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Al Direttore | 19 febbraio 2013, 09:19

Discussione sulla statua di Mike Bongiorno sul nostro giornale: intervento di Massimo Novero

Discussione sulla statua di Mike Bongiorno sul nostro giornale: intervento di Massimo Novero

Un nostro lettore, Massimo Novero, ci ha scritto per intervenire nella discussione sulla statua di Mike Bongiorno, aperta nei giorni scorsi sul nostro giornale:

<In qualità di Presidente della Federazione Italiana Volontari della Libertà della città di Sanremo, sono costretto, mio malgrado, ad intervenire in modo definitivo in difesa della memoria di Mike Bongiorno: Michael Nicholas Bongiorno è nato a New York il ventisei maggio 1924, in una casa sulla Quinta Avenue, all’angolo con la Dodicesima strada. Il nonno era nato in Sicilia ed emigrato a New York nel 1886. Il padre era un avvocato di prestigio, presidente dell’Associazione Sons of Italy, l'Associazione “Figli d’Italia”. Fu il primo italiano a essere ammesso a Princeton. Sulle spalle del padre, Mike andava a vedere le parate del 12 ottobre e del giorno del Ringraziamento. In braccio alla madre, Mike fu battezzato sotto gli occhi del padrino, Fiorello La Guardia, che più avanti sarebbe diventato sindaco di New York, e che oggi per New York è un'aeroporto. Tutti i grandi italiani hanno avuto grandi padrini. Mike tornò in Italia per il liceo, negli anni Trenta. Studiò al Rosmini ed al Massimo d'Azeglio di Torino, essendo torinese la mamma. Aveva il pallino dell’atletica e vinse una gara giovanile di salto in alto con la misura, che lui giudicava rispettabilissima, di un metro e sessantacinque centimetri, difendendo i colori del Dopolavoro ferroviario. Tutti i grandi italiani hanno antichi successi sportivi da vantare. In uno di questi meeting conobbe, era il 1940, aveva sedici anni, Luigi Cavallero, grande giornalista della Stampa che nove anni più tardi sarebbe morto a Superga, sull’aereo del grande Torino di ritorno da Lisbona. Cavallero disse a Mike, senti, giovanotto, la redazione è sgombra perché sono tutti in guerra, ci serve gente svelta e con voglia di lavorare, perché non ci fai un po’ da galoppino? . Messo a parte di che significasse “galoppino”, Mike disse di sì. Girava per la città a raccogliere i risultati e i nomi dei partecipanti a partite minori di football, di ciclismo, di regate sul Po. Ebbe poi un incarico all’ufficio corrispondenti. Dettava agli stenografi dei giornali associati i pezzi dei corrispondenti. “Dovevo parlare chiaramente, scandire le sillabe, tenere un tono alto. Lì ho imparato veramente il mestiere. Ho imparato a parlare in modo che tutti mi capissero”. Firmò il suo primo articolo, sportivo, con il nome di Michi Bongiorno. L’otto settembre 1943, alcuni giornalisti della Stampa tagliarono la corda, e si unirono ai partigiani in ritirata sulle montagne. Mike aveva il passaporto americano. Cavallero gli disse, se ti beccano puoi avere dei problemi, vattene in montagna e io continuerò a dare lo stipendio a tua madre. Mike impegnò il tempo tenendo il collegamento fra i vari gruppi e formazioni di partigiani operanti  nella Val d'Ossola, come i Gruppi "Cesare Battisti" e "Giovane Italia" e con le Divisioni “Valtoce” e  "Valdossola". Lo racconta lui, nelle sue biografie che lo convinse, un tipo strano che parlava una babele di lingue e doveva essere un agente segreto e pensava che Mike dovesse darsi da fare per la sua patria, l’America (questo agente, e questo l'aggiungo personalmente io, avendolo saputo direttamente dallo stesso Enrico Mattei, Capo militare delle formazioni partigiane cattoliche durante la Resistenza - nel noto  Ristorante Pizzeria sanremese “A Marechiaro” di fronte all'attuale Ristorante  e Bagni “Lido”, in una cena conviviale con il Vincenzo Bergonzo detto “Tino”, Vincenzo Giribaldi, Don Nino Martini, Ventino Gori ed altri che ora non ricordo – e in detta cena, venni appunto sapere dallo stesso Mattei, che questo strano individuo, molto intelligente, stravagante nei modi, arguto, ma con una profonda conoscenza di ben cinque lingue, era Peter Tompkins,  responsabile dell'OSS - futura CIA - la Polizia Segreta degli USA in Italia, col compito di seguire, armare ed organizzare la Resistenza Italiana, che in quello specifico periodo operava con un grosso apparato ricetrasmittente mobile, in cima al Mottarone, per dirigere personalmente i lanci di viveri, mezzi e armamenti leggeri, per  tutte le formazioni partigiane attivamente presenti nel  Verbano e  nell'Ossola). Tutti i grandi italiani, prima o poi, hanno avuto a che fare coi servizi segreti. Infatti riprendiamo quanto riferito dallo stesso Mike; “Un giorno mi dicono: la situazione si è fatta delicata, dobbiamo andare via dall’Italia, in Svizzera”. Era la seconda settimana dell’aprile 1944. Del gruppo di Mike alcuni ci riuscirono, altri no, e non certamente Mike. Una notte, aspettando l’alba per incamminarsi verso Binn dalla Val d’Ossola, Mike e gli altri sentirono avvicinarsi dei motori e sentirono i cani latrare. “Arriva la Gestapo che circonda l’albergo Hotel “ALPINO” a Cravegna, frazione del Comune di Crodo. Siamo tutti  gente disperata, si bruciano fogli nel camino, si stracciano documenti, ci si sbarazza delle cose più compromettenti. Io, nel panico più completo, perdo la testa: avevo un pacco di documenti e li butto dalla finestra. Ci ritroviamo tutti giù in cortile, faccia al muro, illuminati dai fari dei camion. Contro quel muro, un po’ più in là, c’era anche mia madre. Pensavo, qui ci fucilano”. “Pensai, è finita. Addio mamma”. Tutti gli italiani, grandi e piccoli, riservano l’ultimo pensiero alla mamma. “Con i tedeschi c’erano anche alcuni italiani, della Decima Mas”. Uno di loro si avvicina a Mike per perquisirlo. A Mike gli prende un colpo. In tasca conserva -  se l’è dimenticato, maledizione! - un libretto coi nomi e gli indirizzi di gente scappata in Svizzera, fra cui parecchi ebrei. Il soldato trova il libretto, lo sfoglia, non dice niente. Lo rimette in tasca al ragazzo, gli sorride, si allontana. “Allora lì, con la faccia contro il muro, ho preso il libriccino e, pagina per pagina, me lo sono mangiato tutto”. Quelli della Gestapo, però, hanno recuperato tutti i documenti. C’è anche il passaporto americano di Mike. Lo caricano su un camion e lo portano via. “E così arriviamo a San Vittore. “Mi sbattono subito in una cella di isolamento, al sesto raggio, quello della morte. Ci sono rimasto sessantaquattro giorni. Mangiavo una volta al giorno. Qualcuno ci aveva tradito. Ma chi? Qualche tempo dopo, nella biblioteca del carcere, riesco a mettere le mani su un librone con l’elenco delle persone fatte prigioniere insieme a me. Un nome, solo un nome, è cancellato con un tratto di penna. Il nome del traditore. Io ho letto quel nome”. Tutti i grandi italiani hanno un segreto, e dicono di averlo, e non lo rivelano. Dopo il periodo in isolamento, Mike fu portato in una cella comune. “Di giorno facevo lo scopino: vuotavo i pitali dei detenuti. Un lavoro terribile: molti di loro erano malati e soffrivano di dissenteria”. Fu allora che conobbe Indro Montanelli, detenuto e condannato a morte. Mike portava l’acqua alle celle e Indro gli dava messaggi da consegnare a una prigioniera, di cui era incapricciato. Così Mike faceva la staffetta, per questioni belliche e per questioni amorose. “Dopo lo scopino ho cambiato mestiere: sono diventato materassaio. C’era, in cortile, una grande montagna di paglia. Si riempivano i materassi. Un giorno la paglia è quasi finita e io mi accorgo che sotto c’è un tombino. Lo alzo e vedo una scala a pioli che scende nel buio. Racconto la cosa ad alcuni compagni”. Nell’agosto del 1944 ci fu una clamorosa fuga da San Vittore. Sparirono dodici prigionieri. Erano passati da quel tombino che evidentemente aveva un collegamento con l’esterno. Quando a fine settembre (Mike era dentro dall’aprile) lo portarono via, era il detenuto più giovane, ma con maggiore anzianità di prigionia. Gli altri, erano già stati trasferiti in campo di concentramento. Finì in un lager anche lui, a Innsbruck. Trascorreva del tempo alla finestra della baracca e lì vedeva le donne naziste che calzavano stivali neri e indossavano cappotti di pelle. Legavano dei sassi al collo dei