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Monaco | 29 marzo 2016, 07:44

La storia del confine italo-francese nelle Alpi Marittime: l'excursus di Andrea Gandolfo dal 1940 ad oggi

La storia del confine italo-francese nelle Alpi Marittime: l'excursus di Andrea Gandolfo dal 1940 ad oggi

Nell’ambito della sua storia del confine italo-francese nelle Alpi Marittime, il nostro lettore Andrea Gandolfo ci ha inviato un interessante excursus sulle vicende della nostra frontiera dall’intervento dell’Italia nella seconda guerra mondiale, nel giugno 1940, ai primi anni Duemila, convinto che la storia del confine italo-francese nella zona del Nizzardo sia intimamente legata alle vicende politiche, sociali ed economiche dell’estremo Ponente ligure. Ecco dunque la mia storia della frontiera italo-francese nelle Alpi Marittime dal 1940 a oggi.

Dopo i nove mesi della «non belligeranza», Mussolini, che puntava su una rapida conclusione del conflitto facilitata dalla travolgente avanzata tedesca nel nord della Francia, decise di precipitare l’Italia nella guerra dichiarando aperte le ostilità contro la Francia e l’Inghilterra il 10 giugno 1940. Rinviato un primo bombardamento sulle coste italiane che avrebbe dovuto essere effettuato da un contingente aeronavale franco-britannico nella notte tra l’11 e il 12 giugno, la sera del 13 venne bombardata una prima volta la costa dell’estremo Ponente ligure, mentre il 14 una squadra navale francese bombardò alcuni stabilimenti industriali di Savona e Vado Ligure, per essere poi vanamente inseguita da uno stormo di velivoli della nostra aviazione. All’alba dello stesso giorno alcuni battaglioni del XV Corpo d’Armata italiano sferrarono una serie di assalti contro le postazioni francesi dislocate lungo il confine della zona di Mentone dal colle Treitore, a nord del Monte Grammondo, al mare. L’attacco, sostenuto in particolare dall’89° reggimento di fanteria e da un battaglione di Camicie Nere, venne tuttavia respinto con successo dalle forze transalpine. Tra il 15 e il 16 giugno gli italiani tornarono nuovamente all’assalto in Val Roia, dove penetrarono in regione Campbell-Lugo, mentre reparti del XV Corpo d’Armata si impossessavano di Cima d’Anan, del Pilon, della Côte de l’Ane e delle Granges de Zuaine, spingendosi poi a est di Fontan e nella zona del Passo di Cuore, ma già poche ore dopo i francesi avevano completamente riconquistato il territorio occupato momentaneamente dalle truppe italiane. La mattina del 20 giugno una compagnia di fanteria italiana cercò invece di forzare lo sbarramento francese di Ponte San Luigi, ma venne anch’essa respinta dalle scariche del mitragliatore nemico lasciando sul terreno alcuni morti e numerosi feriti. Il successo contro l’assalto italiano fu soprattutto merito della pronta reazione dei reparti francesi asserragliati nel fortino situato presso il ponte, la cui barriera sarebbe stata alzata soltanto dopo la fine delle ostilità, la sera del 26 giugno, consentendo il passaggio di alcune ambulanze e altri veicoli militari. Il nuovo confine provvisorio tra la zona di occupazione italiana e il resto del territorio francese era stato intanto fissato il 25 presso il Ponte dell’Unione, tra Mentone e la frazione di Roquebrune Carnolès, sopra il corso del torrente Gorbio a una cinquantina di metri dal mare lungo la strada statale RN7.

