Lo storico Andrea Gandolfo, proseguendo la sua storia del confine italo-francese nella zona delle Alpi Marittime, affronta in questa puntata la complessa vicenda della cessione del circondario di Nizza alla Francia nel 1860, che, tra le sue varie conseguenze, avrebbe comportato anche la creazione dell’attuale provincia di Imperia.
Ecco dunque la sua narrazione di questo importante capitolo della nostra storia:
"La cessione di Nizza e della Savoia avrebbe costituito il nodo centrale nella storia dei rapporti confinari tra la Francia e il Regno di Sardegna, fissando dei termini frontalieri destinati a rimanere invariati fino all'inizio della seconda guerra mondiale lungo il confine italo-francese tra le Alpi Graie e il Mediterraneo. La questione di Nizza e della Savoia, già affrontata nei colloqui di Plombières del 20 luglio 1858 tra Cavour e Napoleone III, sembrò orientarsi in un primo tempo verso un accomodamento da parte dell’imperatore francese, che infatti – dopo aver chiesto l’annessione delle due province di confine – una settimana dopo l’armistizio di Villafranca dichiarò a Vittorio Emanuele II che egli avrebbe preteso dal governo sardo solo il pagamento delle spese di guerra senza pensare più alla cessione di Nizza e della Savoia. Tuttavia, già nell’ottobre successivo, Napoleone, scrivendo al suo vecchio amico Francesco Arese, si lamentò del fatto che il governo piemontese avesse contrastato in modo particolarmente risoluto gli organi di stampa savoiardi che avevano invocato la cessione della loro regione alla Francia, dal che si deduce come l’imperatore stesse ormai gradualmente assumendo una posizione nettamente annessionista nei confronti delle due province. Dopo complesse trattative diplomatiche, Cavour ottenne alla fine il consenso di Napoleone III all’annessione al Piemonte della Toscana, della Romagna e dei ducati in cambio dell’impegno del governo sardo a rispettare gli accordi presi a Plombières in merito alla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Il 9 febbraio 1860 Cavour inviò quindi una lettera ad Arese per invitarlo ad avvertire confidenzialmente le autorità parigine che il governo di Torino giudicava opportuno che la cessione del Nizzardo non avrebbe dovuto estendersi oltre una linea di frontiera che impedisse allo Stato Maggiore piemontese di difendere adeguatamente la Val Roia, aggiungendo che il territorio della Contea di Ventimiglia, separato dalla Contea di Nizza e formante un circondario a parte, non sarebbe stato compreso nella progettata cessione.
Nel frattempo Napoleone aveva convocato a Parigi il maresciallo Niel, comandante della divisione di Tolosa, per affidargli l’incarico di studiare la futura delimitazione dei confini derivanti dalle previste annessioni. Il 3 marzo Cavour trasmise al ministro degli Esteri francese Thouvenel una comunicazione con la quale dava ufficialmente il suo assenso alle cessioni a patto che queste avessero luogo previa regolare consultazione delle popolazioni interessate. Il governo francese, però, che mirava a conseguire un’affermazione di prestigio a livello internazionale grazie alle imminenti annessioni, convinse Cavour dell’opportunità di giungere immediatamente alla stipulazione di un trattato segreto, che venne firmato a Torino il 12 marzo da Vittorio Emanuele II e a Parigi due giorni dopo da Napoleone III. In base al primo articolo di tale convenzione, il re di Sardegna acconsentiva formalmente alla «riunione» della Savoia e del circondario di Nizza alla Francia, il cui governo si sarebbe impegnato a renderla esecutiva a condizione che le relative popolazioni l’avessero chiaramente avallata. Pochi giorni dopo l’imperatore, che desiderava evidentemente ridurre al minimo l’attesa per procedere materialmente all’annessione delle due province, scrisse a Vittorio Emanuele per informarlo della sua disponibilità a proseguire nella collaborazione con il governo piemontese, a patto però che la questione di Nizza e della Savoia venisse definitivamente risolta in tempi molto stretti. Nella lettera di risposta il sovrano sabaudo si augurò da parte sua che si potessero applicare al più presto gli accordi segreti appena stipulati senza che il governo francese ricorresse ad un’occupazione preliminare dei territori ceduti.
