le modalità del voto. Al testo del trattato, firmato a Torino il 24 marzo da Cavour e dal ministro dell’Interno Luigi Carlo Farini per il Regno di Sardegna, e dall’ambasciatore transalpino Charles Talleyrand-Périgord e da Benedetti per la Francia, con la conferma sostanziale di quanto già stabilito negli accordi segreti dell’11-12 marzo. Cavour riuscì a convincere Benedetti ad aggiungere al testo del trattato la clausola che prevedeva l’entrata in vigore dell’accordo solo dopo la ratifica da parte del Parlamento subalpino. Un memorandum segreto siglato lo stesso giorno del trattato portò a una serie di ulteriori intese tra le parti. Desiderando infatti i francesi designare subito le persone che avrebbero dovuto sostituire i funzionari amministrativi nelle due province, le delegazioni trovarono un’intesa sui nomi dei nuovi governatori, intendenti e sindaci, tutti francesi o filofrancesi. Si stabilì inoltre che l’Avvocato generale fiscale sarebbe stato richiamato immediatamente a Torino, mentre i governatori interinali avrebbero potuto, sentite le deputazioni provinciali, sostituire i sindaci e i comandanti della Milizia nazionale; i reparti nizzardi richiamati sarebbero stati subito congedati e le truppe regolari avrebbero evacuato le due province, non appena il governo francese avesse stabilito che i suoi contingenti dovessero muoversi dal Moncenisio e da Ventimiglia. Dopo la pubblicazione del proclama con cui Vittorio Emanuele liberava dal giuramento di fedeltà alla corona nizzardi e savoiardi, i due governi si sarebbero infine accordati, nel più breve tempo possibile, sul giorno e le modalità di votazione. Nei giorni immediatamente successivi alla firma del trattato circolò anche la voce di una possibile annessione alla Francia di Ventimiglia, tanto da indurre gli amministratori locali della cittadina ligure, capeggiati dal deputato Giuseppe Biancheri, a chiederne ragione a Cavour, che il 25 aprile rassicurò infine il sindaco della città intemelia sulla assoluta incedibilità di Ventimiglia e del suo mandamento alla Francia.

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