Ai primi di novembre del 1942 le truppe della 4ª Armata italiana, al comando del generale Vercellino, avevano intanto dato inizio alla graduale invasione del Sud-Est della Francia per rispondere con un’azione militare su larga scala al contemporaneo sbarco delle forze alleate in Nord Africa. A partire dall’11 novembre Mentone cominciò ad essere attraversata da reparti motorizzati italiani, mentre i fascisti locali inneggiavano alle nostre truppe e a Nizza italiana. Stabilito il suo quartier generale a Mentone verso la fine di novembre, nell’aprile 1943 il generale Vercellino avocò a sé tutti i poteri e le funzioni del commissario civile, assumendo di fatto il controllo assoluto della vita politica e amministrativa della cittadina. Nello stesso tempo si intensificarono gli arresti di antifascisti e dissidenti che andavano ad ingrossare le fila dei detenuti nelle carceri locali, mentre le persone rilasciate dal Tribunale militare venivano accompagnate alla frontiera di Ponte dell’Unione, dove erano date in consegna ai gendarmi francesi. Alla notizia della caduta del regime e dell’arresto di Mussolini il 25 luglio 1943, si verificò una grande esultanza tra i francesi di Mentone che vi videro la premessa della fine del regime di occupazione italiana, mentre le autorità fasciste furono colte di sorpresa e rimasero ferme in attesa dell’evolversi della situazione. Il 28 luglio giunse nella cittadina il feldmaresciallo tedesco von Rundstedt per incontrarsi con il generale Vercellino, che tre giorni dopo acconsentì al passaggio sul territorio mentonese dell’88° Corpo d’armata del generale Felber, comandante delle forze tedesche nello scacchiere del Mediterraneo. Dopo il successivo annuncio dell’armistizio con gli Anglo-americani, le autorità militari italiane decisero di evacuare immediatamente il territorio francese del dipartimento delle Alpi Marittime occupato nel giugno 1940. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre migliaia di soldati italiani a bordo di centinaia di veicoli militari attraversarono quindi Mentone per rientrare precipitosamente a Ventimiglia. Verso mezzogiorno del 9 settembre un reparto di ufficiali e soldati della Wehrmacht si presentò alla vecchia frontiera di Ponte dell’Unione, dove alcuni funzionari italiani del Commissariato civile misero a loro disposizione tutti i documenti della nostra amministrazione. L’11 novembre 1943 lo Stato Maggiore francese predispose un piano generale per la definizione della nuova frontiera con l’Italia, che avrebbe dovuto cedere alla Francia, nella zona delle Alpi Marittime, tutto il territorio da Limone Piemonte al mare compresa Ventimiglia e il suo circondario. La delimitazione proposta, che prevedeva anche una serie di sbocchi soprattutto nel settore delle Alpi Marittime, avrebbe dunque consentito alla Francia di controllare e, se necessario, bloccare qualsiasi tentativo di concentramento di truppe italiane lungo il confine. In una nota del 19 novembre successivo, il Commissariato agli Affari Esteri espresse però forti perplessità in merito al contenuto delle richieste dello Stato Maggiore, dichiarandosi piuttosto favorevole ad una maggiore tutela – garantita anche a livello internazionale – delle realtà linguistiche e culturali locali, secondo uno spirito meno punitivo verso l’Italia condiviso pure dal commissario agli Affari Esteri René Massigli. Il 24 novembre 1943 il Comitato di Liberazione Nazionale redasse il cosiddetto «Memorandum di Algeri», nel quale venne ribadita la volontà della Francia di portare il confine sullo spartiacque delle Alpi Marittime lungo i monti Collalunga-Mercantour-Clapier-Marguareis, con il conseguente inglobamento nel territorio metropolitano francese delle cosiddette «terre di caccia» delle alte valli Tinée e Vésubie e dell’alta Roia con Tenda e Briga, mentre veniva per il momento accantonata l’ipotesi dell’annessione della zona di Ventimiglia.

Intanto si avvicinava il momento dell’avanzata delle truppe alleate nel Nord Italia e la fine del regime di occupazione nazifascista nelle regioni dell’Italia settentrionale. Sfondata la linea gotica, il 23 aprile 1945 le avanguardie alleate cominciarono a dilagare nella pianura emiliana, mentre le forze partigiane liberavano le principali città del Nord prima dell’arrivo degli Alleati. Sul fronte delle Alpi Marittime, le truppe della 1ª Division Française Libre guidata dal generale Garbay, ricevettero l’ordine di passare alla controffensiva lungo il litorale e procedere all’occupazione di Ventimiglia, che venne raggiunta dalle avanguardie francesi verso le 18 del 25 aprile, quando la città era già stata occupata dai partigiani dell’8° distaccamento della Brigata «Nuvoloni». Tra le 21 e le 22 arrivarono nella città di confine anche soldati algerini appartenenti al Bataillon de Marche Nord-Africain 22 provenienti da Olivetta San Michele, mentre, dopo aver raggiunto Sanremo il 26, le truppe francesi si spinsero oltre tanto che un reparto del Régiment Tirailleurs Sénégalais agli ordini del maggiore Lécuyer, giunse fino a Imperia, dove mise subito in apprensione le autorità locali timorose di eventuali mire annessionistiche da parte dei francesi, che tuttavia si ritirarono dopo pochi giorni lasciando il posto ad un reparto americano proveniente dalla linea gotica. A partire dal 25 aprile le truppe francesi estesero la loro occupazione da Ventimiglia a tutti i principali centri delle vallate limitrofe, stabilizzandosi quindi, verso la metà di maggio, lungo una linea che andava da Bordighera fino a Baiardo e Piaggia. Le truppe francesi avrebbe quindi lasciato Ventimiglia il 18 luglio 1945 in seguito a un accordo con il governo alleato.