Nel contempo, mentre a Nizza ferveva un’intensa attività a favore dell’annessione da parte di agenti francesi capeggiati da Pierre-Marie Pietri, le autorità parigine procedettero unilateralmente all’occupazione militare del comprensorio nizzardo. Si rese quindi improcrastinabile la stipulazione di un trattato pubblico, che venne firmato a Torino il 24 marzo da Cavour e dal ministro dell’Interno Luigi Carlo Farini per il governo sardo, e dall’ambasciatore Talleyrand e dal direttore degli affari politici presso il Ministero degli Esteri Vincent Benedetti, per quello francese. Il 30 marzo il trattato fu pubblicato contemporaneamente a Parigi e a Torino, mentre due giorni dopo Vittorio Emanuele II emanò un proclama per avvisare le popolazioni di Nizza e della Savoia di quanto era stato deciso sulle loro sorti. Per quanto concerneva invece la precisa delimitazione dei confini, l’articolo 3 del trattato stabilì che una commissione mista avrebbe determinato in spirito di equità le frontiere tra i due Stati, tenendo conto della configurazione delle montagne e delle esigenze di difesa. Al fine di ovviare ad eventuali conseguenze rischiose di una formula così vaga e indeterminata, Cavour riuscì peraltro a convincere Benedetti ad inserire nel testo del trattato una clausola che prevedeva l’entrata in vigore dello stesso soltanto dopo la ratifica definitiva da parte del Parlamento subalpino. Nei giorni immediatamente successivi alla firma del trattato circolò anche la voce che il governo francese avrebbe avuto intenzione di annettersi il territorio di Ventimiglia, i cui amministratori, capeggiati dal deputato locale Giuseppe Biancheri, ne chiesero ragione allo stesso Cavour, che il 25 aprile 1860 diede infine ampie assicurazioni al sindaco della città sulla incedibilità di Ventimiglia e del suo mandamento alla Francia.
Per studiare le esigenze di natura militare inerenti alla nuova delimitazione confinaria, il governo sardo aveva intanto incaricato il maggiore generale di Stato Maggiore Giuseppe Ricci di esporre il suo parere tecnico sull’argomento in una memoria, che venne stilata dall’alto ufficiale il 21 marzo 1860. Le proposte avanzate dallo Stato Maggiore piemontese per la zona delle Alpi Marittime prevedevano dunque la tracciatura della linea di confine lungo un percorso tutto sommato abbastanza ragionevole, che però – come vedremo – sarebbe stato accolto solo parzialmente dal governo francese. Il 27 marzo Cavour trasmise al generale Petitti di Roreto, nominato da poco commissario regio per la delimitazione dei nuovi confini, una serie di istruzioni relative all’atteggiamento da assumere sul futuro di Mentone e Roccabruna e sulla questione del protettorato sul Principato di Monaco. La mattina del 2 aprile il generale Petitti giunse a Parigi insieme all’incaricato d’affari sardo Costantino Nigra, recando con sé una lettera personale di Vittorio Emanuele per Napoleone, il quale, ricevuto l’alto ufficiale piemontese, gli chiese tra l’altro se Ventimiglia sarebbe «rimasta» alla Francia, al che Petitti gli rispose che ciò non sarebbe stato possibile in quanto la città intemelia non faceva parte del circondario di Nizza. L’imperatore ribatté allora chiedendo a Petitti: «Ma non è la Roja il confine?», ricevendone questa risposta: «No, Sire, nella parte meridionale il confine del circondario di Nizza non giunge alla Roja». Fornite poi alcune delucidazioni a Napoleone da parte di Nigra in merito alle «terre di caccia» di Vittorio Emanuele II e alla questione di Monaco, il generale illustrò all’imperatore le ragioni della sua missione che perseguiva l’obiettivo di valutare la possibilità di cedere alla Francia i diritti del re di Sardegna su Monaco, Mentone e Roccabruna in cambio di alcune piccole compensazioni territoriali in Savoia e nella Contea di Nizza al fine di garantire un’adeguata difesa per lo Stato sabaudo. Per tutta risposta Napoleone cambiò repentinamente argomento senza pronunciarsi sulle affermazioni dell’emissario di Cavour.
