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| 12 gennaio 2013, 13:00

Interdizione ai Fotia: il TAR respinge il ricorso Scavo-Ter

L'atto integrale trascritto. La Provincia di Savona non si è costituita in giudizio

Interdizione ai Fotia: il TAR respinge il ricorso Scavo-Ter

N. 00071/2013 REG.PROV.COLL.


 
N. 00778/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 778 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Scavo-Ter S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Franco Rusca, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Palestro, 2/11;

contro

Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;

Provincia di Savona, non costituita in giudizio;

nei confronti di Geo Tecna S.r.l., non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- dell’atto del Dirigente delegato del Settore gestione viabilità, edilizia ed ambiente della Provincia di Savona 19/7/2012 n. 2012/4370, notificato in pari data, concernente “revoca degli atti di aggiudicazione definitiva n. 7615 del 10 novembre 2011 e n. 7127 del 17 ottobre 2011 e recesso dal contratto repertorio n. 12658 del 3 agosto 2010”;


- dell’atto emesso dal Prefetto della provincia di Savona in data 21/6/2012;

- di tutti gli atti ad essi preparatori, presupposti, connessi e conseguenti.
 
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2012 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con ricorso giurisdizionale ritualmente notificato in data 7 settembre 2012 e depositato il successivo 10 settembre, la Scavo-Ter S.r.l., impresa operante nel settore dell’edilizia, impugna il provvedimento dirigenziale del 19 luglio 2012, con cui la Provincia di Savona ha revocato l’aggiudicazione definitiva di due appalti di lavori e disposto il recesso da un altro contratto stipulato con la ricorrente medesima.

La determinazione impugnata assume quale presupposto il provvedimento interdittivo emesso dal Prefetto di Savona in data 21 giugno 2012, anch’esso coinvolto nell’impugnazione, dal quale “risultano sussistere a carico della ditta Scavo-Ter S.r.l. tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata in grado di condizionarne le scelte e gli indirizzi”.

Le censure dedotte da parte ricorrente sono tese ad evidenziare pretesi vizi propri sia del presupposto provvedimento antimafia sia della statuizione adottata in via di autotutela dalla Provincia, censurata anche sotto il profilo dell’illegittimità derivata.
Con decreto presidenziale n. 320 del 10 settembre 2012, è stata respinta l’istanza di tutela cautelare provvisoria.


Si è costituita in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, in rappresentanza dell’intimato Ministero dell’interno, argomentando nel senso dell’infondatezza del ricorso e opponendosi al suo accoglimento.
A seguito del deposito del provvedimento impugnato, l’interessata ha proposto, con atto notificato il 29 settembre 2012, motivi aggiunti di ricorso.
Con ordinanza n. 396 del 17 ottobre 2012, è stata accolta l’istanza cautelare proposta in via incidentale dalla ricorrente e fissata l’udienza per la discussione nel merito del ricorso.