Dopo la partenza dei tedeschi dall’Alta Roia il 24 aprile 1945, il giorno successivo Briga e Tenda vennero liberate dai partigiani italiani del 10° distaccamento della V Brigata Nuvoloni, che la mattina del 26 avrebbe occupato anche San Dalmazzo, mentre, poche ore prima dell’arrivo dei garibaldini della Brigata Nuvoloni nei due paesi roiaschi, un capitano francese e un sergente marocchino avevano raggiunto in perlustrazione Tenda, dove si aspettavano con ansia le truppe liberatrici. Nel pomeriggio del 26 aprile giunsero a Tenda alcuni reparti del Corpo coloniale francese di occupazione costituiti da oltre un centinaio di soldati del 29° Régiment Tirailleurs Algériens, che si installarono nel paese. Nel pomeriggio dello stesso giorno il colonnello francese Widerspach ordinò il disarmo dei partigiani del 10° distaccamento (ai quali erano concesse sei ore di tempo per lasciare la zona) e il ritiro della bandiera italiana da tutti gli edifici pubblici. Nel frattempo erano apparsi sui muri di Briga dei manifesti intitolati «République Française. Ville de La Briga de Nice», sui quali era riportato un testo in francese in cui si annunciava trionfalmente che dopo 85 anni di umiliazioni i cuori di seimila contadini, nonostante la barbara propaganda fascista, erano ritornati definitivamente francesi, a firma del Comité de Libération de La Briga de Nice, mentre militanti filofrancesi iniziavano contemporaneamente a distribuire fotografie di De Gaulle nei vari centri della vallata. Il 28 aprile la zona fu raggiunta pure da una colonna di oriundi tendaschi e brigaschi di Nizza guidati da dirigenti del Comité de Rattachement, che vennero accolti festosamente da una parte della popolazione. La notte successiva militanti filofrancesi tappezzarono i muri di Tenda e Briga con manifesti su cui era scritto: «Nous sommes français», mentre a Tenda il sindaco Dalmasso, il segretario comunale e altri impiegati del municipio venivano destituiti da rappresentanti del Comité, il cui presidente Charles Fenoglio dichiarò lo stesso giorno che, in virtù di una deliberazione del Consiglio dei ministri francese, nonché di accordi con il governo italiano, Briga e Tenda venivano cedute alla Francia. Venne quindi annunciato che nel corso di quella stessa giornata si sarebbe tenuto un plebiscito per formalizzare l’annessione come previsto dalla legge francese. Le modalità con cui si svolse la consultazione non furono tuttavia completamente regolari in quanto le schede di voto contenevano soltanto una pura e semplice dichiarazione di assenso al passaggio dei territori in questione alla Francia senza dunque la possibilità di poter esprimere neppure teoricamente un voto favorevole all’Italia, tanto che l’unico modo per opporsi rimaneva soltanto quello di non riempire la scheda, fatto che annullava però il diritto di usufruire dell’allora indispensabile tessera annonaria. I risultati quasi plebiscitari favorevoli alla Francia furono tra l’altro abilmente sfruttati da De Gaulle e dal suo governo per chiedere l’annessione della Roia, in nome del principio dell’autodeterminazione dei popoli riconosciuto nel 1942 dalla Carta Atlantica.

