“La macchina della giustizia non si è inceppata, da quando sono entrato in magistratura non ha mai funzionato bene.” Inizia così la nostra intervista a Giancarlo Caselli. Una vita dedicata alla repressione del crimine organizzato. Dal terrorismo alla mafia, Caselli non si è mai risparmiato, facendo del suo lavoro qualcosa di più rispetto a quello di un semplice 'burocrate capace di tenere in ordine le carte', sempre nel rispetto delle regole e per il bene del cittadino, ma soprattutto senza fare sconti a nessuno, affrontando anche la 'vergogna' - come la definisce lui stesso - di una legge contra personam, per aver esercitato il proprio lavoro fino in fondo, processando, da procuratore di Palermo, Giulio Andreotti, la cui responsabilità penale fino al 1980 era stata confermata addirittura in Cassazione.
Quando gli si chiede quali sarebbero le misure da adottare oggi per migliorare il sistema giudiziario italiano, chiaro e perentorio risponde: impedire che la prescrizione venga usata come espediente per arrivare all'impunità e far sì che i tribunali abbiano il personale necessario, altrimenti sarebbe come far funzionare un ospedale senza medici e infermieri. Una soluzione? L'abolizione del grado di appello.
Da Procuratore capo della Repubblica di Torino, il 18 dicembre 2013 Caselli lascia la magistratura a seguito del pensionamento, ma resta oggi uno dei maggiori conoscitori del fenomeno mafioso e del crimine organizzato.
Perché in Italia si è inceppata la macchina della giustizia? Quali misure servirebbero per migliorarla? La macchina della giustizia non si è inceppata, da quando sono entrato in magistratura, una cinquantina di anni fa, non ha mai funzionato bene, è sempre stata inceppata, per tutta una serie di fattori che sono stati sempre puntualmente denunciati e sostanzialmente mai risolti.
Tante cose servirebbero per migliorarla se pensiamo che in tutti i paesi di democrazia occidentale, anche quelli più vicini a noi: Francia, Spagna, Germania, il processo funziona. O esiste una specie di congiunzione astrale nefasta per cui da noi e soltanto da noi le cose non funzionano, oppure non abbiamo saputo mettere in campo gli strumenti adeguati, quelli che invece tutti gli altri paesi europei e non solo, utilizzano in maniera collaudata e sicura.
Ci sono sicuramente due cose più urgenti di altre: mettere mano alla prescrizione, in tutti i paesi del mondo questa si interrompe quanto meno con la condanna di primo grado, da noi no, da noi va avanti all'infinito e conseguentemente anche i processi durano all'infinito.
C'è tutto l'interesse a farli durare perché si spera che in qualche modo prima o poi possa arrivare la prescrizione che azzera tutto.
Il secondo problema è certamente quello del personale amministrativo: segretari e cancellieri sono sempre di meno e sempre più anziani, quindi logorati e disamorati. Con un numero di segretari e cancellieri minore rispetto al previsto, i tribunali non possono funzionare, è come pretendere che un ospedale funzioni senza infermieri. Misure elementari, di base, altrimenti parliamo d'altro rispetto alla riforma della giustizia.
Nel 2011 è uscito il suono libro dal titolo “Assalto alla giustizia”. Perché assalto e da chi è stato perpetrato? C'è tutta una serie di problemi che la politica, destra e sinistra, non vuole risolvere, allora ripiega sulla magistratura, delegandoli ad essa. E' successo per il terrorismo, per le stragi, per la corruzione, per la mafia o per la sicurezza sui posti di lavoro.
E' assurdo, non dovrebbe esistere in natura che un magistrato, come succede ad esempio per l'Ilva di Taranto, debba decidere lui tra la vita dei lavoratori e la conservazione del posto di lavoro. Se la magistratura è chiamata a sciogliere anche questo nodo vuol dire appunto che c'è una delega, perché la politica ha rinunciato al suo primato.
Tocca alla politica risolvere questi problemi governando per il bene comune. Però attenzione: la politica delega, ma con una riserva mentale, ovvero non superare un certo livello di interesse, se lo fai caro magistrato devi mettere in conto che sarai messo nel mirino delle polemiche e degli insulti. E' la storia degli ultimi vent'anni che riguarda soprattutto il centrodestra, sia detto chiaramente, ma anche il centrosinistra ha le sue responsabilità.