In prossimità della pubblica udienza, le parti costituite hanno depositato ulteriori memorie difensive e di replica.
Non si è costituita in giudizio, seppur regolarmente intimata, la Provincia di Savona.
Il ricorso, infine, è stato chiamato all’udienza del 29 novembre 2012 e ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) Come accennato in premessa, l’impugnativa giurisdizionale investe sia il provvedimento antimafia adottato dalla Prefettura di Savona nei confronti dell’odierna ricorrente sia la conseguente determinazione con cui la Provincia di Savona, preso atto del provvedimento prefettizio, ha disposto la revoca di precedenti affidamenti di appalti pubblici alla ricorrente medesima.
Quanto alla natura del provvedimento prefettizio, si tratta di “informazione antimafia” adottata ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, con cui è stata rilevata, sulla base degli elementi ivi allegati, una “significativa interferenza della criminalità organizzata … in grado di condizionare le scelte e gli indirizzi” dell’impresa ricorrente.
Tale provvedimento è stato adottato su impulso della stessa Provincia di Savona (la quale, tuttavia, non ha ritenuto di costituirsi nel presente giudizio per difendere la legittimità dei propri atti) che, con istanza del 11 giugno 2012, aveva chiesto il rilascio delle competenti informazioni sull’impresa.
2) La questione centrale sulla quale verte il giudizio, dedotta con il primo motivo del ricorso introduttivo e riprodotta con un maggior grado di dettaglio nel primo motivo aggiunto, riguarda la pretesa infondatezza degli elementi a carico dell’impresa che l’autorità prefettizia avrebbe unicamente tratto dai contenuti di una nota della Direzione investigativa antimafia di Genova in data 7 giugno 2012.
2.1) Va formulata, al riguardo, una precisazione.
L’informativa antimafia di cui si controverte cita come proprie fonti di conoscenza i seguenti atti:
- la citata nota 7/6/2012, i cui contenuti vengono ampiamente riferiti nel contesto del provvedimento impugnato;
- le note della Questura di Savona in data 26 gennaio 2012 e 5 giugno 2012, da cui risulterebbe “il ruolo di spicco dei componenti della famiglia Fotia” (cui appartengono i titolari dell’impresa) “nell’ambito della criminalità organizzata di origine calabrese operante nel ponente di questa provincia”;
- le note del Comando provinciale dei carabinieri di Savona in data 6 dicembre 2011 e 7 giugno 2012, da cui risulterebbe che l’impresa ricorrente aveva svolto, nel 2007, lavori per conto di un’altra impresa sottoposta a sequestro nel corso di un’inchiesta concernente le infiltrazioni della criminalità organizzata nella costruzione di talune opere pubbliche;
- le note del Comando provinciale della guardia di finanza di Savona in data 10 novembre 2011 e 23 maggio 2012, da cui risulterebbe che i componenti della famiglia Fotia sono inseriti “nella locale mappa della criminalità organizzata” quali affiliati o fiancheggiatori di una cosca mafiosa.
Viene fatta menzione anche del provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Savona n. 6605 del 10 marzo 2012 che, però, come rileva correttamente parte ricorrente (cfr. sesto motivo del ricorso introduttivo), non è astrattamente idoneo ad integrare la motivazione dell’atto, contenendo un divieto che trova applicazione solo per i rapporti contrattuali futuri.
Quanto alle citate fonti di conoscenza, va anche evidenziato come la seconda, la terza e la quarta di esse non risultano allegate al provvedimento impugnato né versate agli atti del giudizio; il richiamo fattovi dall’amministrazione procedente è del tutto sbrigativo, quasi di stile, e gli elementi tratti dalle medesime sono illustrati in modo così generico da non poter costituire, neppure in astratto, idoneo supporto motivazionale del provvedimento interdittivo che risulta essenzialmente fondato, pertanto, sugli elementi riferiti dalla citata nota della D.I.A. di Genova.
2.2) Osserva parte ricorrente, al riguardo, come questi ultimi elementi siano quasi perfettamente sovrapponibili a quelli posti a fondamento della proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro di beni nella disponibilità dei componenti della famiglia Fotia e della stessa impresa Scavo-Ter, proposta respinta dal Tribunale penale di Savona, con provvedimento collegiale del 13 agosto 2012, in ragione della ritenuta insufficienza degli elementi posti a fondamento della ricostruzione accusatoria.
