- 12 luglio 2015, 07:44

In & Out: la dottoressa Judit Torok, da Budapest a Cipressa, in un mondo fatto di fiabe e arte.

Molti di noi desiderano l'altrove. Alle prime difficoltà apriamo una porta che faccia intravedere nuovi orizzonti, attraverso la quale desideriamo scappare per trovare maggiore fortuna. Dopo tanti anni mi sono convinta che non esiste l'altrove.

La storia della dottoressa Judit Torok, è da immaginare proiettata in un piccolo cinema dallo stile coloniale, con tende color porpora e una pellicola con toni seppia. Ad assistere, un nutrito gruppo di artisti, appassionati della cultura e delle fiabe. Calano le luci, si alza il sipario e inizia il viaggio, da Budapest a Cipressa, di Judit il giorno in cui il suo primo marito, italiano, fonde la valvola della sua 500 in Ungheria. Questa strada la porterà, molto anni dopo, a diventare un punto di riferimento per tanti artisti italiani e stranieri.

Dall’Ungheria a Sanremo, quale storia c’è in questo viaggio di sola andata? Nel 1967 conosco a Budapest Franco (in occasione della fusione della valvola della sua 500 Fiat) e dopo 5 anni di fitta corrispondenza, una rottura e una riconciliazione nel 1972 lo sposo e approdo in Piemonte, vicino a Ivrea, dove lui lavora. Continuo i miei studi universitari a Torino e mi laureo nel '76. Lui mi ha conquistato con la sua oratoria, recitava Omero, Dante, Pascoli, Trilussa e Butitta: un repertorio molto vario. Più tardi infatti insegnò lettere italiane in un liceo ungherese. Era un attivista del PC e venne in Ungheria con una lettera di A. Minucci. Conosceva bene anche Piero Fassino. Prima che ci sposassimo fece il viaggio per Budapest 23 volte. Mio padre non vide di buon occhio questo matrimonio.

Nella provincia di Imperia sei stata una dottoressa. Le cose in Ungheria funzionano diversamente in questo settore? Dopo la laurea lavorai come medico condotto, con la specialità in pediatria in Piemonte, a Castellamonte e nel 1988 mi trasferii a Sanremo, vincendo un concorso come aiuto di Igiene Pubblica. Lo feci per mio figlio che soffriva di asma allergico e aveva bisogno di un clima mite, marino. Strappata nuovamente al mio ambiente (per la seconda volta) dopo 11 anni, feci fatica ad adattarmi. All'epoca in Ungheria la Facoltà di medicina e l'insegnamento al suo interno era eccellente, molto meglio organizzata ed efficace che a Torino. Oggi la situazione si è ribaltata. I medici ungheresi abbandonano il Paese e vanno a lavorare all'estero per un maggiore guadagno e gli ospedali, che allora erano un modello di efficienza, oggi annaspano in mancanza di personale medico e paramedico. Tuttavia la differenza allora era una etica professionale migliore in Ungheria e un approccio umano più partecipato ma oggi forse le cose sono molto cambiate. Fortunatamente non seguo più questa pista dal momento che fare il medico non mi ha mai appassionata - l'ho fatto per volontà paterna e per necessità.

C’è qualcosa su cui puoi dire che il tuo vecchio Paese e quello nuovo si assomigliano? Difficile dirlo. Si assomigliano poco, forse un po' nella sfera fiabesca, mitologica. Questo è un campo che ebbi occasione di studiare per un periodo e confrontai la mitologia ebraica, ungherese e ligure, trovando molta più somiglianza tra le ultime due che non tra la prima e seconda. Ci sono molti aspetti fantasiosi e stimolanti sia nelle figure immaginarie di Ubaga (basta pensare alla bellissima collezione di opere d'arte ispirate a loro e custodite a Pieve di Teco) che nella mitologia magiara popolata di fate, elfi, streghe, gnomi e fenomeni naturali animale....Per il resto è difficile trovare somiglianze - qui l'orizzonte si perde nel mare e le montagne si inerpicano subito dietro, l'Ungheria è piatta e soltanto verso nord possiamo vantare qualche collina un po' più svettante - mai più di 1000 metri. La gente è diversa nelle città e in campagna e nelle provincie, come qui.

Ora hai aperto una villa d’arte. Cosa vuol dire cercare di lavorare con l’arte nella nostra provincia? Io e Carlo abbiamo pensato a questo luogo come un'apertura in tutti i sensi. L'arte è un mezzo di comunicazione. Non soltanto l'arte visuale, anche la musica ed è per questo che oltre le mostre e le opere d'arte poste all'esterno, ospitiamo spesso concerti, qualche recita e anche serate gastronomiche. Ci piace il confronto, lo scambio di idee, l'apprendimento. Dopo tanti anni di sforzi e un notevole dispendio di energie vorremmo che le Amministrazioni locali comprendessero che questa regione ha maggiori risorse nel turismo e il turismo è favorito non soltanto dalle bellezze naturali e dalle ricettività, ma anche dalle attrazioni artistiche. La pista ciclabile ha fatto molto. Sta nascendo in zona anche qualche iniziativa incoraggiante per la promozione del territorio e quindi rimaniamo ancora ottimisti, augurandoci un sostegno maggiore nel futuro.

Hai mai rimpianto di non essere tornata in Ungheria? Soltanto nei primi anni sognavo di tornare in Ungheria. Ora mi sento molto più legata a questa terra che a quella d'origine. Qui ho passato la maggior parte della mia vita, ho realizzato un progetto e delle opere importanti. Ho allacciato una rete di amicizie e conoscenze che mi arricchiscono tutti i giorni e mi gratificano.

Piatti ungheresi e di Imperia a confronto: ce ne sono? Piatti. La cucina ungherese è molto diversa. Più pesante forse. Più carne, meno verdure. Il clima e le materie prime sono differenti. Abbiamo però il "langos" che è una frittella salata che ricorda vagamente la focaccia. Abbiamo le frittelle dolci di carnevale identici a quelli imperiesi che si chiama "farsangi fank". Non mi viene in mente nient'altro.

La conclusione di questa intervista è un pensiero della dottoressa Torok, che riassume lo spirito dei migranti, di tutte le categorie: “Molti di noi desiderano l'altrove. Alle prime difficoltà apriamo una porta che faccia intravedere nuovi orizzonti, attraverso la quale desideriamo scappare per trovare maggiore fortuna. Dopo tanti anni mi sono convinta che non esiste l'altrove. Esiste una forza individuale che riesce a trovare l'altrove anche nel proprio abituale ambiente. Forse richiede più fatica modificare questo ambiente abituale a nostra misura ma è fuori dubbio che altrove questa fatica non è affatto minore: forse è la disperazione per aver strappato le radici che moltiplica le energie. E se le stesse energie venissero investite qui, potremmo stare tutti meglio!?

Stefania Orengo