prigionieri, e li obbligavano a correre. Mike, al collo aveva una scatola con tre cosette dentro, un taccuino, un chiodo, poco altro. “Un giorno una di queste poliziotte me la strappa, la apre e rovescia il contenuto per terra. Poi mi ordina di raccoglierla. L’ho fatto, in ginocchio, in silenzio: ormai non piangevo più”. “Dopo Innsbruck,  seguì il campo di concentramento di Spittel: un campo di punizione militare. Avevo fame, sempre fame”. E aveva anche freddo, perché c’erano dieci gradi sotto zero e lui era vestito ancora coi calzoncini e la maglietta della torrida estate milanese. I bombardieri alleati, di ritorno dalle missioni in Germania, volavano radenti per salutare e fare coraggio ai prigionieri. Mike ebbe la fortuna - la fortuna di tutti i grandi italiani - ed entrò finalmente in una lista di scambio di prigionieri, sotto il patrocinio della Croce Rossa. Fu liberato. Camminò nella neve per alcuni interminabili chilometri sino alla ferrovia, dove trovò finalmente un convoglio della Croce Rossa. “Tremavo. Piangevo e gridavo sommessamente, il caldo, il caldo”. Per tutte queste sue fatiche passate, vissute con vero  onore per questa nostra Patria allora terribilmente martoriata, ed anche alla sua TV, che è un po’ la storia, anche di questa nostra Repubblica, il grande scrittore, giornalista, pittore e politico (autore, tra le sue innumerevoli opere letterarie, del memoriale sociologico intitolato “Cristo si è fermato a Eboli” e del magnifico romanzo “Le parole sono pietre”) Carlo Levi, ebbe personalmente a scrivergli sulla STAMPA di Torino questa magnifica frase; “Sulla strada del sapere, nessuna altra esperienza potrebbe essere più viva”. Ed anche Indro Montanelli scrisse: “La mia amicizia con Mike Bongiorno non finirà mai. Non tanto per l’intensità e la frequentazione, visto che gli anni e le nostre vite ci hanno diviso, quanto per il luogo in cui è nata, il carcere di San Vittore (…) Noi prigionieri in isolamento avevamo il conforto di un ragazzino che, unico in tutto il carcere, aveva il privilegio di girare liberamente. Faceva il lavandaio, lo scopino il fattorino e puliva scrupolosamente le latrine. Per noi condannati a morte si faceva in quattro, procurandoci sigarette, pane e sapone. E passandoci di nascosto messaggi e biglietti”. Scrisse ancora Indro Montanelli: “Qualche tempo dopo andai negli Stati Uniti. Una mattina, uscendo dall’albergo, me lo ritrovai davanti (…) ‘Senti, mi disse, ho bisogno di un consiglio da te: mi è arrivata una proposta dall’Italia, vogliono che faccia un programma per la televisione, vogliono che esporti questo quiz che qui in America ha grande successo. Che dici, accetto?’. Accetta in fretta, gli risposi (…) Credevo ormai che Mike fosse uscito dalla storia, e invece sbagliavo profezia un’altra volta: nella storia stava per entrarci proprio in quei giorni”. Non fu subito busta numero uno, due e tre. Fu quell’apparizione didattica di cui s’è detto, e fu “Arrivi e partenze”, che i libri indicano come “primo programma ufficiale della Rai”. Vi si raccontavano storie di italoamericani. Dai ricordi del regista Piero Vivarelli: “Si presentava nei paesini del meridione su una sfavillante Pontiac, per lo più vestito da cow-boy, con tanto di stivaletti, cappellone e cinturoni in cuoio sbalzato”. Dopo Arrivi e partenze, sarebbero seguiti, Lascia o Raddoppia, Campanile sera, Caccia al numero, La fiera dei sogni, Giochi in famiglia, Rischiatutto, Personaggi in fiera alla tv svizzera, Ieri e oggi, Scomettiamo?. , Lascia o raddoppia seconda edizione, Flash. Per le reti TV di Mediaset, Mike esordì nel 1980, a Telemilano, con I sogni nel cassetto, Bis, Superflash, Superbis, Pentathlon, TeleMike, La Ruota della fortuna, Tris, Bravo Bravissimo, Tutti per uno, i vari Festival di Sanremo per la prima rete nazionale, Viva Napoli, Giro Mike, Paperissima sprint. A questo punto, il miglior commento che io ritengo di fare, di fronte a questa semplice statua che mi porta comunque “allegria”, è un silenzio profondo, fatto solamente di  rispetto e gratitudine. Grazie Mike>.

Carlo Alessi

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