La bolla è appena esplosa e sicuramente riserverà altri colpi di scena, ma quanto sta emergendo in questi giorni intorno alla storica compagnia di navigazione Deiulemar di Torre del Greco (Napoli) pare già destinato ad assurgere a caso scuola di un capitalismo casareccio ancora preoccupantemente diffuso in Italia, rappresentato non solo da un’imprenditoria ruspante, ma anche (e forse soprattutto) da organi e meccanismi di controllo evidentemente poco efficienti.
Tanto per farsi un’idea delle dimensioni dell’affaire, alle famiglie di imprenditori coinvolte (Della Gatta, Iuliano e Lembo) per ammissione delle stesse «fa capo un gruppo diversificato composto da società armatoriali ed immobiliari-alberghiere che nel 2009 ha prodotto un fatturato superiore ad 1,1 miliardi di euro, che anche nel 2010, nonostante la crisi del settore, si è attestato intorno agli 825 milioni di euro».
Una delle navi Deiulemar a Savona
Al centro di quello che non è un gruppo, almeno formalmente, c’è Deiulemar di Navigazione, una S.p.a. a socio unico controllata da Deiulemar Holding, a sua volta controllata da tre fiduciarie. Questa è la società storica, guidata dal capitano Michele Iuliano e attiva dal 1969 come armatore. Tradizionalmente, come tante altre società della zona, Deiulemar è ricorsa negli anni, per finanziare la propria attività, al cosiddetto “sistema dei carati” – un meccanismo di compartecipazione del rischio armatoriale, applicato spesso con la comunità locale e disciplinato anche dal codice della navigazione – evolutosi nel tempo nell’emissione di prestiti obbligazionari.
Anche l’ultimo bilancio disponibile, infatti, riporta il prospetto relativo alle emissioni obbligazionarie: diverse emissioni, fra gli anni 80 e la fine del 2010, per un importo complessivo di circa 40 milioni di euro, con cedole annuali fra il 5,8% e il 7% netti. Rendimenti nobilissimi, tanto che Deiulemar a Torre del Greco, dove vive la maggior parte dei risparmiatori interessati, godeva di ottima fama. Almeno fino a poche settimane fa.
A metà gennaio hanno iniziato a circolare voci su una presunta instabilità dell’azienda, forse perché a livello internazionale stavano cominciando a emergere pesanti difficoltà. Paragon Shipping, società greca quotata a New York, comunicava ad esempio il 17 gennaio di aver ricevuto da Deiulemar la richiesta di ricontrattare la rata di un noleggio di una nave divenuta troppo onerosa per la compagnia partenopea (sintetizzando, va ricordato come il mercato dei noli, soprattutto nel settore di Deiulemar, le cosiddette “rinfuse secche”, sia ai minimi storici di sempre). E pochi giorni dopo altre 11 compagnie rivelavano richieste similari.
Così le voci hanno preso corpo e se per qualche giorno le rassicurazioni offerte dall’ottantottenne Iuliano in persona hanno tenuto tranquilli i risparmiatori torresi, nel giro di poche ore la situazione è precipitata, tanto che la compagnia ha dovuto chiudere i propri uffici per l’assedio degli obbligazionisti. Anche perché il quadro che si è andato via via delineando non è semplicemente quello di un’azienda storica e solida travolta dalla crisi economica. Il 23 gennaio, infatti, la stessa Deiulemar comunicava di aver presentato un «esposto all’autorità giudiziaria in merito a certificati irregolari di tipo obbligazionario al portatore» ad essa intestati. E cinque giorni dopo, ribadendo «l’emersa circolazione di certificati di tipo obbligazionario emessi al di fuori delle regolari procedure societarie» rendeva nota la sostituzione dell’amministratore unico in carica, Iuliano, con l’avvocato Roberto Maviglia.
Quello che è emerso, secondo le ricostruzioni di Maviglia e dell’avvocato Pino Colapietro, rappresentante del Comitato Obbligazionisti Deiulemar, è che accanto ai certificati obbligazionari regolarmente emessi, la compagnia e i suoi amministratori hanno continuato a rilasciare titoli simili ad obbligazioni al portatore, intestati alla società e da essa regolarmente onorati fino a poche settimane fa, ma totalmente al di fuori delle norme sulle emissioni e, a quanto risulta, dai bilanci della società stessa. Tanto che ad oggi non si sa quanto sia l’ammontare delle obbligazioni circolanti, quante quelle “regolari” e quali le “irregolari” né come distinguere fra esse.
Secondo le stime di Colapietro – «assolutamente provvisorie, perché la società ha avviato un ‘censimento’ dei titoli senza il cui esito non si possono avere certezze» – sarebbero circa 13mila i risparmiatori coinvolti, per un ammontare di obbligazioni vicino ai 500 milioni di euro. Cifra su cui Maviglia non si esprime, pur riconoscendo che è certo che le obbligazioni emesse siano ben più di quelle iscritte a bilancio.