Nel corso della campagna elettorale per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, intervennero anche a Tenda e Briga numerosi parlamentari, tra cui l’onorevole Fazio, che riportò all’attenzione dell’opinione pubblica i diritti all’autonomia dell’Alta Roia sanciti dagli accordi doganali del 1861, suscitando l’interesse pure di molti sostenitori del rattachement, che guardavano allora all’Italia con uno stato d’animo assai più benevolo rispetto a quello dell’immediato dopoguerra, mentre numerosi abitanti della vallata di sentimenti filoitaliani facevano ritorno ai loro paesi. Alle consultazioni referendarie del 2 giugno si presentò a votare in Alta Roia oltre il 90% degli aventi diritto, fatto che – al di là dell’esito elettorale – si può indubbiamente interpretare come una dimostrazione di attaccamento delle popolazioni valligiane verso l’Italia. Ma ormai il destino dell’Alta Roia era segnato: il 27 giugno la radio comunicò ufficialmente che il Consiglio dei  ministri degli esteri aveva accettato le richieste francesi in cambio di garanzie da parte del governo di Parigi sulla fornitura di energia elettrica all’Italia. La decisione, che significava per la nostra zona la cessione definitiva alla Francia di Briga e Tenda, fu appoggiata in modo particolare dal ministro degli Esteri sovietico Molotov, dopo che pure i ministri degli Esteri americano e inglese Byrnes e Bevin si erano espressi a favore delle richieste francesi nel corso di una precedente riunione, dedicata alla questione del confine italo-francese e tenutasi il 24 giugno. Gli sforzi compiuti dai rappresentanti italiani per annullare le richieste francesi risultarono però vani e la Conferenza dei Ventuno approvò così il 31 agosto la cessione dei territori rivendicati dalla Francia lungo la frontiera con l’Italia. Nei mesi successivi non cessarono tuttavia le critiche e le proteste da parte italiana nei confronti delle deliberazioni della conferenza di Parigi, come testimoniato dal discorso tenuto dal leader socialista Pietro Nenni a Canzo il 13 ottobre e dalla nota inviata dal governo italiano al Consiglio dei quattro il 3 novembre sempre del 1946. Anche la stampa italiana non mancò di associarsi al coro delle proteste contro le decisioni dei Ventuno, mentre numerosi manifestanti si diedero convegno a Roma sotto le sedi diplomatiche transalpine per esprimere il loro profondo dissenso verso quanto era stato stabilito nella capitale francese. Tutto fu però inutile e non cambiò le decisioni prese dalla conferenza dei Ventuno, che confluirono praticamente senza alcuna modifica nelle clausole territoriali del Trattato di pace, che venne firmato a Parigi dai rappresentanti delle Potenze alleate e dal delegato italiano Meli Lupi di Soragna il 10 febbraio 1947. In virtù di tali clausole, passavano alla Francia – nel settore delle Alpi Marittime – le ex «terre di caccia», costituite dai valloni della Guercia, Chastillon, Mollières e Millefonts nell’alta Valle Tinée e dai valloni di Salse, del Boréon, della Madonna delle Finestre e della Gordolasca nell’alta Valle Vésubie, con il piccolo paese di Mollières staccato dal comune italiano di Valdieri e aggregato a quello francese di Valdeblore; il comune di Tenda compresa la frazione di San Dalmazzo; la parte del territorio comunale di Briga Marittima comprendente il capoluogo e Morignolo in Valle Levenza, che formarono il nuovo comune francese di La Brigue (mentre le ex frazioni di Briga Piaggia, Upega e Carnino, nonché il bosco delle Navette, già appartenente al comune di Tenda, avrebbero formato dal 7 ottobre 1947 il comune di Briga Alta in provincia di Cuneo e la ex frazione di Briga Realdo sarebbe stata aggregata al comune di Triora in provincia di Imperia); le ex frazioni del comune italiano di Olivetta San Michele Piena Alta e Libri, nonché le tre casermette e le altre costruzioni adibite ai servizi doganali e frontalieri di Piena Bassa, annesse al comune francese di Breil-sur-Roya; 7 milioni e mezzo di metri quadrati di superfici boschive e pascolative di proprietà comunale e 350.000 metri quadrati di boschi, pascoli e seminativi, di proprietà privata, appartenenti al comune di Pigna; 3 milioni di metri quadrati di superfici boschive e pascolative comunali e 300.000 metri quadrati di boschi e pascoli privati facenti parte del comune di Rocchetta Nervina; e infine alcune limitate strisce di territorio appartenenti ai comuni di Dolceacqua e Triora e una piccola porzione del comune di Airole in direzione della località di Forquin, cedute allo scopo di rafforzare ulteriormente il saliente francese di Saorgio.