Il rilievo è corretto, poiché l’esame della documentazione versata agli atti del giudizio dimostra la sostanziale identità delle circostanze riferite dalla D.I.A. di Genova, dapprima con la proposta di applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale e, quindi, con la relazione che ha dato luogo all’adozione del’informativa antimafia in contestazione.
2.3) L’esito negativo del procedimento svoltosi dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria, peraltro, non può vincolare il vaglio di legittimità avente ad oggetto la misura interdittiva impugnata nel presente giudizio, per due ordini di ragioni.
In primo luogo, perché sono radicalmente diversi i presupposti e, in parte, anche la ratio dei due provvedimenti: nel caso della misura di prevenzione patrimoniale prevista dal d.lgs. n. 159 del 2011, finalizzata all’aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati da persone pericolose, si richiede la sussistenza di elementi di fatto atti a dimostrare che i prevenuti vivano abitualmente con i proventi delle proprie attività delittuose; l’informazione antimafia ex art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998, invece, si connota specificamente come provvedimento con finalità preventive nei confronti dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa.
La legittimità del provvedimento autoritativo che forma oggetto dell’impugnazione giurisdizionale deve essere verificata, in secondo luogo, in base allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione nonché degli elementi acquisiti nella fase istruttoria procedimentale, cosicché non assumono rilievo in tale ambito circostanze sopravvenute, quali si configurano, nel caso di specie, le pur penetranti considerazioni svolte dal giudice penale in ordine alla consistenza dei singoli elementi posti a fondamento della tesi accusatoria.
2.4) Quanto alla specifica misura che forma oggetto della controversia, la giurisprudenza amministrativa ha sufficientemente chiarito come la stessa non possa fondarsi su semplici supposizioni, ma richieda il supporto di elementi, sia pure indiziari, atti nel complesso a legittimare il giudizio di possibilità che l’impresa possa, anche indirettamente, agevolare le attività della criminalità organizzata ovvero esserne condizionata (cfr., fra le ultime, Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4601 e sez. III, 9 maggio 2012, n. 2678).
Non è necessario, cioè, che l’amministrazione fornisca la prova inconfutabile circa l’avvenuta infiltrazione della criminalità organizzata, ma si richiede l’individuazione di un quadro indiziario coerente, anche se non perfezionato, che fornisca obiettivo fondamento alla valutazione induttivamente effettuata dall’amministrazione in ordine al rischio di infiltrazione mafiosa.
2.5) Venendo al caso di specie, si è detto che la Prefettura di Savona ha fondato l’informazione antimafia nei confronti della Scavo-Ter sulla segnalazione operata dalla D.I.A. di Genova con nota del 7 giugno 2012 la quale, a sua volta, espone una pluralità di elementi accusatori, di varia natura, a carico di alcuni componenti della famiglia Fotia, compresi quelli che svolgono, anche formalmente, il ruolo di amministratori della Scavo-Ter.
Taluni elementi, pur acriticamente recepiti dalla Prefettura, rivelano prima facie la propria inconsistenza (come la vicenda del cosiddetto “mercurio rosso”), altri rinviano a vicende di criminalità comune che sembrano estranee all’ambito applicativo dell’informazione antimafia (quale il caso di corruzione di un funzionario del Comune di Vado Ligure).
Le circostanze residue, però (se vagliate, si ripete, prescindendo dagli elementi di conoscenza e valutazione successivamente apportati dal giudice penale), rendono ragione, nel loro complesso, di un quadro di relazioni con elementi della criminalità organizzata non chiare e sufficienti, perciò, a legittimare il sospetto che l’attività dell’impresa graviti anch’essa in ambito mafioso o possa, comunque, esserne condizionata.