Questo pone interrogativi anche di natura contabile e fiscale, dato che i certificati “irregolari” sono identici a quelli “regolari” sia come scadenza (fine 2018) che come intestazione e modalità di pagamento, al netto (essendo a carico dell’emittente la trattenuta fiscale). Maviglia prova a gettare acqua sul fuoco: «Queste risorse sono state affidate – Deiulemar non è mai ricorsa ad intermediari, trattando direttamente con i sottoscrittori, spesso direttamente in sede e in contanti, anche nel caso delle emissioni regolari, ndr) – all’armatore sulla base di un rapporto fiduciario con lo stesso, non sono mai entrate nella disponibilità della società. Comunque i soci fondatori della Deiulemar Compagnia di Navigazione S.p.A. hanno manifestato l’intendimento di fare quanto nelle loro possibilità per contribuire a dare ristoro a tutti gli investitori, con modalità e forme da individuarsi (non è escluso il concordato preventivo), mettendo a disposizione le loro risorse personali, secondo le modalità e la misura di soddisfacimento in concreto attuabili sulla base dei risultati cui perverrà la citata ricognizione. Tanto che la società ha aperto un tavolo di informazione e lavoro, a cui hanno preso parte, l’Avv. Antonio Cardella, Presidente del Comitato di Torre del Greco dell’Unione Nazionale dei Consumatori, e l’Avv. Giuseppe Colapietro, rappresentante del Comitato degli Obbligazionisti della Deiulemar, nonché diversi legali, al fine di poter raccogliere, per loro tramite, istanze ed osservazioni provenienti dagli investitori coinvolti».
Atti di buona volontà riconosciuti dal rappresentante del Comitato Obbligazionisti Deiulemar Colapietro, che esprime fiducia nei confronti di Maviglia, seppure chiamato a trovare «un difficilissimo equilibrio tra la salvaguardia dell’attività armatoriale e soddisfazione dei creditori, istanze intrinsecamente legate, ulteriormente complicato dal fatto che ad oggi Deiulemar di Navigazione Spa, fatti salvi i 45 milioni di capitale, appare una scatola vuota».
Infatti a ingarbugliare la situazione c’è dell’altro. Nel 2005 la seconda generazione delle tre famiglie torresi fondò la Deiulemar Shipping, Spa a socio unico controllata dalla lussemburghese Poseidon International SA, cui nello stesso anno Deiulemar Compagnia di Navigazione conferì le 11 navi di proprietà, per poi cederle, con un’operazione formalizzata lo scorso 29 dicembre, anche la proprietà della controllata Ledi Shipping, titolare fra l’altro della proprietà delle ultime due navi della flotta.
Quindi oggi, fatta eccezione per i rapporti di parentela, Deiulemar Shipping e Deiulemar Compagnia di Navigazione sono entità formalmente slegate. Infatti quando la compagnia greca Kassian Navigation, come Paragon e gli altri controparte di Deiulemar Compagnia di Navigazione, ha chiesto – di fronte al mancato pagamento dei noli da parte di quest’ultima – di attuare un sequestro cautelativo della nave Pasquale Della Gatta in Texas, non è riuscita nel suo intento, perché quest’ultima è di proprietà della Deiulemar Shipping, formalmente indipendente dalla Deiulemar Compagnia di Navigazione.
Un pasticcio enorme, per la cui soluzione i tempi appaiono lunghi. Secondo Colapietro «il censimento prenderà tutto marzo, dopodiché ci vorranno ancora 1-2 mesi per capire quali risorse potranno essere messe sul tavolo per soddisfare i creditori e salvaguardare al contempo l’attività della compagnia e per vagliare se l’ipotesi di un eventuale concordato sia compatibile con bilanci la cui corrispondenza con la realtà dei fatti appare, ad oggi, quantomeno da verificare, malgrado la certificazione degli stessi».
Quello che di questo guazzabuglio sembra davvero incomprensibile è come un impero dello shipping – oltre 60 navi gestite fra proprietà e noleggi, fatturati da centinaia di milioni di euro, attività di livello internazionale – sia stato costruito emettendo titoli, magari pure in buona fede, di dubbia consistenza giuridica, per centinaia di milioni di euro, senza registrare la quantità e l’ ammontare degli stessi, sulla base di una fiducia (ingenuamente riposta, è il caso di dirlo) prestata in nome di tradizioni sparite da decenni dal panorama armatoriale mondiale. Il tutto in parallelo ad operazioni di sofisticata ristrutturazione dell’architettura societaria, alla certificazione dei bilanci (da parte di una big come Kpmg) e all’emissione di obbligazioni regolarmente contabilizzata e approvata dalla Consob.
Che, ha fatto sapere un portavoce, «ha avviato un’attività di vigilanza approfondita su quanto accaduto, in collaborazione con l’attuale amministrazione di Deiulemar, per capire se ci siano state irregolarità. Oggi però è presto per un quadro preciso della situazione; quello che si può dire è che l’ente ha svolto correttamente l’attività di controllo di cui era responsabile».