Pochi giorni dopo Vittorio Emanuele inviò nella capitale francese il maggiore Debiller allo scopo di informare l’entourage dell’imperatore che egli era disposto ad accettare una linea di confine che – nel settore del Nizzardo – avrebbe seguito il thalweg della Tinea fino alla confluenza di quest’ultima nel Varo, salendo quindi verso Utelle e Rocca Sierra per congiungersi col Roccaglione, da dove, passando per le cime di Monte Avelan, Colle d’Ours e Monte Grammondo, avrebbe raggiunto il mare a levante di Mentone. Il 13 aprile Petitti ebbe poi un breve colloquio con il generale De Beaufort, che gli disse apertamente che la Francia avrebbe dovuto annettersi l’intera Contea di Nizza fino al thalweg di Taggia, mentre la cessione dei diritti su Mentone, Monaco e Roccabruna promessa dal re sardo sarebbe stata ininfluente. Secondo De Beaufort, la Francia avrebbe fatto un sacrificio a non pretendere Upega, frazione del comune di Briga, che le avrebbe garantito una posizione strategica nella Valle dell’alto Tanaro, ossia già in territorio piemontese. Frattanto, il 12 aprile, Garibaldi aveva svolto un’interpellanza alla Camera sulla cessione di Nizza per ribadire l’incostituzionalità del trattato firmato venti giorni prima e protestare contro le pressioni francesi sulla popolazione della città nell’imminenza del plebiscito. Il 15 e 16 aprile si svolsero le votazioni in tutta la Contea di Nizza, dove gli annessionisti ottennero una schiacciante maggioranza con ben 25.743 voti favorevoli alla Francia contro solo 160 contrari su un totale di 25.933 votanti. In vista della discussione in Parlamento per la ratifica del trattato, il conte Arese prese l’iniziativa di scrivere a Napoleone il 28 aprile per informarlo che – a suo parere – i confini del nuovo Stato italiano, che era stato creato proprio grazie all’appoggio determinante della Francia, avrebbero dovuto essere segnati nel Nizzardo dal torrente Tinea, dalla cresta che separa la Vesubia dalla Tinea e dal Colle di Braus fino al mare tra Mentone e Ventimiglia. Arese dichiarò poi all’imperatore che se la Francia avesse accettato questa linea di demarcazione, essa avrebbe avuto in meno solo qualche vetta senza importanza e due o tre piccoli villaggi completamente italiani, che non le avrebbero dato alcun vantaggio e uno dei quali, quello di Tenda, era intimamente legato alla storia dell’alta Italia. Cinque giorni dopo Napoleone rispose al conte per comunicargli il suo assenso a riconoscere come limite, nella regione di Nizza, una linea che, passando tra Mentone e Ventimiglia, si orientasse in direzione di Saorgio raggiungendo poi la cresta delle montagne verso ponente e lasciando così il Colle di Tenda in territorio piemontese. Nella zona del dipartimento delle Basse Alpi, l’imperatore si disse invece disponibile a lasciare la linea della Tinea al Regno di Sardegna fino alla valle di Mollières.
In una successiva missiva inviata dall’ambasciatore Talleyrand a Cavour il 6 maggio, l’alto diplomatico transalpino usò termini ancora più vaghi in merito ai confini nella zona delle Alpi Marittime, dove sembrava che il governo di Parigi non fosse restio ad annettersi anche il bacino superiore del Roia. Nei giorni immediatamente precedenti alla discussione parlamentare per la ratifica del trattato, Cavour rimase completamente assorbito dalla questione dei confini, mentre il ministro della Guerra Fanti, fin dal 23 aprile, aveva minacciato di dimettersi se il problema delle frontiere non fosse stato risolto prima che venisse presentato il trattato dell’annessione di Nizza e della Savoia alla Camera. Il 10 maggio il Primo ministro presentò quindi alla Camera il trattato del 24 marzo, e nello stesso tempo fece pervenire a Napoleone III, tramite Arese, tre cartine sulle quali erano segnati i confini auspicati dal governo sardo verso il Nizzardo, dove Cavour avrebbe ardentemente desiderato conservare il saliente di Saorgio, sul quale però l’imperatore fu irremovibile nel pretenderne la cessione. Lo stesso Arese ne scrisse, sempre il 10 maggio, a Napoleone per pregarlo vivamente di recedere dal suo proposito di annettersi la zona di Saorgio, il cui possesso – a giudizio di Arese – era praticamente insignificante per la Francia, mentre sarebbe stato particolarmente prezioso per il Piemonte. Nonostante la successiva risposta negativa dell’imperatore, Cavour non disperò di poter conservare Saorgio, come si può evincere da una lettera da lui trasmessa pochi giorni dopo a Nigra, nella quale era chiaramente espressa la volontà del governo sardo di compensare il danno che sarebbe derivato ai comuni della media Roia dalla nuova delimitazione confinaria, con l’innalzamento di una barriera doganale in grado di tutelare gli interessi della popolazione locale.