Attesa la quantità di tali elementi accusatori e il valore sintomatico di alcuni di essi, non può ritenersi, in definitiva, che la diagnosi operata dall’amministrazione circa il pericolo di compromissione dell’impresa con la criminalità organizzata rappresenti il frutto di un esercizio irragionevole o imprudente dei poteri discrezionali dell’amministrazione.

2.6) Per tali ragioni, vanno disattese le censure dedotte con il primo motivo digravame.

3) Anche gli altri motivi di gravame appaiono privi di pregio e vanno disattesi.
3.1) Tanto è da dirsi per la censura dedotta con il secondo motivo del ricorso introduttivo, relativa alla pretesa carenza dell’attività istruttoria condotta dalla Prefettura, basandosi solo sulla proposta volta all’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale, in difetto di ulteriori, autonomi accertamenti.
La doglianza, peraltro, è frutto di una non perfetta, anche se incolpevole, conoscenza degli atti del procedimento in quanto, come si è già avuto modo di riferire, la Prefettura di Savona aveva svolto specifici accertamenti per il tramite della Direzione investigativa antimafia di Genova, sfociati in un’ampia e circostanziata relazione i cui contenuti sono stati autonomamente valutati dall’amministrazione procedente.

3.2) I successivi motivi del ricorso introduttivo concernono, invece, la legittimità del provvedimento di revoca e di recesso adottato dalla Provincia di Savona.
Sostiene l’esponente che l’amministrazione non avrebbe avuto il potere di incidere su rapporti originati da procedure di gara nelle quali non si poneva l’obbligo di acquisire le previe informazioni prefettizie e che essa non avrebbe, comunque, motivato adeguatamente la propria decisione in rapporto alla posizione dell’impresa.


Tali censure, disseminate nel contesto del quarto e del quinto motivo, non possono essere condivise alla luce della particolare natura dell’informativa antimafia emessa nei confronti dell’impresa ricorrente.
Essa riguarda, infatti, tentativi di condizionamento mafioso ravvisati sulla base degli elementi emersi dagli accertamenti disposti ai sensi della lettera c) del comma 7 dell’art. 10 del d.P.R. n. 252/1998.


Si tratta, quindi, di un’informativa “tipica”, tipologia cui viene pacificamente riconosciuta efficacia interdittiva e capacità di vincolare l’amministrazione appaltante la quale, in conseguenza, non conserva alcun potere di sindacarne i presupposti o la fondatezza.


La giurisprudenza ammette, tuttavia, che residui un margine di discrezionalità in capo all’amministrazione appaltante nel caso in cui l’informativa interdittiva tipica sia intervenuta, come nella specie, dopo la costituzione del rapporto con l’impresa: in tal caso, però, il potere discrezionale può essere esercitato, con connesso obbligo di motivazione, solo qualora l’amministrazione intenda determinarsi per la prosecuzione del rapporto (cfr. T.A.R. Campania, I, 8 aprile 2010, n. 1831).
Al contrario, laddove l’amministrazione intenda semplicemente adeguarsi all’informativa, essa può limitarsi a farvi riferimento e fondare su di essa la conseguente determinazione di revoca o di recesso dai contratti di appalto in essere, prevista dall’art. 11 del d.P.R. n. 252 del 1998 senza limitazioni legate al valore del contratto.


Fermo restando che, nel caso in esame, l’amministrazione appaltante ha anche motivato l’esercizio dei poteri di autotutela con riferimento all’inopportunità di proseguire i rapporti con un’impresa rivelatasi priva dei requisiti di idoneità morale.


3.3) Lamenta poi l’esponente, con il secondo motivo aggiunto di ricorso, che l’amministrazione dell’interno non avrebbe adottato le necessarie cautele nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, avendo trascurato di considerare la posizione e gli interessi dell’impresa coinvolta nel procedimento.

La doglianza fa riferimento ad un condivisibile orientamento giurisprudenziale che, rimarcando la rilevanza degli interessi sottesi alle decisioni in materia (da un lato, quello relativo alla libertà d’impresa e, dall’altro, quello relativo alla tutela della sicurezza), predica l’esigenza che i poteri latamente discrezionali dell’amministrazione siano esercitati con le necessarie cautele onde non riverberarsi indebitamente a discapito di uno degli interessi in gioco (cfr., ad es., Cons. Stato, n. 4601/2012 cit.).


Tale richiamo alla prudenza, peraltro, si riflette solo sulla formulazione della valutazione prognostica inerente l’effettiva esistenza di un rischio di infiltrazioni mafiose e non può, viceversa, frapporsi all’adozione della misura sfavorevole per il privato laddove gli elementi raccolti dall’autorità risultino concretamente atti a sostenere il provvedimento.

Equivale a dire che, nel caso in cui gli elementi acquisiti in fase istruttoria consentano di delineare, come verificatosi nel caso all’esame, un quadro indiziario sufficientemente completo e coerente circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata, l’interesse del privato alla continuità dell’attività imprenditoriale appare necessariamente recessivo e non residua più alcuno spazio per l’esercizio di valutazioni discrezionali, configurandosi l’emissione dell’informazione antimafia quale atto dovuto.