Trascorsi i quasi sette mesi previsti dal trattato non senza i soliti episodi di insofferenza verso l’amministrazione italiana uscente, alle 18 del 15 settembre il nuovo amministratore francese dei territori annessi alla Francia e sottoprefetto di Nizza Louis Bourguet ricevette i poteri sovrani dal commissario italiano, generale Giacomo Lombardi, a Tenda, dal cui municipio veniva contemporaneamente ammainato il tricolore nazionale salutato dagli onori militari di un plotone di carabinieri. Nel corso della notte successiva tutti i reparti delle forze dell’ordine italiane lasciarono l’Alta Roia, dove sarebbero stati sostituiti da gendarmi e funzionari della dogana francesi nelle prime ore della mattina del 16. Nel pomeriggio dello stesso giorno militanti filofrancesi e numerosi abitanti della zona ceduta festeggiarono con musica e balli, che si sarebbero protratti fino a notte fonda, l’avvenuta annessione alla Francia di Tenda, Briga, Piena e Libri. Il 12 ottobre 1947, a norma della legge transalpina, si tenne infine un referendum che diede una larghissima maggioranza a favore dell’annessione con punte del 95% a Tenda, 96% a Briga e addirittura 99% a Mollières, mentre più contenuti risultarono i suffragi per la Francia a Piena e Libri, con rispettivamente il 65% e il 67% di voti a favore dell’annessione. Sul fronte delle trattative per rendere più eque e razionali le clausole del Trattato di pace, il ministro degli Esteri francese Bidault si accordò con l’ambasciatore italiano a Parigi Quaroni l’8 luglio 1948 per restituire all’Italia 16,07 chilometri quadrati di territorio, ma il patto non sarebbe stato rispettato per la sua mancata approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale. Nello stesso tempo veniva istituita – ai sensi dell’articolo 83 del Trattato di pace – una Commissione di Conciliazione italo-francese formata da vari esperti civili coordinati dal consigliere di Stato Guy Périer de Féral per la Francia e dal presidente onorario del Consiglio di Stato Antonio Sorrentino per l’Italia, con il presidente del Tribunale federale svizzero Plinio Bolla come perito neutrale, per dirimere le controversie legate alla spartizione dei beni patrimoniali divisi dal nuovo confine. In base alle deliberazioni emesse dalla Commissione il 9 ottobre 1953, il 37% dei fondi di cassa e dei crediti e debiti del comune di Briga  e il 56% di quelli del comune di Olivetta San Michele rimasero all’Italia, mentre il 63% di quelli già brigaschi e il 44% di quelli ex olivettani passarono alla Francia. Le decisioni della Commissione furono poi ratificate dall’Italia con decreto del presidente della Repubblica n. 1513 del 22 dicembre 1954, nel quale era stabilito tra l’altro che i comuni di Pigna e Rocchetta Nervina avrebbero conservato la proprietà dei loro beni immobili situati nel territorio passato alla Francia, mentre ne perdevano i relativi diritti di godimento, in provincia di Imperia, i comuni di Airole, Dolceacqua e Triora. A quest’ultimo comune era assegnata una parte del territorio boschivo dell’ex comune di Briga Marittima ceduto alla Francia, per la frazione di Realdo, che ne avrebbe goduto la comproprietà insieme al comune di Briga Alta per metà, mentre l’altra metà era attribuita al comune francese di La Brigue; anche il comune di Olivetta San Michele conservava una porzione del suo territorio passato alla Francia, mantenendo pure il diritto di captare le sorgenti sul rio Audin per il servizio idrico di Fanghetto e quello alla presa d’acqua sul torrente Bevera per il funzionamento dei frantoi oleari e l’irrigazione dei terreni del suo comprensorio. Un altro accordo fu raggiunto il 4 ottobre 1960 con la stipulazione di una convenzione che regolò il contenzioso relativo alla divisione dei beni appartenenti alle Opere Pie con sede negli ex comuni italiani di Tenda, Briga Marittima e nella zona del comune di Olivetta San Michele passata alla Francia.