Già prima dell’inizio della discussione del progetto di legge sul trattato prevista per il 25 maggio alla Camera, il 21 il deputato di Ventimiglia Biancheri chiese che venisse sottoposto all’Assemblea uno schizzo dei mutamenti territoriali previsti dalla convenzione firmata il 24 marzo. Alla fine però non se ne fece nulla, mentre, su istanza del deputato Lorenzo Valerio, ogni deputato ricevette una carta della zona interessata dalle cessioni, senza però l’indicazione del nuovo tracciato confinario. Nel primo giorno di discussione, il deputato Massei si lamentò del fatto che non si fosse ancora stabilito con precisione il limite che avrebbe dovuto separare l’Italia dalla Francia; stesse osservazioni vennero fatte il giorno dopo da Urbano Rattazzi, mentre il 27 il deputato Michelini chiese formalmente a Cavour se le valli della Roia e di Bevera sarebbero rimaste italiane oppure se fossero destinate ad essere cedute anch’esse alla Francia, dal momento che tali vallate – a giudizio di Michelini – erano incontestabilmente italiane per storia, lingua e cultura. Il giorno successivo intervenne invece Biancheri che, dopo essersi dichiarato disposto a tollerare la perdita del circondario di Nizza, si disse profondamente contrario alla cessione della Roia che – a suo parere – era indiscutibilmente italiana non meno che il Piemonte, la Lombardia o la Toscana. Dopo un ultimo intervento conclusivo da parte del ministro Fanti, che denunciò come il governo dell’imperatore non avesse ancora fatto pervenire a quello sardo la sua risposta definitiva in merito alla delimitazione dei confini nella zona delle Alpi Marittime, il trattato venne infine approvato dalla Camera nella tornata del 29 maggio con 223 voti favorevoli, 36 contrari e 26 astenuti.
Nonostante il voto favorevole alla ratifica del trattato, la questione dei confini nella Val Roia avrebbe forse meritato un’ulteriore discussione in grado di assicurare una delimitazione confinaria più equilibrata e vantaggiosa nei confronti del Regno di Sardegna. Cavour era tuttavia premuto, oltreché da Napoleone e dal governo transalpino, anche dai deputati delle due province separate che insistevano affinché si ponesse fine all’anomala situazione in cui si trovavano le loro popolazioni dopo lo svolgimento dei plebisciti che ne avevano sancito l’annessione alla Francia. Fu proprio l’aver fatto precedere tali votazioni alla ratifica parlamentare del trattato che diede il destro a Napoleone per avanzare la minacciosa richiesta di annettersi anche Tenda, pur di costringere il governo sardo ad accettare i confini che egli aveva unilateralmente stabilito. Nel frattempo venne data piena ed intera esecuzione al trattato con decreto reale emanato l’11 giugno, contemporaneamente alla sua ratifica definitiva da parte del Senato con 92 voti favorevoli e 10 contrari, mentre tre giorni dopo ebbe luogo la cerimonia ufficiale del passaggio dei poteri sul circondario di Nizza tra il commissario straordinario incaricato dal re di Sardegna della consegna della città alle autorità francesi, Giuseppe Pirinoli, e il suo omologo transalpino Pietri, che firmarono il relativo verbale presso il locale Palazzo del Governo alla presenza del vescovo di Nizza Pietro Sola, del Consiglio municipale e di tutte le principali autorità civili e militari del circondario.