3.4) L’esponente fa ancora riferimento, con il terzo motivo aggiunto di ricorso, alla decisione negativa del Tribunale penale di Savona, per rimarcare come l’unico membro della famiglia Fotia ritenuto pericoloso dal giudice ordinario (il signor Pietro Fotia) non sia socio né amministratore della Scavo-Ter.
Si è già avuto modo di rilevare, in generale, come la decisione della Prefettura non possa essere vagliata alla luce degli elementi di conoscenza successivamente apportati dal giudice ordinario.


Occorre solamente soggiungere, al riguardo, come gli elementi di sospetto vagliati dalla prefettura riguardino anche i soggetti che svolgono formalmente un ruolo attivo nella gestione della Società, mentre il signor Pietro Fotia è stato qualificato dallo stesso Tribunale di Savona (cfr. provvedimento del G.I.P. n. 6605 del 10 marzo 2012 – docum. 3 Amministrazione) come “amministratore di fatto e come tale in posizione apicale” della Scavo-Ter.


3.5) Ancora con riguardo all’informazione antimafia, parte ricorrente deduce, con il quarto motivo aggiunto di ricorso, che il potere esercitato nella fattispecie dall’amministrazione non avrebbe potuto essere legittimamente ricondotto all’ipotesi prevista dall’art. 10, comma 7, lett. c), del d.P.R. n. 252/1998, stante la preesistente proposta di applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale atta a configurare il presupposto di cui alla lett. b) del medesimo comma 7.

L’esponente sostiene, in buona sostanza, che la presentazione della proposta di cui sopra avrebbe vincolato l’amministrazione ad instaurare un procedimento ex lett.

b) cit., comportante l’esercizio del controllo giurisdizionale ad opera del giudice ordinario, fermo restando che le due fattispecie astratte si escluderebbero a vicenda e non sarebbe quindi possibile introdurre, per gli stessi fatti, anche un procedimento ex lett. c), ossia indipendente dalla proposta di applicazione di una misura di prevenzione e basato sugli accertamenti disposti dal prefetto.
Tale prospettazione non pare connotata da pregio giuridico, poiché nessun elemento testuale del disposto normativo induce a ritenere che le due fattispecie procedimentali siano poste in rapporto di alternativa tra loro.

Tanto più che, nel caso di specie, l’informazione antimafia è autonomamente scaturita dagli accertamenti disposti dal prefetto per il tramite della D.I.A., non dalla proposta che la stessa autorità di polizia aveva formulato in precedenza allo scopo di conseguire l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale i cui presupposti sono, come già rilevato, ben diversi da quelli dell’informazione antimafia.

3.6) Considerando che il provvedimento prefettizio non è stato vulnerato dalle censure di parte ricorrente, vanno disattese, infine, le censure di illegittimità derivata a carico della conseguente determinazione provinciale.

4) Per le ragioni sopra esposte, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
La fattispecie all’esame, però, è peculiare, poiché il giudizio di legittimità, per così dire cristallizzato al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, è stato reso necessariamente a prescindere dagli ulteriori, pregnanti elementi di valutazione, obiettivamente favorevoli alla posizione della ricorrente, desumibili dalla più volte citata decisione del Tribunale penale di Savona.
Nel corso del giudizio, peraltro, la difesa erariale ha introdotto, con la memoria depositata il 13 ottobre 2012, elementi di segno contrario, anch’essi estranei alla motivazione del provvedimento impugnato, ma non irrilevanti nella valutazione della posizione dell’impresa in rapporto alla criminalità organizzata.
Per esigenze di giustizia sostanziale e in ossequio ai doveri di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., si impone, pertanto, l’esigenza che la competente amministrazione dell’interno riesamini la propria decisione, alla luce dei nuovi elementi di conoscenza come sopra riferiti ed anche in assenza di una specifica istanza del privato.
5) Considerando la peculiarità della fattispecie, le spese del grado di giudizio vanno integralmente compensate fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, come da motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Richard Goso, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

SN - TAR Liguria

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