Non tutte le vertenze confinarie furono però risolte allora, tanto che rimangono tuttora indivisi vari terreni, boschi e pascoli situati parte in territorio francese e parte in quello italiano, posseduti in comproprietà dal comune francese di La Brigue e da quelli italiani di Briga Alta in provincia di Cuneo e Triora in provincia di Imperia, per la frazione di Realdo. Nell’estate del 1949 si era intanto aggravata la situazione delle greggi dei pastori realdesi, che si trovarono nell’impossibilità di pascolare i loro ovini in territorio francese per via della mancata concessione dei permessi di trasferimento delle greggi oltre confine da parte delle autorità francesi. Dopo alcuni episodi particolarmente tesi tra pastori e doganieri transalpini e grazie al fattivo interessamento degli amministratori locali, fu raggiunto un accordo con il governo di Parigi, che riconobbe alla fine i legittimi diritti di pascolo dei pastori di Realdo. Il 29 gennaio 1951 era stata intanto stipulata una nuova convenzione tra Italia e Francia che prevedeva tempi più rapidi per il rilascio della tessera di frontiera (di cui veniva prolungata la durata e precisati meglio diritti e doveri dei relativi titolari), ed estendeva il beneficio delle franchigie doganali alle importazioni ed esportazioni di prodotti agricoli e forestali, ingrassi e animali entro una fascia di dieci chilometri dalla linea di confine. Nel febbraio 1960 venne costituita una Commissione mista per la delimitazione dei tratti di confine rimasti in sospeso dopo la stipulazione del Trattato di pace del 1947. La commissione, presieduta per l’Italia dal generale di Divisione Francesco Dibitonto e dal generale di Divisione Courtiade per la Francia, si ispirò ad un criterio di determinazione della nuova linea confinaria basato su un’interpretazione più estensiva del testo di base, procedendo ad un posizionamento dei cippi che tenesse conto delle legittime aspirazioni ed esigenze delle due parti. Nella zona di Olivetta San Michele la commissione deliberò la restituzione all’Italia di vari tornanti della strada che da Olivetta conduce al comune francese di Sospel a quota 495, sopprimendo gli attraversamenti previsti dal tracciato originario e spostando alcuni terreni in modo da ricomporre l’unità patrimoniale dei fondi tagliati dal confine (poi ufficialmente delimitato nel 1962), mentre nella regione di Collalunga la linea di confine fu arretrata fino alla displuviale alpina.

Nel luglio 1971 era stato intanto attivato l’esercizio dell’Autostrada dei Fiori su tutta la tratta compresa tra Savona e il confine di Stato, già interconnesso con l’Autostrada Estérel-Côte d’Azur fin dal 1969. Gli uffici italo-francesi della dogana vennero allora installati sul piazzale della barriera autostradale di Roverino (frazione di Ventimiglia), in virtù di un accordo bilaterale siglato tra il governo italiano e quello francese, nel quale fu convenuto di innalzare l’edificio destinato ad ospitare il personale della polizia italiana e francese addetto all’espletamento delle formalità doganali, in territorio italiano, a circa sei chilometri dal punto esatto dal confine tra i due Stati situato all’interno della galleria di Cima Giralda. Tale ubicazione era peraltro alternativa a quella delle altre strutture adibite allo stesso servizio presso i restanti valichi stradali di frontiera tra la provincia di Imperia e il dipartimento delle Alpi Marittime, che svolgevano la loro funzione nelle immediate vicinanze della linea di frontiera. Il fabbricato della dogana di Roverino sarebbe stato infine completamente smantellato tra il marzo e aprile del 2003 in seguito all'abolizione definitiva dei controlli di polizia alle frontiere interne dei paesi racchiusi nel cosiddetto «spazio Schengen». A partire dal 1° dicembre 1997 è poi cominciata, in esecuzione dell’adesione italiana allo «spazio Schengen», la graduale abolizione dei controlli di polizia ai valichi stradali della zona intemelia, dove le formalità doganali sono state ancora espletate fino al 28 febbraio 1998, mentre dal 1° marzo, sempre del 1998, è diventata operativa la loro definitiva soppressione in tutti i posti di frontiera del Ventimigliese tranne che alla barriera autostradale di Roverino, presso la quale i controlli sarebbero stati completamente eliminati dal 1° aprile 1998. Nel corso di un successivo incontro tra i ministri dell’Interno italiano e francese Scajola e Sarkozy tenutosi a Imperia il 1° luglio 2002, è stato istituito un Comitato misto italo-francese copresieduto dai prefetti di Imperia e delle Alpi Marittime, al fine di sviluppare una serie di iniziative comuni in materia di controlli di frontiera e provvedimenti di polizia giudiziaria, tra cui quelli volti a contrastare più efficacemente il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. 

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