Io personalmente ho dovuto subire la vergogna di una legge contro di me perché dirigevo una Procura che ha avuto il coraggio di sottoporre a processo il senatore Andreotti, la cui responsabilità penale fino al 1980 è stata confermata addirittura in Cassazione. Una legge per punirmi di aver fatto il mio dovere, per essere stato indipendente, se non è assalto questo.
Cosa pensa della riforma della giustizia attuata nel corso di quest'anno? Il sistema giudiziario italiano è indietro di circa 9 mila di cause, lei ha proposto di abolire il grado di appello, quali vantaggi comporterebbe questa riforma? La mia è una proposta di minoranza alla quale nessuno presta molta attenzione, perché urta una serie di interessi che non sono di poco conto. Abbiamo 9 mila cause arretrate, 5 mila civili e 4 mila penali, è un macigno.
Secondo me una soluzione possibile per eliminare questo arretrato è quella di eliminare il grado di appello in modo tale che i giudici, oggi impegnati sul versante del processo di appello, si dedichino completamente all'eliminazione dell'arretrato. In questo modo in due o tre anni l'arretrato sparisce e una volta ottenuto questo risultato i magistrati e il personale amministrativo dell'Appello possono esser destinati al primo grado che in questo modo diventerà più celere e l'intero processo sarà molto più veloce. L'unica obiezione seria è quella che si pone delle domande sulle garanzie, ma garantito non è un processo che non finisce mai, questa non è giustizia.
Garantito è un processo in cui le regole siano rispettate per tutti, qui si confonde garanzia con speranza di impunità da parte di chi può e conta, il quale spera, allungando il processo, di farla franca.
Processo garantito significa processo breve con certezza della pena, altrimenti parliamo d'altro. Nel 1989 noi ci siamo dati un sistema processual penale accusatorio, ci siamo messi al passo con la civiltà giuridica più moderna, ma abbiamo dimenticato un passaggio: tutti i paesi con il sistema accusatorio hanno due soli gradi di giudizio.
La conseguenza più lampante è il manifestarsi di una doppia giustizia: una per chi può e conta, considerato una persona per bene a prescindere; e l'altra che riguarda i cittadini comuni per cui la giustizia invece spesso funziona, in alcuni casi anche in modo stritolante.
Nella sua carriera di magistrato si è battuto prima contro il terrorismo, poi contro il sistema mafioso. Si possono riscontrare delle analogie tra i due fenomeni? Sono due mondi completamenti diversi, ma sono entrambi crimine organizzato, quindi dal punto di vista del contrasto pongono problemi analoghi. Un punto terribile di contatto è la violenza estrema: io sono stato protagonista - a Torino come Giudice Istruttore poi a Palermo come Procuratore Capo - di due episodi che sono l'uno lo specchio dell'altro.
Si pente Patrizio Pecci, colonna delle Br di Torino, queste ultime si vendicano con una rappresaglia nazista, sequestrando e uccidendo il fratello Roberto Pecci, colpevole unicamente di essere parente del primo pentito delle Br.
Quando vado a Palermo, Santino Di Matteo, mafioso arrestato dalla procura, chiede di parlare direttamente con me, ma non mi dirà subito dei fatti per i quali noi lo avevamo arrestato, tra cui alcuni omicidi. Dirà di voler parlare della strage di Capaci, perché lui c'era.
Cosa Nostra sequestra il figlio di Di Matteo per diciotto mesi e alla fine lo uccide sciogliendolo nell'acido. Tutto questo solo perché era il figlio di suo padre, un padre che aveva rivelato a me il segreto della strage di Capaci. Contro la minaccia dei pentiti, la brutalità, la bestialità e la rappresaglia nazista sono comuni a terrorismo e mafia.
Veniamo alla Liguria, da qualche anno ormai al centro della cronaca mafiosa. Cosa spinge il sistema mafia ad inserirsi nella nostra Regione? Non c'è zona del centro e nord Italia che possa considerarsi immune dal pericolo di infiltrazioni mafiose. In Liguria, Lombardia e Piemonte si è purtroppo constatata questa presenza, con lo stupore di molti che avrebbero dovuto accorgersi di questo ancora prima che intervenisse la magistratura.
La parola chiave è 'riciclaggio'. Le mafie accumulano un'infinità di soldi che devono ripulire per poterseli godere davvero e per fare questo devono andare dove il denaro, nonostante la crisi economica, circola ancora, così che quello sporco mescolandosi con quello pulito possa essere riciclato con maggiori probabilità di farla franca. Riciclando consolido il mio potere, investo, quindi il mio potere economico si allarga in svariate attività.