Il 27 giugno venne concordata la prima determinazione dei confini tra il Regno di Sardegna e la Francia tramite la stipulazione di un protocollo, il cui articolo 3 stabiliva che una commissione, nominata appositamente dai due governi, avrebbe fissato sul luogo i limiti confinari e posizionato i relativi segnali. Il protocollo sanciva inoltre la perdita definitiva per il Piemonte del saliente di Saorgio e dell’alta Valle della Tinea, dove il nuovo confine lasciava in territorio sardo soltanto la parte della vallata a sinistra dell’omonimo torrente. Questa diversa ripartizione venne peraltro caldeggiata dal governo francese che, in sintonia con la volontà espressa dalle popolazioni locali, alla vigilia della firma del protocollo aveva chiesto che il comune di Isola, ubicato appunto sulla sinistra della Valle della Tinea, fosse annesso alla Francia. La richiesta venne poi ulteriormente sostenuta dai commissari transalpini incaricati di fissare la nuova linea confinaria in una nota trasmessa ai loro colleghi piemontesi fin dal 20 giugno. Il governo sardo riuscì però ad escludere dai territori che avrebbero dovuto essere ceduti alla Francia nel comprensorio delle Alpi Marittime, le famose «terre di caccia» di Vittorio Emanuele II, situate nelle alte valli della Tinea e della Vesubia e rimaste poi italiane fino al 1947. Furono parimenti conservati al Piemonte, nonostante il voto favorevole all’annessione alla Francia espresso dai loro abitanti nel plebiscito del 15-16 aprile 1860, i centri dell’alta Roia Tenda e Briga, destinati peraltro a divenire francesi nel 1947. Nella zona, tuttavia, il nuovo confine, che estendeva la sovranità francese sull’intera valle del Bevera e tagliava con un cuneo quella della Roia interrompendo il collegamento diretto tra la Liguria e il Basso Piemonte, sarebbe stato foriero di aspre controversie legate soprattutto al transito frontaliero, ai diritti di pascolo e al godimento del diritto di proprietà, che avrebbero obbligato i governi italiano e francese a concludere una serie di convenzioni particolari tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso.
Il 14 luglio era stato intanto emanato il decreto reale n. 4176, conseguente alla legge di ratifica del trattato di cessione di Nizza alla Francia, nonché alla legge n. 4158 dell’8 luglio 1860 relativa al riordino del pubblico servizio nella parte della provincia di Nizza rimasta allo Stato. Tale decreto costituì l’atto di nascita ufficiale della Provincia di Porto Maurizio (che avrebbe poi assunto l’attuale denominazione di Provincia di Imperia nel 1923), formata «provvisoriamente» dai circondari, mandamenti e comuni già facenti parte della Provincia di Nizza e non compresi nel trattato di cessione del 24 marzo 1860, ad eccezione dei comuni del mandamento di Tenda, tra i quali Briga, Tenda e altri centri montani minori, che, in attesa della fissazione definitiva dei confini, venivano nel frattempo aggregati alla provincia di Cuneo. L’istituzione della nuova provincia non fu peraltro motivata da ragioni di indole politica o legislativa, ma nacque dalla concreta esigenza di distribuire in modo organico e razionale il notevole numero dei comuni rimasti staccati dal capoluogo di Nizza. Il nuovo ente territoriale, caratterizzato dalla presenza di una popolazione accomunata da medesime origini, usanze e dialetti, avrebbe assunto nei decenni successivi la delicata funzione di provincia di frontiera con il dipartimento delle Alpi Marittime.
Quattro giorni dopo la costituzione della provincia di Porto Maurizio, il battaglione della guarnigione sarda di stanza a Monaco, su richiesta del governo francese, lasciò il territorio del Principato, senza tuttavia essere immediatamente rimpiazzato da un omologo contingente transalpino. Nel frattempo, dopo lo svolgimento delle votazioni a Mentone e Roccabruna per l’annessione alla Francia, il principe di Monaco Carlo III aveva ricevuto assicurazioni dal governo di Parigi che tale consultazione era stata soltanto ufficiosa, per cui non avrebbe automaticamente comportato l’annessione delle due cittadine alla Francia. Contrariamente però a quanto dichiarato, il governo francese inviò propri funzionari nei due centri rivieraschi in sostituzione di quelli sardi, avviando in sostanza una fase occupazionale che poteva essere equiparata ad una vera e propria annessione. Desiderando conservare i suoi feudi, il sovrano monegasco chiese allora alle autorità di occupazione di raggiungere un compromesso sulla questione delle due città contese in cambio dell’accettazione di alcune garanzie, che ponevano di fatto il Principato sotto il protettorato francese e che furono accolte da Napoleone III. Il 2 febbraio 1861 Carlo III cedette quindi alla Francia i suoi diritti su Mentone e Roccabruna dietro un compenso di quattro milioni di franchi, mentre l’imperatore si impegnava da parte sua a costruire una strada carrozzabile da Monaco a Nizza e a far passare nel territorio del Principato il tracciato della linea ferroviaria Genova-Nizza. Il 9 novembre di quattro anni dopo Carlo III stipulò infine con Napoleone un’altra convenzione, che prevedeva la completa inclusione del territorio monegasco nello spazio doganale della Francia, alla quale il Principato sarebbe rimasto legato in base ad una serie di ulteriori accordi politici ed economici stipulati nei decenni successivi tra i due Stati.
