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| 14 ottobre 2012, 09:17

Utile ricordare, come quando e dove i voti si iniziarono a comprare (si fa per dire)

'COSI' MAFIA E ' NDRANGHETA COMPRAVANO VOTI PER TEARDO' (di Pietro Valentino, tratto da La Repubblica, 31/08/1984) SAVONA - "Collegamenti con ' ndrangheta e malavita comune". E' il titolo di uno dei tanti capitoli della sentenza di rinvio a giudizio, firmata dai giudici istruttori Francantonio Granero e Michele Del Gaudio, contro Alberto Teardo e il "clan delle tangenti": una decina di pagine piene di testimonianze e rapporti di carabinieri e polizia che danno i contorni ad una immagine "sconvolgente", come ammettono alcuni avvocati difensori, della organizzazione creata dall' ex leader socialista

Utile ricordare, come quando e dove i voti si iniziarono a comprare (si fa per dire)

Lo scopo principale di questi legami con famiglie e gruppi della mafia e della ' ndrangheta sarebbe stato quello di procacciare voti a Teardo e ai suoi fedelissimi, come Leo Capello, ex presidente del Savona calcio, tesoriere del clan, che solo sui suoi conti correnti personali è riuscito a raccogliere, dal ' 75 all' 83, oltre tre miliardi (i movimenti bancari accertati nello stesso periodo per gli imputati accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso sono stati di 19.690.569.282 lire). C' è per esempio un pregiudicato, Giuseppe Dellatti, che ricevette in carcere la visita di un "collega", Nicola Mamone, dopo essere stato trasferito da Savona a Chiavari. Mamone gli avrebbe raccomandato di fare votare, tra i detenuti, Leo Capello, candidato al Senato, che si sarebbe dato da fare per loro.

Il gruppo di Teardo (lo conferma anche un documento di cui Teardo ha tentato di liberarsi, senza riuscirvi, al momento dell'arresto) sarebbe stato legato anche al clan dei Mafodda, un gruppo calabrese processato e condannato a Sanremo per un colossale traffico di droga, e alla famiglia Marcianò, emigrata a Valle Crosia, una zona imperiese in cui Teardo ottenne più voti che a Savona.

Peppino Marcianò, ritenuto il capofamiglia indiscusso, avrebbe ammesso di avere ricevuto, già nel 1976, decine di milioni da distribuire a chi decideva di votare per Teardo. A lui furono "girati" da Leo Capello alcuni assegni del "clan delle tangenti", su un conto della Cassa di Risparmio di Savona.

Marcianò li girò a sua volta ad un' altra famiglia di Varazze, ben conosciuta dagli inquirenti. Peppino Marcianò, secondo i giudici, era strettamente collegato alla famiglia calabrese Scriva, quella di Pino Scriva, il pentito che fece arrestare centoventi imputati in uno dei più recenti procedimenti contro la ' ndrangheta. Il cognato, Rocco Scriva, interrogato dai giudici savonesi, non sarebbe stato altrettanto loquace, ma avrebbe ammesso che un "gruppo di liguri" fu presente ad un matrimonio di famiglia celebrato a Lamezia Terme.

Chi fossero questi "liguri" lo avrebbe precisato un altro teste, l' avvocato Emilio Vignolo, socialista: l' autista di Teardo, Angelo Benazzo (latitante assieme a Nicolino Bongiorni, il titolare di alcuni night in cui elementi del clan si sarebbero incontrati con esponenti della malavita savonese implicati in traffici di droga), e anche Teardo e Capello. Nell' agenda di Giovambattista Gentile, secondo una segnalazione della magistratura di Torino, figurano i nomi di Teardo e di Giuseppe Bolzoni, un altro degli imputati, capo della loggia massonica di via XX Settembre a Savona.

Gentile era ritenuto un "elemento di fiducia" ed anche di collegamento con alcuni boss della mafia calabrese.

Secondo i giudici, si tratta di fatti che hanno "un significato non equivoco". Anche se lo scopo era quello di procacciare voti, dicono, un conto è erogare somme per sostenere le spese (documentabili) di una campagna elettorale, un conto è acquistare direttamente i voti pagando la malavita (una famiglia di Valle Crosia, ritenuta molto vicina alla mala calabrese, avrebbe avuto 135 milioni, anni fa).

di PIERO VALENTINO

La Repubblica, 1984

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