Si parla di mafia liquida che penetra dappertutto, è da almeno trent'anni che questo sistema si espande così. Eppure c'è gente che si stupisce ancora, che fa finta di niente, ma non scherziamo.
I tagli alla spesa del governo Monti hanno sancito di conseguenza la chiusura di alcuni Tribunali - nella nostra Regione questo ha riguardato il Tribunale di Sanremo accorpato a quello di Imperia - e in generale delle Province mettendo a rischio i comandi provinciali delle forze dell'ordine.
Tutto questo in una Regione che conta due comuni sciolti per mafia (Ventimiglia e Bordighera) e la provincia di Savona sempre più coinvolta nei traffici illeciti dei clan. Scelta azzardata? La revisione della cosiddetta geografia giudiziaria in linea di principio va nella direzione giusta. Ci sono stati dei casi in cui tale decisione può essere criticata, io penso a Pinerolo per il Piemonte e a Sanremo per la Liguria. Entrambe hanno specificità che potevano forse consigliare un mantenimento della sede.
E' vero che i problemi di mafia sono di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia, ma è vero anche che una giustizia di prossimità su questi versanti, almeno in prima battuta, è importante. Oggi ci si è logisticamente spostati da Sanremo a Imperia, ma credo che dal punto di vista professionale il ponente resti del tutto garantito, malgrado lo spostamento.
Tornando alla storia della mafia e dell'antimafia, come si inserisce la società civile nel fenomeno di lotta all'illegalità?
In Liguria come in altre regioni, fioriscono iniziative che coinvolgono direttamente le persone. Questo può essere d'aiuto al lavoro dei magistrati? E' assolutamente decisivo perché l'antimafia della repressione – forze dell'ordine e magistratura – è importante, ma da sola non può fare tutto. Servono anche l'antimafia della cultura che possa spazzare via alcuni luoghi comuni; e l'antimafia sociale, dei diritti, bisogna cioè aggredire le radici di questi fenomeni.
Se i diritti fondamentali dei cittadini: lavoro, assistenza economica e sanitaria, casa, non sono tutelati e garantiti dallo Stato, il mafioso li intercetta e li trasforma in favori in cambio dei quali chiede sempre qualcosa che rafforza il suo potere. La società civile deve capire che questi sono problemi non di guardie e ladri, ma problemi suoi.
Più legalità, meno mafia, più diritti, più sviluppo economico ordinato, fanno sì che si possa andare incontro ad un futuro migliore. A volte non tutti capiscono, magari solo alcune minoranze organizzate, penso all'associazione Libera.
La legge del '96 che consente di destinare ad attività socialmente utili le terre confiscate ai mafiosi, è stata voluta fortemente da Libera. Questi giovani che lavorano nelle cooperative sono una conquista fondamentale, il fiore all'occhiello dell'antimafia, perché sono un riscatto in termini di lavoro libero, di dignità, Questi sono i veri uomini di onore e tutto questo nasce dall'impegno della società civile.
Cosa è significato per lei esercitare il mestiere di magistrato? Il mio punto di riferimento, il mio obiettivo nell'esercizio quotidiano dell'attività giudiziaria è sempre stato quello di fare tutto ciò che la Costituzione impone di fare per il bene dei cittadini, per migliorare la qualità della loro vita.
Ho cercato di interpretare il mio ruolo non in maniera burocratica, preoccupandomi solo di tenere le carte a posto, ma rispettando le regole e facendomi carico anche della responsabilità del risultato, cercandone sempre uno utile per la comunità.
Vent'anni di lotta alla mafia, si può fare un bilancio del fenomeno mafioso a vent'anni di distanza dalle stragi di Capaci e Via D'Amelio? Come si è trasformata oggi la mafia? Il problema più grande è la ricchezza che hanno accumulato e continuano ad accumulare, l'economia illegale mafiosa che però non è l'unica: c'è anche la corruzione, l'evasione fiscale. Queste tre economie illegali messe insieme portano a cifre spaventose, sono risorse portate via alla collettività che favoriscono il suo impoverimento.
Se si recuperasse almeno qualcosa di queste risorse rapinate, migliorerebbe la qualità della vita di ciascuno di noi, ed è qua che entra in gioco la lotta al potere economico delle mafie, della illegalità mafiosa sul versante economico. Si può, basta avere forza, determinazione, non soltanto proclamare di voler fare le cose, ma farle davvero.