Il 23 agosto 1860 era stata intanto firmata a Parigi una convenzione tra il Regno di Sardegna e la Francia al fine di risolvere alcuni problemi sorti in seguito alla cessione delle due province e determinare in spirito di equità la quota di partecipazione dei territori ceduti nel debito pubblico del Piemonte. Nel frattempo i due governi nominarono una nuova commissione per la delimitazione dei rispettivi confini, composta dal luogotenente colonnello Galinier e dal capo squadrone Smet dello Stato Maggiore transalpino per la Francia, e dal luogotenente colonnello Vittorio Federici e dal capitano Agostino Ricci dello Stato Maggiore piemontese per il Regno di Sardegna. Riunitasi a Torino il 5 settembre, la commissione decise, per quanto riguardava la zona del Nizzardo, di stabilirne tutti i relativi limiti frontalieri a partire dal punto in cui il confine si staccava dalla grande cresta delle Alpi sino al mare. Il protocollo di tali operazioni venne firmato a Nizza il 25 novembre 1860, mentre sei giorni dopo il tenente colonnello Federici trasmise al Ministero degli Esteri sardo una dettagliata relazione in merito all’operato della commissione stessa. Le principali modifiche alla linea confinaria stabilita dal protocollo del 27 giugno riguardarono lo spostamento della frontiera a vantaggio del Piemonte nel vallone di Mollières e a Testa d’Alpe, mentre risultarono a favore della Francia le variazioni apportate nell’alta Valle della Tinea, nel vallone della Tessera e nei pressi di Mentone. In quest’ultimo settore, in particolare, la linea venne fatta retrocedere leggermente verso levante in corrispondenza del corso del torrente San Luigi, come era stato richiesto dai commissari sardi guidati dal tenente colonnello Federici per ragioni di natura prettamente difensiva.
L’attività svolta dai due commissari sardi ottenne il pieno assenso del governo presieduto da Cavour, che affidò a Federici e Ricci l’incarico di trattare le pratiche relative alla determinazione dell’esercizio dei diritti di proprietà dei cittadini residenti sui due versanti della frontiera ed altre questioni di carattere doganale, poi regolate da un protocollo firmato il 16 febbraio 1861. D’intesa tra i due governi, venne stipulata un’ulteriore convenzione il 7 marzo 1861 tra il ministro degli Esteri sardo Carutti di Cantogno e l’incaricato d’affari francese nella capitale sabauda Aloys de Rayneval. Il 1° settembre si riunì quindi la commissione internazionale incaricata del posizionamento dei nuovi termini confinari tra la Francia e il Regno d’Italia nella regione compresa tra il mare e il Monte Enciastraia. Nel corso delle operazioni di delimitazione, coordinate dai commissari italiani Federici e Ricci e dai loro colleghi francesi Smet e Holot, vennero collocati 39 termini numerati da 77 a 114, come attestato nel relativo processo verbale steso a Torino il 29 ottobre 1861. Questa delimitazione confinaria, che riproduceva praticamente senza varianti quella fissata nel protocollo del 25 novembre dell’anno prima, determinò una linea di frontiera tra il Nizzardo e il territorio del Regno d’Italia che sarebbe rimasta sostanzialmente immutata fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale.
Gli accordi del 7 marzo comprendevano anche una serie di clausole di natura economica destinate a regolamentare i diritti di scambio ed esenzione doganale per quegli abitanti delle zone di confine possessori di beni che erano rimasti parte in territorio italiano e parte in quello francese. In particolare, venne stabilito di concedere l’autorizzazione ai produttori italiani e francesi di introdurre liberamente nei rispettivi Stati, entro un raggio di cinque chilometri dalla frontiera, derrate agricole, legna, concimi, sementi e vari generi alimentari (tra i quali latte, burro e formaggio), senza corrisponderne le relative imposte doganali. Analoga esenzione fu accordata anche per le greggi portate al pascolo e le piante tagliate nei boschi. Grazie a queste clausole, nel volgere di pochi anni Tenda e Briga divennero due tra i più fiorenti comuni d’Italia, mentre l’alta Roia cominciava ad essere percorsa da un intenso traffico destinato soprattutto al mercato di Nizza. Di fatto, la zona franca che ne scaturì rappresentò un potentissimo volano per l’economia di molti comuni italiani e francesi del comprensorio delle Alpi Marittime, dove peraltro si registrò anche – come logica conseguenza del regime di franchigia doganale – un notevole incremento delle attività illecite legate al fenomeno del contrabbando.
Dott. Andrea Gandolfo - Sanremo"